Di Norman Spinrad Mondadori ha pubblicato a fine 1999 in Urania l’antologia Vamps, tre racconti sui vampiri scritti nei primi anni Novanta e un quarto, precedente e di ispirazione più nettamente fantascientifica: L’ultimo continente.
Comincio dal terreno che conosco meglio. In Tossicovampiri Dracul, spinto dalle difficili condizioni economiche e politiche rumene, decide di stabilirsi a New York, convinto che offra una nicchia anche a un immigrato speciale come lui. La fame è brutta, anche nella Grande Mela, ma le possibilità di incontri interessanti sono sicuramente maggiori che a casa (Bucarest il lunedì sera era l’ultimo grado della paranoia per il vampiro blasé di Amore al primo morso). Infatti appena sistemato in un alberghetto di quart’ordine Vlad ottiene il pasto in camera, senza nemmeno ordinarlo. Si tratta di una signora facile, ma il Conte non è schizzinoso, anzi, la tratta con cortesia d’altri tempi. Salvo perdere davvero le staffe quando scopre – ma ormai la loro emo-conoscenza è già molto progredita – che lei non solo è tossica, ma ha anche la scimmia… Comunque tra i due c’è feeling, e la relazione prosegue, sino all’ultimo morso! Divertente, anche nella contrapposizione tra la parlata elegante del conte e il gergo da marciapiedi di Mary, e abbastanza originale, ma niente di più. Carino anche il terzo: Il vampiro che non ingrassava, storia di uno strano vampiro bulimico, per il quale il sesso è solo un intermezzo tra un pranzo e uno spuntino, una merenda e una cena. Il secondo racconto, Quello che ti mangia, è invece un’occasione sprecata. Sullo sfondo di un’America corrotta e allucinata, dove tutti, forze dell’ordine comprese, sono dipendenti da virus che veicolano personalità addizionali (Kojak, Rambo, ecc) gli spaccia prelevano senza tanti complimenti una dose di sangue al primo che passa, ne frullano i virus insieme a quelli di tanti altri e li coltivano per venderli ai neurotossici. L’idea è molto suggestiva, degna almeno di Pat Cadigan, ma Spinrad gioca al risparmio e se la cava in una ventina di pagine, troppo poche per dire davvero qualcosa.

Norman Spinrad
Il piatto forte dell’antologia è l’epico e grandioso Lost Continent del 1988. Il continente perduto del titolo (che la traduzione italiana non rende affatto) è il Nord America del 22° secolo, sfruttato e inquinato fino all’inabitabilità dagli «uomini dell’era spaziale». Ridotti ad una potenza economica da operetta, gli Stati Uniti d’America vivono di turismo, organizzando costosi tour tra le rovine delle metropoli di un tempo per i nuovi potenti: gli africani. Condotto dalla guida bianca, un gruppo eterogeneo di turisti vaga in una New York deserta e sovrannaturale, velata di nebbia azzurrina e irrespirabile, un monumento tecnologico ai fantasmi folli che l’hanno consegnata allo smog e alle acque avvelenate. Il tour è l’occasione per uno scontro di caratteri che diviene confronto tra le diverse concezioni dell’umanità e le emozioni di Ryan, il bianco americano razzista che odia i fratelli neri da cui è costretto ad accettare il denaro, di Lumumba, l’amerafricano discendente dei neri dei ghetti americani, carico di rancore e di pregiudizi e di Kulongo, il rappresentante di una cultura alternativa, di una saggezza africana, non inquinato dalla venerazione per l’antica tecnologia. Uno Spinrad in stato di grazia che riesce a coniugare il suo interesse per le dinamiche sociali con il talento visionario e il coraggio di affrontare ambiguamente la fascinazione dei personaggi per gli uomini dell’era spaziale, per i miracoli in rovina resi possibili dalle loro conoscenze tuttora ineguagliate. Loro, i Signori di un tempo, sono i fantasmi maledetti di un mondo non a misura umana, un sogno di cui è impossibile liberarsi. In bilico tra proiezione futura e incubo nero e stralunato, L’ultimo continente è un racconto potente, difficile da dimenticare; al suo confronto gli altri sono graziosi, nulla di più.
Norman Spinrad, Vamps, Mondadori Urania 1376 [1999], pp. 220, € 6,90 (c/o Amazon.it), trad. Vittorio Curtoni
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