Macchina come me è, dopo Solar, un’altra incursione di Ian McEwan nel mondo della sf, condotta senza dichiararlo. Si svolge in Inghilterra nel 1982, ma in un universo perfidamente alternativo, dove gli inglesi hanno perduto la guerra con l’Argentina, i Beatles non si sono separati, Margaret Thatcher con tutto il suo governo ha dato le dimissioni dopo la sconfitta militare e Alan Turing è a capo di un centro di ricerca in campo informatico.
Proprio dal centro di ricerche di Turing sono nati una serie di androidi intelligenti, costruiti imitando degli Homo sapiens di bell’aspetto, gradevoli, sensibili e dotati di una propria coscienza: gli Adam e le Eve. Il protagonista del romanzo, Charlie Friend, individuo poco pratico e prudente giocatore in Borsa, ha ricevuto una cospicua eredità dalla madre e, nonostante i suoi sogni piccolo borghesi, decide di investire una buona quota dell’eredità nell’acquisto di un Adam, spinto da una curiosità prometeica.
…Davanti a noi sedeva l’ultimo balocco, il sogno di ogni epoca, il trionfo dell’umanità, o l’angelo che ne annunciava la morte.
Insieme alla vicina di casa, Miranda, una ventiduenne che il buon Charlie cerca di considerare una cara amica, pur essendone visibilmente innamorato, assiste alla nascita di Adam, dopo sedici ore di ricarica elettrica.
…La sua voce era stata una sorpresa gradevole. Timbro da tenore leggero, buona rapidità di eloquio, garbata variazione di tono, al tempo stesso cortese e cordiale, senza traccia di servilismo.
Se l’incontro con Adam si rivela ben presto sorprendente e in diverse occasioni sconcertante, ciò che il buon Charlie fatica a comprendere è il tipo di visione e di giudizio che l’androide ha della propria esistenza e di quella di coloro che lo circondano. I suoi rapporti con Adam rimangono infatti su un registro incerto e cauto, senza che l’androide divenga un vero compagno di sbornie né un figlio ritrovato.
Quando Charlie giunge infine a coronare il suo sogno d’amore con Miranda la presenza di Adam si rivela in definitiva ciò che era stata fin dall’inizio: l’enigmatica esistenza di un problematico adolescente, carico di interrogativi senza risposta e dotato di una visione etica della vita che si rivelerà fatale per se stesso e per chi lo circonda. Una presenza davvero ingombrante, soprattutto quando emerge una scelta di Miranda, discutibile anche se condotta per buoni motivi. Tanto basta perché Charlie compia un gesto sconsiderato.
… Secondo quanto si legge nell’Antico Testamento, nel libro dei Proverbi, mentire è un abominio contro Dio. Ma il mondo delle relazioni pullula di menzogne innocue, per non dire preziose. Come facciamo a distinguerle? Chi scriverà l’algoritmo della bugia generosa che risparmia l’imbarazzo a un amico? (…) Ancora non sappiamo come insegnare a mentire a una macchina.
Le considerazioni finali di Alan Turing e la sua condanna possono rendere «nauseato e insicuro» Charlie, ma in definitiva non bastano a convincerlo che Adam è stato effettivamente un essere senziente, «una bella mente, migliore della sua e, temo, anche della mia».
Un tema che, curiosamente, sembra riprendere un topos della letteratura britannica, quella del mostro di Frankenstein, creatura più generosa, grande e amorevole del suo creatore. In questo senso il romanzo di sf di McEwan si rivela un testo incentrato sulle piccole menzogne e la banale esistenza di un piccolo borghese londinese, pronto a stancarsi presto della sua creatura quando questa si rivela più attenta, sensibile e fantasiosa di quanto sarebbe stato opportuno.
Un romanzo amaro e profondamente attuale, che mette in crisi il concetto di «futuro» come lo abbiamo immaginato e come probabilmente continuiamo a immaginarlo.
Ian McEwan, Macchine come me, Einaudi 2019 (ed.or. 2019), pp. 281, € 19,50, trad. Susanna Basso.
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