Stazione Rossa è un testo ambientato, come altri racconti e romanzi brevi di Aliette de Bodard, nell’universo ucronico di Xuya, ovvero di una Terra con un passato molto diverso da quello che conosciamo, dove sono stati i cinesi a scoprire l’America, divenendo così la principale potenza mondiale.
L’universo extraterrestre raccontato è governato da un imperatore viet e i rapporti sociali ed economici sono fortemente improntati a un formalismo tipicamente orientale, con frequenti citazioni di testi comuni tradizionali – ovviamente tra gli altri Il sogno della camera rossa, al quale la De Bodard dichiara di ispirarsi. In particolare l’Impero Dai Viet è in questo periodo vittima di una rivolta condotta dai feudatari che si vogliono liberare dal giogo imperiale.
Il giudice Linh giunge alla Stazione Prosperità «sospinta dai venti di guerra», ovvero salvata dai soldati del feudatario grazie all’intervento del suo primo luogotenente Giap, che, per salvarla, «l’aveva costretta con l’inganno a fuggire, ad abbandonare la sua gente».
La Stazione è governata da una Mente, una antenata di Linh: la bis-bisnonna
… era una cosa a sé, una vasta presenza oscura che sembrava piegare l’aria intorno, avvolgendosi all’oggetto al centro della stanza che avrebbe potuto essere un trono, (…) un albero con troppo spine, metallo che si contorceva e si scrollava come un pesce tirato a riva, i riflessi mutevoli che le ferivano gli occhi…
dalla quale è accolta con piacere, mentre la sua cugina, Quyen, prova per Linh un’istintiva antipatia, mista a invidia e a livore per la propria sorte ben diversa, quella di essere «poco più di una giumenta da riproduzione».
Sul rapporto tra le cugine, fondato su equivoci, incomprensioni e malanimo, è basato in buona parte il seguito del romanzo, su dispetti più o meno perfidi e continue mancanze di rispetto. L’arrivo di Dama Oanh, alta dignitaria imperiale, venuta in apparenza per una visita di cortesia, sconvolgerà il piccolo universo della Stazione, obbligando Linh a fare i conti con il tradimento che l’Imperatore le rimprovera e che può costare caro a lei e a tutta la famiglia. Ma un grave danno alla Mente impedisce agli emissari del Dai Viet, la Guardia Ricamata, di definire al di là di ogni dubbio un legame di sangue tra Linh e gli abitanti della Stazione. Il giudice Linh sarà processata da sola, ma il suo «tradimento» ha già trovato più di un difensore presso la capitale.
Scritto con cura e sensibilità, La Stazione Rossa ha il difetto di giustapporre senza riuscire a compenetrarli, un mondo congelato nella tradizione orientale e una tecnologia (e una politica) che appartengono di diritto al mondo della space opera. Imperatore, feudatari, giudici, antenati costituiscono un perfetto universo tradizionale dell’estremo Oriente che de Bodard1 – a lungo rimasta a contatto con la la società vietnamita – ricostruisce con attenta calligrafia, inserendo qualche passaggio che possa ipoteticamente collocarlo in un futuro tecnologicamente avanzato. Il dato reale è che l’intera vicenda non ha la necessità di svolgersi nello spazio in un lontano futuro, dal momento che con pochi cambiamenti potrebbe ambientarsi in un secolo passato sulla nostra amata Terra.
Ciò detto, resta il piacere del lettore, e in particolare di questo lettore di avere reincontrato, steso in bella copia, lo stile tradizionale dei capolavori della letteratura cinese, un elemento che può rendere la lettura estremamente gradevole.
1 Di Aliette de Bodard è presente in questo sito la recensione a una suo racconto presentato in Internazionale Storie: https://librinuovi.net/8244/internazionale-storie-a-cura-di-neil-clarke
Aliette de Bodard, Stazione rossa, Delosbooks Odissea 2013 [ed. or. 2012], pp. 142, € 11,80, trad. Marco Crosa
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