
Libro strano e affascinante, Culture dimenticate racconta di civiltà scomparse che forse avrebbero potuto cambiare davvero la nostra storia canonica, e che – se ambientate su altri mondi – sarebbero sfondi ideali per narrazioni fantastiche. Come spiega Haarmann
«Il presente volume è dedicato a venticinque esempi rappresentativi di queste civiltà outsider, la più antica risalente al paleolitico. Vedremo come molte di esse in realtà abbiano lasciato, eccome, una loro traccia modificando il corso della storia, ma sono state poi dimenticate perché i vincitori o le civiltà successive le hanno rimosse, tacendone, cancellandone o vietandone la memoria».
Le epoche entro cui l’autore spazia vanno da 320.000 anni fa al 1500 d.C. L’indice, che potrete trovare qui, vi aiuterà a farvi un’idea. Non potendo parlare di tutte le civiltà trattate dall’autore, sceglierò a mio gusto personale. E non stupitevi se il termine migranti ricorrerà spesso: in questo intreccio di storie, le popolazioni si spostano e si incontrano, e le loro culture si mescolano, travasandosi una nell’altra.
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Proveniente dall’Africa e stabilitosi in Europa e Asia meridionale, Homo heidelbergensis fu il progenitore dei Neanderthal, dei Sapiens e dei Denisova. Numerosi manufatti, risalenti a circa 320.000 anni fa, furono ritrovati nella bassa Sassonia, in un accampamento di cacciatori; tra essi otto lance perfette, in legno di pino o abete rosso, lunghe un po’ più di due metri. I lanciatori di giavellotto odierni riescono a lanciarne una alla distanza di 70 m. Gli antichi cacciatori lasciarono, probabilmente di proposito, le lance (il loro bene più prezioso) accanto ai crani dei cavalli che avevano abbattuto.

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Di migranti molto particolari si parla in Cacciatori di foche sulla calotta di ghiaccio. Secondo la cronologia convenzionale i Sapiens dell’era glaciale raggiunsero l’Alaska da Est, circa 15.000 anni fa, seguendo i mammut lungo lo stretto di Bering, allora bassopiano di Beringia. Poi, durante il picco della glaciazione, le due grandi calotte glaciali del Nord si saldarono, bloccando i primi «americani» in Alaska per migliaia di anni. Le tappe cronologiche convenzionali sarebbero quindi: Siberia Alaska interno del Nord America. Tuttavia, numerosi indizi riguardanti le culture materiali, l’eredità linguistica e la genetica richiedono una spiegazione alternativa. Alcuni studiosi hanno ipotizzato una colonizzazione del Nord America avvenuta tra 23.000 e 19.000 anni fa a partire dall’Europa occidentale. In tal caso, i cacciatori di foche sarebbero vissuti sulla calotta di ghiaccio, proprio dove sfiorava l’oceano; cibo, abiti caldi e materiali per costruire le loro basse tende sarebbero stati forniti dalle loro prede.
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Un’altra cultura affascinante, benché già nota, offre sorprese ben poco sottolineate nei libri di storia: si tratta di Çatalhöyük, la più antica metropoli del mondo. Abitata da migliaia di persone, la città durò dall’ottavo al sesto millennio a.C. A incuriosirmi non è tanto la pur notevole struttura urbanistica, ma la sua organizzazione sociale. In essa mancava
«un elemento ben noto nelle città di epoca successiva: la presenza di grandi edifici per i ricchi e palazzi per il sovrano. Dalle case di Çatalhöyük non si riconosce alcuna differenziazione della popolazione per classi sociali e non sono stati rinvenuti edifici di fattura più pregiata di altri».
La conclusione degli studiosi è che, probabilmente, non esistessero élite al comando, né un clero cittadino e nemmeno arredi funebri più curati per gli uomini. Anzi, pare che la donna avesse un ruolo culturale centrale in questa società, come dimostrano le sculture e gli affreschi. Haarmann suggerisce che la città, funzionando per duemila anni senza una gerarchia sociale, rappresentasse un unicum, «un modello alternativo di rivoluzione culturale nell’antichità».

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I capitoli 7 – La mitica Dilmun. Una metropoli commerciale nel Golfo Persico – e 8 – Tra Harappa e Mohenjo Daro. I mille e un insediamento della civiltà dell’Indo – sono collegati, quindi li tratterò insieme.
La civiltà Dilmun si sviluppò nel terzo millennio a.C. divenendo, grazie alla posizione geografica, uno dei più importanti crocevia commerciali del mondo antico. Reperti archeologici testimoniano l’esistenza di una lunga rotta via mare estesa dalla Penisola Araba fino in Mesopotamia e nella Valle dell’Indo. Le merci che passavano da Dilmun probabilmente erano legno pregiato, avorio, lapislazzuli, tessuti e alcuni beni di lusso come la corniola e le perle provenienti dal Golfo Persico, scambiate con rame, argento, stagno, lana, olio d’oliva e grano provenienti dalla Mesopotamia.

Gli scambi non si limitavano alle merci: le unità di peso e massa erano analoghe sia a Dilmun che nelle città sumere e nei centri di commercio sull’Indo; negli insediamenti a nord del Bahrain sono stati ritrovati sigilli con i simboli della scrittura indù e frammenti di scrittura cuneiforme; inoltre, i mercanti di Dilmun utilizzavano la scrittura cuneiforme sumera per le transazioni.
Le due maggiori città fluviali della valle dell’Indo – Mohenjo-Daro e Harappa – ospitavano tra i 30.000 e i 40.000 abitanti e oggi si trovano nel Pakistan. I popoli della civiltà dell’Indo non appartenevano alle genti autoctone: i loro antenati erano migrati da ovest nel sesto millennio a.C. e la loro società non conosceva le suddivisioni gerarchiche della civiltà sumera; gli insediamenti di Harappa
«danno l’impressione di luoghi in cui si praticavano l’artigianato e il commercio e in cui mancava qualsiasi struttura di controllo statale o amministrazione centralizzata […] Non sono stati ritrovati resti di edifici amministrativi o di tombe riccamente allestite che rimandino a un’élite dominante».
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Punt, la leggendaria «terra dell’oro» è uno dei miei capitoli preferiti. Il sottotitolo – La legazione di Hatshepsut, la donna faraone – è suggestivo, ma non lasciatevi sviare dalla data di riferimento, xv millennio a.C. Hatshepsut regnò nel xv secolo a.C.
«Hatshepsut fu una sovrana estremamente pacifica. Forse a buon diritto può essere ricordata come la prima regina della storia che con lungimiranza creò e garantì attraverso missioni diplomatiche, stabilità politica e relazioni commerciali con i paesi vicini».
La sua impresa più importante fu probabilmente l’invio di legazioni a sud, verso la costa dell’Africa orientale, in particolare nel Punt. Si ignora dove fosse ubicata questa regione, forse in zone dove furono trovati manufatti egizi, come il Sudan orientale, l’Eritrea o la parte nord-orientale della odierna Somalia; sappiamo solo che occupava un’ampia superficie, ricca di palme e scimmie, che i suoi abitanti conoscevano la lavorazione del metallo ed erano esperti navigatori. Le loro navi, infatti, attraccavano sulle coste del Mar Rosso per consegnare incenso, mirra, resina aromatica, ebano, avorio, pellicce di leopardo, scimmie, cani e probabilmente schiavi. Gli scambi si indebolirono nel corso dell’xi secolo a.C. All’epoca della dinastia tolemaica e della colonizzazione romana, il Punt era ormai soltanto una leggenda.
Talvolta mi chiedo come avrebbe potuto cambiare la storia se le relazioni stabilite fra Hatshepsut e Ati, la regina del Punt, fossero continuate in qualche retro-futuro.

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Fra queste culture dimenticate non potevano mancare Le misteriose Amazzoni. La comunità di guerriere del Mar Nero (i millennio a.C.).
«È esistita nella storia una popolazione di guerriere? E se sì, avevano un regno con a capo una regina? A un primo sguardo sembra che manchi qualsiasi fondamento che possa dimostrarlo».
Tuttavia, nelle Storie di Erodoto si narra di guerriere che organizzarono campagne militari contro gli sciti, che abitavano, fin dall’viii secolo a. C. la regione tra il Danubio e il Don. Gli sciti nutrivano grande rispetto per le Amazzoni, che chiamavano Oiorpata: assassine di uomini; ristabilita la pace, i due popoli divennero fratelli d’armi. Nella regione sono state ritrovate tombe femminili contenenti armi, per lo più archi e frecce, che rendevano irrilevante la differenza di forza fisica con gli uomini. Che fossero guerriere è testimoniato dalle loro ossa colpite da armi da taglio. È impossibile, ormai, accertare se esistesse o meno un regno delle Amazzoni ma, grazie agli artisti greci, esse divennero immortali, rappresentate su vasi attici, rilievi murari e fregi. Nonostante ciò, nella cultura greca le Amazzoni avevano connotati negativi:
«Non solo venivano considerate una minaccia per la tenuta dello Stato, in particolare ateniese, e della società, ma proprio perché, in quanto donne, solleticavano l’ambizione degli uomini di affermare il loro potere e il desiderio di sopraffare le rivali».
Tuttavia, nelle narrazioni dei popoli caucasici e iranici, gli uomini non furono così conflittuali e si impegnavano «con tutte le loro forze a trasformare queste Amazzoni in amanti, in compagne d’armi o in alleati, invece di ucciderle».

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Le piramidi di Teotihuacán. La più antica metropoli dell’America centrale
Il capitolo 18 ci porta circa a quaranta km da Città del Messico. Qui, intorno al v secolo d.C. ebbe il suo massimo splendore la città di Teotihuacán,la prima fondata sull’altopiano messicano, che divenne la più grande dell’America precolombiana. Essa ospitava una popolazione di circa 125-150.000 abitanti, si estendeva per 83 kmq e fu dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1987. Il centro della città era costituito dalla «strada dei morti».
Non conosciamo con certezza la provenienza e la lingua della popolazione, che però doveva essere multietnica, parlare più lingue ed essere organizzata in clan. Le abitazioni erano inserite edifici a più piani, un po’ come i nostri condomini. Ogni etnia viveva nel proprio quartiere.
Da un punto di vista religioso sono state individuate otto figure divine, la divinità suprema era femminile, forse una dea della vegetazione e della fertilità. La società utilizzava una notazione per i numeri e un sistema di scrittura logografica, con simboli che significavano intere parole, con i segni disposti liberamente.
«Sembra che al posto di una esaltazione dei singoli sovrani, nella società di Teotihuacán fosse diffuso un più generale culto degli antenati, e che gli edifici sacri lungo la strada dei morti […] fossero luoghi di venerazione degli antenati»

E qui mi fermo, sperando di avervi incuriosito.
Nel caso, buona lettura.
Nota: Per quanto appassionante il saggio ha un paio di mancanze. L’indice analitico. Un’amica mi ha fatto notare che l’autore potrebbe non averlo inserito di proposito; ma la sua presenza avrebbe agevolato la lettura, soprattutto considerando che la lettura sarebbe stata molto più agevole dati i tanti termini e i nomi di località ricorrenti. Non mi intendo di grafica, ma alcune mappe avrebbero potuto avere dimensioni maggiori agevolando la lettura dei nomi di località.
Harald Haarmann, Culture dimenticate. Venticinque sentieri smarriti dall’umanità, Bollati Boringhieri, 2020, € 22,00, Trad. Claudia Tatasciore
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