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    Magazzino

    C. Grän – Bastarda

    • di Giulio Artusi
    • Aprile 3, 2006 a 10:27 am

    Christine Grän
    Bastarda
    Neri Pozza
    € 8,50
    trad. F. Porzio

    Bastarda (Hurenkind) di Christine Grän, Neri Pozza, è il racconto di una smodata e incontenibile ansia di emergere, la radiografia di un’ossessiva fissazione per la carriera e il potere. Protagonista Marie, figlia di una prostituta alcolista specializzata nel ruolo di «Padrona con la frusta», ovvero di «crudele istitutrice» per maschi masochisti. La madre di Marie ha scelto per lei le migliori scuole, le ha garantito le migliori possibilità tanto che Marie ha raggiunto una posizione di rilievo in uno dei maggiori quotidiani tedeschi. Ma questo non l’ha preservata dal disprezzo del figlia, né ha sopito il rancore che Marie cova dall’infanzia per la decorosa ipocrisia di chi le mostrava considerazione unicamente per il denaro della madre.
    Marie vuole diventare caporedattore. Il denaro le interessa solo per ciò che può offrirle, non prova simpatia né affetto per i suoi colleghi e i suoi articoli sono ben scritti ma inutili, attentamente progettati per esprimere in bella forma il vuoto intellettuale e il conformismo politico della stampa contemporanea. Il lavoro è per Marie uno strumento, un modo per emergere, esattamente come lo è il sesso. Ha smesso da tempo di innamorarsi, colleziona storie insignificanti con uomini ricchi e potenti che possono esserle d’aiuto. Qualcuno, più sensibile, ha intuito la sua rabbia meticolosa, ha colto il suo lavoro di progettazione di ogni gesto e parola ma non se ne è stupito: «Nessuno ci ama se siamo perdenti».
    Grän rappresenta con precisione chirurgica la visione del mondo di Marie, riproducendo attentamente il tono compiaciuto del suo disgusto. Non è un personaggio simpatico, Marie, ma meno simpatici ancora risultano i suoi colleghi: mediocri, illusi, vili e deboli; «la mia autodisciplina brilla nel confronto con le debolezze degli altri», dice di sé.
    Alla sua storia si intreccia quella di Anne, attrice che ha dovuto rinunciare alla carriera per la famiglia, quella di Leon, idealista cinico risolutamente deciso a difendere la propria immaturità, e quella di Max, uomo potente e ambizioso ma insoddisfatto.
    Sarà l’incontro di Leon e Marie, divenuta l’amante del potente Max, a cambiare completamente la situazione. Marie tornerà a innamorarsi, puntando per la prima volta sul cavallo sbagliato, e sfuggirà – ma solo per breve tempo – al delirio pianificato che occupa ogni suo pensiero e gesto.

    La parte migliore del libro è senza dubbio la prima. Il livore, la delusione, la frustrazione che ognuno dei personaggi confessa, il rancore per la società rispettabile e ordinata nella quale vivono richiamano alla mente le sarcastiche invettive di Dürrenmatt, Morselli o Thomas Bernhard contro l’ipocrita ordine del decoro, proponendone un’ulteriore lettura al femminile. L’apparizione di Leon, però, incrina l’asse del mondo di Marie. Innamorata, assalita da dubbi e da reminiscenze, incerta e impulsiva, Marie abdica alla propria asettica grandezza per ritornare a una dimensione privata, di amante e quindi di creatura incompleta e insufficiente. Una punizione all’amara superbia della protagonista, un contrappasso. Ma si tratta di un contrappasso non del tutto imprevedibile, un avvitarsi nello sviluppo dei caratteri e degli eventi che rende il testo meno limpido, a tratti prevedibile. Grän conduce il libro alla conclusione ma ampie zone del carattere e dell’approccio alla vita di Marie rimangono inesplorate, l’incontro con lei risulta spezzato dall’epilogo. Un buon libro, a momenti ottimo nella prima parte, ma che rinuncia a condurre fino in fondo le sue premesse. Una parziale delusione, anche se riscattata dalla lugubre ironia delle pagine dei ricordi d’infanzia dall’accurata perfidia di molti ritratti.

    Proprio al centro c’è un nutrito gruppo di lecchini, che di tanto in tanto esprimono un’opinione, quasi mai la loro; ma in fondo, chi ce l’ha davvero un’opinione? Abbiamo bisogno di averne una?

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