Fritz Reuter Leiber Jr. (Chicago 1910 – San Francisco 1992) era figlio di attori shakespeariani e da sempre appassionato di teatro (recitò a teatro e in alcuni film), nonché appassionato giocatore di scacchi. È considerato uno dei pioniere dell’Urban fantasy.
Per chi frequenta il mondo del weird e, più in generale, del fantastico sarebbe una fortuna imbattersi in questa preziosa antologia di Fritz Leiber, pubblicata per la prima volta in originale nel 1969, che contiene racconti scritti in un arco di tempo molto lungo ed è arricchita da un ultimo racconto del 1984. Il titolo originale dell’opera, Night Monsters, richiama alla mente più le creature dei nostri sogni che non i servitori di un potere crudele evocati dal titolo italiano, e la raccolta mantiene questa promessa. Questi racconti si mantengono in bilico tra due tendenze classiche del genere: quella che colloca il pericolo arcano nella realtà oggettiva del protagonista e quella che invece lo fa sorgere dalla sua mente; non piaceranno a chi va in cerca di sensazioni forti, ma saranno amati da lettori disponibili a entrare nel suo mondo onirico dell’autore e a seguirlo nei labirinti mentali che esplora, attuando quella sospensione di giudizio assolutamente necessaria per gustare la narrativa fantastica.
I temi che Leiber affronta qui ricordano quelli consueti della letteratura gotica e dell’orrore: il vampiro, l’abitatore sotterraneo che sale in superficie per rapire gli ignari umani, il doppio, i morti che tornano a tormentare i vivi… In realtà l’autore, considerato uno dei precursori dell’horror urbano, li distilla in modo estremamente consapevole, immergendoli in luoghi opprimenti come le periferie fatiscenti delle nostre città, a fianco di elementi consueti come i cartelloni pubblicitari, i bar o la casa di famiglia, per usarli come fari per illuminare il nostro mondo quotidiano.
Valga per tutti il paesaggio di Venice in Il gondoliere nero (1964): un luogo di squallida e ballardiana grandezza, ultima propaggine della periferia di Los Angeles, sogno defunto di imprenditori, divi e ricconi di inizio Novecento. Venice è una terra di nessuno solcata da canali artificiali e ponticelli di cemento ingombri di lattine e cartacce, popolata di roulotte di metallo e violata da trivelle che estraggono petrolio giorno e notte.
Non tutti i racconti dell’antologia hanno la medesima caratura, ma in tutti si sente la mano del maestro. Sto cercando Jeff (1952) e Il veterano (1960) sono racconti più che dignitosi e condotti in porto con abilità. Ma in altri il mestiere lascia spazio alla genialità e alla suggestione genuina. Uno dei racconti, La ragazza con gli occhi famelici (1949), è una profonda e anticipatoria riflessione sul mondo della pubblicità; citata spesso da Marshall McLuhan.
Ali nere (1976), forse il più affascinante e compiutamente onirico, è la rivisitazione di un tema non nuovo: il primo incontro tra due giovani gemelle in precedenza rimaste separate. Collocato in un’atmosfera di degrado urbano e di turbamento psicologico, popolato di richiami agli archetipi junghiani, il racconto suggerisce, senza risolverli, i nodi dell’identità maschile e femminile, dell’attrazione narcisistica come ultimo rifugio dal terrore del diverso da sé e dell’esperienza sessuale come momento di conoscenza ma anche di sperdimento.
Mezzanotte nel mondo degli specchi (1964), oltre che storia romantica (ma non inutilmente sentimentale) e pervasa da una singolare magia, è un invito a osare per avere, ad andare Oltre rinunciando all’ovvio, per quanto buono possa essere.
La luce fantasma (1984) è una vicenda fin troppo ricca di spunti e suggestioni, che ha come figura cardine l’anziano Cassius Kruger, un personaggio che incanta i suoi ospiti (figlio nuora e nipotino) con i suoi bizzarri discorsi fino a dar loro l’impressione di volerli manipolare. Mentre la tensione dei famigliari in visita sale senza un preciso motivo e vengono a galla brutte storie sul matrimonio di Kruger e passioni segrete del padrone di casa, il tempo peggiora,mettendo in pericolo il terreno franoso su cui sorge la vecchia casa di famiglia… Tutt’altro che perfetto, il racconto lungo si snoda fra citazioni di Montague Rhodes James e di Ambrose Bierce e accenni alle gite degli ospiti ai luoghi frequentati da Jack London (che avrebbero potuto essere omessi). Ma Il vecchio Kruger, professore emerito ed ex alcolista che divaga spendendo la propria cultura, pare un sornione autoritratto dello scrittore. Il paesaggio naturale è grandioso e la minaccia della tempesta è potente e inarrestabile. Uno dei più suggestivi «fallimenti» che possano capitare in mano a un lettore.
Lungi dal fornire brutalmente emozioni forti, le pagine più riuscite dell’antologia ricordano, in versione moderna, Hoffman con il suo simbolismo anticipatore della psicoanalisi. Leiber è un narratore lucido e distaccato o, come dice Giuseppe Lippi nell’introduzione, «un sognatore che sa di sognare», padrone di uno stile raffinato e ricco di humour, che tesse le proprie trame regalando ai lettori il massimo piacere intellettuale. È uno scrittore che non ricerca il crescendo orrorifico a tutti i costi, anche se qualche volta si diverte a celare la rivelazione nelle ultime righe del racconto per esplorare insieme a noi il cammino che vi conduce.
Il volume è reperibile nei remainder’s e negli store
Fritz Leiber, Creature del male, Mondadori, oscar «Horror», 1989, pp. 207, Cura e traduzioni di Giuseppe Lippi, Copertina di Karel Thole
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