Ancora oggetti? E scrivere d’altro no? Storie di famiglia, avventure nei mari del sud? Spazio profondo, il solito omicidio nella stanza chiusa? Una storia sportiva, magari, o un po’ di sesso? Già Ma provate a immaginare una di queste possibili storie completamente priva di oggetti… Le storie prendono consistenza posandosi sugli oggetti, altrimenti sarebbero soltanto una rete impalpabile di parole.
Però ci sono storie e autori (e quindi lettori) per i quali gli oggetti assumono un significato centrale. Come questi racconti di Chris Priestley, illustratore e cartoonist inglese cinquantenne che, dal 2000, ha cominciato a pubblicare libri per ragazzi. Grande appassionato di narrativa del terrore, scrive storie leggibili a più livelli che, per i lettori adulti che condividono i suoi interessi, hanno il fascino della consapevolezza, di innumerevoli riferimenti comuni e di un buon mestiere.
Costruita con gli ingredienti del racconto gotico di un tempo, Le terrificanti storie di zio Montague è una raccolta di vicende inquietanti legate da una cornice. L’anziano narratore, zio Montague, vive in una casa isolata e desolata che sorge al termine di uno strano bosco. Solitario e molto conscio di sé, il giovane nipote Edgar è legato ai genitori da rapporti puramente formali mentre prova autentico interesse per il misterioso parente e soprattutto per le sue storie. Così, molto spesso, si accolla la traversata del bosco:
«Rammento di aver attraversato il bosco solo quando faceva freddo e c’era la brina o la neve».
E ne sopporta le presenze:
«Di tanto in tanto i bambini del villaggio si aggiravano furtivi nei paraggi. Non avevo niente a che spartire con loro e loro non avevano niente a che spartire con me. Frequentavo un’altra scuola. Non voglio sembrare snob, ma vivevamo in mondi diversi».
A casa dello zio, i due si accomodano nello studio buio, confortati da un fuoco che a malapena riesce a tenere a bada il freddo e l’oscurità e da un inglesissimo tè con pasticcini, e Montague comincia a raccontare. Le sue storie riguardano invariabilmente ragazzini dell’età di Edgar, spesso (ma non sempre) inglesissimi anche loro, nelle cui vite ordinarie si insinua l’improbabile, l’inaspettato, l’inspiegabile; ogni storia è legata a uno degli strani oggetti che gremiscono lo studio in penombra dello zio: vecchie stampe, soprammobili, piccole sculture che Edgar ritiene «rarità accumulate dallo zio durante i suoi viaggi». Ma, come spiega Montague:
«Gli oggetti che ci circondano sono… come posso dire? Sono posseduti una curiosa energia. Riecheggiano del dolore e del terrore cui sono stati associati […] colleziono ciò che nessuno vuole, Edgar, ciò che infestato, funesto … dannato»
Montague rivela soltanto l’essenziale dei piccoli protagonisti e degli adulti cui sono affidati; la loro sorte, quasi sempre infausta ma vaga, è più inquietante di un orribile destino dichiarato.
Il libro (che Newton Compton ci offre in una bella edizione rilegata e anticata) è arricchito dalle tavole di David Roberts, opere dark che interpretano liberamente e con talento le storie di Priestley.
Scorrendo i racconti, Il lettore avveduto trova – sia nell’impianto della narrazione, sia nei temi – riferimenti continui e stimolanti ad autori classici del genere; si comincia con il nome dello zio1 (voluto omaggio a Montague R. James), si continua con le vicende, raccontate, davanti al fuoco, da un osservatore informato dei fatti (ancora M.R. James e i suoi racconti di Natale, ma anche l’altro James, quello de Il giro di Vite) per finire con la strana casa dello zio (la casa bizzarra degli Addams, o quella tetra e solitaria degli ultimi Usher, o quella allucinata del Norman Bates di Psycho). A voi il piacere di scoprirne altri.
Rispetto ai classici a cui l’autore si ispira, ai racconti mancano pulsioni adulte come la lussuria e l’avidità, o il senso ineluttabile del destino di racconti come Ligeia o Eleonora o la Caduta di casa Usher. Il senso del peccato, o della trasgressione alle leggi umane e naturali – che quasi sempre permea la letteratura fantastica – qui è soprattutto una promessa, qualcosa che appartiene più al futuro dei protagonisti, che al loro passato, e questo rende le storie inconsuete e spiazzanti. Questi ragazzi non sono innocenti: già sanno mentire, riconoscere il male e farsene sedurre, e spesso mancando di empatia, ma sono anche abbandonati da adulti inconsapevoli, indifferenti, incapaci di vedere. Emblematico, in questo senso il racconto Il Jinn, uno dei miei preferiti. Terribili anche La scultura del demone (che mi ha riportato il sapore di qualche racconto indiano di Kipling) e Le offerte, velato omaggio al Golding de Il Signore delle mosche, ma anche a un terribile gioiellino della narrativa di genere come Sredni Vashtar[2].
Non tutti i racconti sono ugualmente ben riusciti, e non sorprende troppo che la parte più debole della narrazione sia la cornice, con la rivelazione della storia di Montague, che alla fine risulta ordinaria, benché coronata da un grandioso contrappasso.
A dire il vero, poiché i protagonisti della narrativa del terrore e delle ghost story sono, come tutti noi umani, creature ordinarie, l’ordinarietà di Montague è assolutamente adeguata; però… Può darsi che Montague non sia sufficientemente ordinario, o forse non sufficientemente umano. Decidete voi.
Chris Priestley, Le terrificanti storie di Zio Montague
Newton Compton 2010 , pp. 181, € 14,90, Trad. C. Manfrinato, Tavole David Roberts
Note
1. per conoscere i riferimenti utilizzati da Priestley per il personaggio di zio Montague vedere QUI.
http://spettacoli.tiscali.it/articoli/libri/10/04/le-terrificanti-storie-di-zio-montague-recensione.html
2. Sredni Vashtar è un breve racconto di Saki (Hector Hugh Munro) comparso per la prima volta nella raccolta Le cronache di Clovis (1912) e adattato numerose volte per il cinema, la televisione e la musica da camera. Nel racconto, il decenne Conradin, sorvegliato ed educato rigidamente da una cugina, comincia ad adorare un «dio» crudele e senza pietà personificato da un furetto…
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