
L’arte, e la letteratura in particolare, vanno spesso alla ricerca di genitori illustri, rappresentanti e iniziatori di un canone, di un genere espressivo. Accade nel mainstream e, forse a maggior ragione, nella letteratura di genere. Nel mare magnum della narrativa fantastica, H.G. Wells è, senza dubbio, un genitore di quella forma e di quel genere in seguito codificati come fantascienza. Herbert George Wells, (1866 – 1946) fu narratore, giornalista, sociologo e storico nonché, per un certo periodo, docente di scienze.
Figlio di domestici divenuti con poca fortuna piccoli negozianti, Wells apparteneva alla classe medio-bassa e ricevette un’istruzione inadeguata, che seppe integrare con il grande amore per la lettura. Dopo svariati lavoretti, grazie ai propri sforzi, ottenne una borsa di studio e si iscrisse alla Normal School of Science di Londra. Qui frequentò il corso di biologia ed ebbe come insegnante T.H. Huxley, che influenzò fortemente il suo pensiero. In seguito divenne insegnante di scienze. L’educazione ricevuta era di status inferiore a quella classica, tuttavia si rivelò preziosa, introducendolo alla speculazione scientifica. L’ascesa sociale di Wells fu aiutata dalla forte espansione della stampa inglese dell’epoca: presto fu reclutato come recensore di libri e critico teatrale. Negli anni l i primi anni del secolo divenne attivamente socialista e aderì alla Fabian Society nel 1903. La lasciò, contestandone i metodi, nel 1908.
Brillante polemista di sinistra, Wells colse l’energia del periodo di passaggio tra xix e xx secolo, il superamento delle convenzioni del pensiero e della correttezza vittoriana. Visse in maniera libera, intrecciando relazioni con molte donne (giornaliste, intellettuali, scrittrici), con il consenso della (seconda) moglie, e, come dichiarò, «Ho fatto quello che mi è piaciuto», «Ogni piccolo impulso sessuale in me si è espresso». Nella sua visione la donna aveva diritto a scegliere i propri partner, non vincolata dalle restrizioni di un padre o di un marito.
Le opere fantastiche

Dopo un gran numero di racconti che spaziano dalla fantascienza al bizzarro e che furono raccolti nell’antologia Il bacillo rubato e altri casi (1895), nello stesso anno Wells esordì nel romanzo ottenendo subito successo. Negli anni a cavallo del nuovo secolo, ne produsse altri che dimostrano la sua spiccata originalità e fecondità di idee. L’immaginazione di Wells non si esplicava nel campo delle anticipazioni meccaniche e delle invenzioni tecnologiche come quella di Jules Verne, ma nella creazione di altri mondi e altre società, nei grandi scenari futuri, nel suo interesse per l’evoluzione sociale dell’umanità. Tra i grandi contributi che lo scrittore fornì alla fantascienza c’è l’estrapolazione del futuro a partire dal presente che, grazie a lui, divenne una pietra miliare della sensibilità moderna. Nicoletta Vallorani1 in Un’illusoria semplicità, sottolinea due qualità possedute dai romanzi fantastici più noti di Wells:
«la capacità di agganciare scoperte scientifiche stupefacenti al gioco dell’immaginazione, e lo straordinario talento nel mettere a frutto la nuova porosità del confine tra scienza e immaginazione»
La macchina del tempo (1895)

Primo romanzo di Wells, è anche uno dei più complessi e suggestivi. Alcuni uomini della buona borghesia londinese discutono della nuova teoria scientifica del padrone di casa. Lo studioso descrive il Tempo come una quarta dimensione esplorabile e progetta di viaggiare nel futuro grazie alla macchina del tempo che sta costruendo. Riconvocati giorni dopo, gli ospiti sono accolti dal padrone di casa stravolto e zoppicante, gli abiti logori e stracciati. Dopo essersi ripulito e rifocillato l’uomo racconta le peripezie vissute dopo il suo viaggio nel futuro.
Narrato con grande suggestione, il viaggio nel Tempo lo porta nell’anno 802.701 d.C. Il mondo raggiunto è un luogo paradisiaco, popolato di piccoli umanoidi fragili, pacifici e indolenti, che lo trattano con amicizia. Gli Eloi, questo il loro nome, trascorrono le giornate insieme, piacevolmente, nutrendosi di frutta che spesso trovano imbandite nelle sale degli antichi palazzi in cui vanno a riposare. Qui si rifugiano al crepuscolo, impauriti dal buio.
Incuriosito, il viaggiatore esplora la zona, ma al ritorno scopre che la sua macchina è sparita. Deciso a ritrovarla, la notte sorveglia i dintorni e intravede altre strane e minuscole creature, quasi albine, dai tratti scimmieschi e gli occhi enormi, intimorite dalla luce. Gli Eloi li chiamano Morlock e li temono. Le avventure che seguono, compreso il viaggio in una terra morente, lontana milioni di anni nel futuro, catturano i lettori grazie a un equilibrio felice fra romanzo di idee e scenari quasi cinematografici.
L’esplorazione del Tempo è il nocciolo scientifico del romanzo, ma il suo tema profondo è un intreccio immaginifico tra evoluzionismo, visione sociale e un pessimismo mutuato dal maestro Thomas Huxley, strenuo difensore della teoria di Darwin e dell’origine animale della specie umana, ma convinto che il percorso verso la civiltà e la moralità sia un processo artificiale, modellato dal linguaggio, dal pensiero e dalla cultura. Questo processo, per Huxley, è precario e può progredire o regredire non soltanto in senso culturale ma biologico. Negli anni Trenta, infatti, Wells dichiarò che questo romanzo era «un attacco contro la vanità dell’uomo», contro l’ipotesi che «l’Evoluzione è una forza […] che agisce sempre per il meglio dell’umanità»2.
Partendo da un presente nel quale il capitalismo prospera, Wells ipotizza che nel lontano futuro esso, benché trasformato, sopravviva. Al mondo giardino dei discendenti dei ricchi, lo scrittore contrappone il mondo officina sotterraneo: due mondi divisi sempre più dalla diversa educazione, dalla condanna dei matrimoni “misti”, dai continui ricatti degli abitanti del giardino verso quelli dell’officina.
«Una parte di costoro si adatterà a un’esistenza miserabile, e i ribelli troveranno la morte, fino al giorno in cui i sopravvissuti non si adatteranno perfettamente a una condizione di vita sotterranea e non saranno felici del proprio stato, così come gli abitanti del mondo superiore saranno felici del loro.»
Eliminate le possibilità di una democrazia parziale negoziata fra ricchi e lavoratori, o di una rivoluzione proletaria – resta solo il cieco determinismo biologico: le due classi si sono allontanate fino a divenire due specie biologiche.

Nella Macchina del tempo, come negli altri romanzi del suo primo periodo, il piano fantastico e quello ideologico si fondono felicemente, le idee si incarnano delle immagini: un efficace esempio è la discesa del viaggiatore nel mondo sotterraneo: la discesa nel buio è anche un viaggio nell’inconscio che cerca di sopraffare la coscienza.
Nella sua introduzione Vallorani ricorda una definizione che Joseph Conrad assegna a Wells e che “appare ancora oggi come più che adeguata per le sue scelte narrative: Wells è un «realista del fantastico»”3.
L’uomo invisibile (1897)

Uno sconosciuto giunge in un villaggio del Sussex e prende alloggio nella locanda. Alla proprietaria racconta di doversi rimettere da un grave incidente e di essere un ricercatore. A conferma, mostra due bauli zeppi di libri, boccette e alambicchi. Si comporta in modo sospetto: tiene le sue stanze sempre immerse nell’ombra, mangia solo in solitudine. Nessuno lo vede in viso: indossa cappello, bende, grandi sciarpe, perfino i guanti. La gente, dapprima, lo considera un diversivo e si sbizzarrisce in ipotesi fantasiose: è un bandito, o forse un negro, ha la pelle chiazzata come quella dei cavalli… ma i suoi modi altezzosi e l’indifferenza verso gli altri lo rendono odioso. Vittima non innocente delle ricerche che ha provato su se stesso, alla ricerca di mistero, potere e libertà, disposto a tutto per ottenerli e ora incapace di tornare alla condizione umana, il protagonista cade in preda a un delirio paranoico, diventando un pericolo sociale.
L’idea scientifica alla base di L’uomo invisibile è a suo modo grandiosa, ma il romanzo è forse il meno interessante per i lettori, che faticano a immedesimarsi. I bozzetti di vita rurale, i battibecchi dei paesani sono però molto riusciti, Wells vi si muove a suo agio, come dimostrerà quando, abbandonata la fantascienza, scriverà storie basate sulla vita della classe medio-bassa, attingendo alle esperienze di gioventù e narrando con grande empatia ed esuberanza speranze e frustrazioni di commessi, massaie, impiegati e insegnanti sottopagati.
L’Isola del dottor Moureau [1896]

L’origine animale dell’umano e l’impossibilità di regredire alla condizione animale preesistente sono elementi ormai ovvii per l’umanità attuale, ma non è sempre stato così, anzi la fatale tendenza a retrocedere a un grado inferiore di consapevolezza e di morale fino a diventare indistinguibile da una “bestia” è stato un elemento proverbiale del nostro giudizio sul mondo.
Con la nascita dell’etologia e con una descrizione più puntuale e attenta del comportamento e delle motivazioni animali, il punto di vista della nostra specie verso i nostri compagni di sopravvivenza sulla Terra è gradualmente cambiato, giungendo a postulare l’esistenza di una vera intelligenza animale, per lo meno per quello che riguarda alcune specie (cetacei, corvidi, polpi).
Il romanzo di Wells parte da quello che era il punto di vista largamente prevalente alla fine del XIX secolo / inizio XX, ovvero il profondo legame istintuale che unisce l’umano e l’animale che se, da un lato, rendeva impossibile il passaggio a un grado di consapevolezza maggiore tra gli animali, poteva favorire la discesa del comportamento umano verso una completa animalità, dominata dalla ferocia e dalla paura. Il dottor Moreau era uno scienziato stimato in patria, un grande vivisettore e studioso dell’anatomia umana e animale, ma la sue ricerche l’hanno presto isolato dalla comunità scientifica fino all’ostracismo e ad un esilio scelto dallo stesso Moreau, isolatosi in un’isola del Pacifico. Qui, in compagnia di mr. Montgomery, un alcolista animato da un curiosa simpatia per gli uomini-bestia, ha creato una popolazione di individui derivati, attraverso vivisezione, modificazioni morfologiche, impianto di tessuti umani e ipnotismo, da varie specie animali, individui in grado di parlare ma sempre a rischio di ritornare alla propria condizione animale, evitata a stento dall’enunciazione della Legge:
[…] Ogni volta che immergo una creatura viva in un bagno di ardente sofferenza dico: “Questa volta brucerò tutta l’animalità, questa volta creerò una creatura razionale. Dopotutto cosa sono dieci anni? Ci sono voluti centinaia di migliaia di anni per fare l’uomo»
Un incidente mortale eliminerà il dottor Moreau, scatenando la ribellione degli uomini-bestia che inizieranno a regredire, perderanno l’uso della parola e la conoscenza della Legge, ritornando alla loro condizione animale dalla quale, in apparenza, non possono liberarsi.
«Regrediscono. Non appena la mia mano si allontana, avanza strisciando la bestia, l’elemento animalesco torna a prevalere…»
Il protagonista, Mr. Prendick, finito sull’isola per un naufragio, è un semplice spettatore, inorridito e disgustato dagli esperimenti del dottor Moreau, incapace di elaborare una condotta accettabile nei confronti degli uomini-bestia e testimone del fallimento dell’esperienza. A risultare più accettabile per il lettore è così il complice del dottore, Montgomery, un individuo umorale e troppo spesso vittima della sua passione per l’alcool, ma affascinato dal rapporto che nasce tra lui e gli “umanimali”.
Da sottolineare la convinzione di H.G.Wells della tendenza dell’umanità alla regressione a una condizione animale, in questo evidentemente guidato dall’insegnamento di Thomas Henry Huxley che gli fu insegnante, sia pure per un breve periodo. La lettura di Huxley della teoria dell’evoluzione di Charles Darwin nella lettura fornita da H.G.Wells, è particolarmente incentrata sulla peculiare e straordinaria origine dell’umano con la tendenza sempre possibile a un ritorno allo stato animale che soltanto una rigida conoscenza della nostra origine può tenere sotto controllo.
Un romanzo che merita leggere, più per il complesso legame che si crea tra i tre uomini presenti sull’isola, che per la descrizione – sia pure estremamente attenta – del comportamento degli uomini-bestia che, inevitabilmente, risultano singolarmente fuori fuoco per un lettore del XXI secolo.

Numerosi sono stati i film direttamente tratti o ispirati al romanzo, il primo datato 1913, Île d’épouvante (The Island of Terror) di Joe Hamman, l’ultimo nel 2004 (Dr. Moreau’s House of Pain), di Charles Robert Band. Da segnalare in particolare L’Isola del dottor Moreau di Don Taylor [1977] con Burt Lancaster e Michael York e L’Isola perduta [1996] di John Frankenheimer con Marlon Brando e Val Kilmer.
La Guerra dei Mondi [1898]

L’Inghilterra dell’ultimo periodo del XIX secolo viveva un periodo di profonda instabilità, con un impero vasto e presente in ogni continente ma che andava presentando diversi elementi di crisi che sarebbero via via emersi nel corso del XX secolo. La Guerra dei Mondi è nato da questa visione, divenendo una vicenda compiuta con un autore/protagonista che racconta, in forma giornalistica, una storia assolutamente inedita e che, pur apparendo incredibile per un lettore di fine ‘800, ebbe un enorme successo.
Nel romanzo i Marziani, abitanti di un pianeta che è giunto al termine del suo ciclo vitale, sono giunti alla decisione di conquistare la Terra, rendendo la popolazione umana un semplice armento, destinato a costituire l’alimentazione degli occupanti. L’invasione viene condotta con proiettili sparati dalla superficie di Marte che appaiono ai terrestri come curiose meteore e che gradualmente arrivano sul nostro pianeta nella forma di «uno strano oggetto gigantesco, simile a un cilindro metallico».
Testimone dell’arrivo degli alieni è il protagonista: «Uno scrittore di discreta fama», che assiste alle prime mosse degli invasori, in realtà faticando a comprendere – come per il resto della popolazione civile – lo scopo della loro presenza nella campagna inglese. I marziani rapidamente si organizzano, creando i “Tripodi” con i quali rapidamente schiacceranno la resistenza armata dei terrestri e giungono ben presto ad attaccare Londra. Il protagonista vagherà, sfuggendo al micidiale “raggio verde” emesso dagli alieni, essendo testimone della geometrica perfezione della loro azione di genocidio di massa e finendo per trovare temporaneo asilo in una casa abbandonata. Qui, in compagnia di un pastore in preda a suggestioni mistiche e che definisce gli invasori come inviati dell’Armageddon, avrà modo di vedere da vicino i marziani e le loro macchine di morte. Quando ormai sembra tutto perduto, saranno i batteri – particolare volutamente grottesco: si tratta dei batteri responsabili della decomposizione organica – a decidere la partita, sconfiggendo definitivamente gli invasori, sterminati da umili ma micidiali malattie terrestri. Il narrare di H.G. Wells ripercorre con gusto paradossale la politica coloniale delle potenza occidentali, protese a dominare e distruggere le popolazioni degli altri continenti, e che lo stesso autore presenta così:
«E prima di giudicarli troppo pesantemente, dobbiamo ricordare quale crudele e estrema distruzione la nostra stessa specie ha imposto, non solo su animali, come gli ormai estinti bisonte e dodo, ma sulle sue razze inferiori. I Tasmaniani, nonostante le loro sembianze umane, sono stati interamente spazzati via dalla Terra in una guerra di sterminio portata da immigranti europei, nello spazio di cinquant’anni. Siamo tali apostoli di pietà da lamentarci se i Marziani ci portassero guerra nello stesso spirito? »
Un romanzo di costruzione perfetta, raccontato con la rapidità nervosa di un cronista consumato e in grado, nonostante le tante letture e riletture sia radiofoniche che cinematografiche, di scuotere anche il lettore del 2000 e passa. Un testo che rimane fondamentale per comprendere e valutare l’atteggiamento “imperiale” che dominò le potenze europee nel corso degli ultimi due secoli.
I primi uomini nella luna [1901]

Ho trovato qualche tempo fa, su una bancarella dell’usato, uno dei libri che hanno probabilmente più contribuito alla nascita della SF e in particolare della Space Opera. Si tratta de I primi uomini nella Luna, romanzo datato 1901 e più volte apparso in Italia – anche se al momento esaurito –, tra l’altro anche nell’edizione BUR Rizzoli datata 1958 che ho casualmente ritrovato. I primi Uomini nella Luna fa parte di quel gruppo di romanzi scritti da H.G.Wells tra il 1895 e il 1901 che comprende La macchina del Tempo (1895), L’isola del dottor Moreau (1896), L’uomo invisibile (1897) e La guerra dei Mondi (1898), tutti romanzi ancora notissimi e oggetto di numerosissime edizioni e di non poche riduzioni cinematografiche. I primi uomini nella Luna fa parzialmente eccezione alla lunga serie di pellicole girate a partire dai romanzi wellsiani, infatti dal romanzo furono tratti in tutto due film, il primo muto, girato da Bruce Gordon nel 1919, The first men in the Moon, il secondo nel 1964 da Nathan Juran – e con un finale che non ha molto a che vedere con il libro dal quale è stato tratto – , Base luna chiama Terra.
Ma vediamo, velocemente, la trama. Mr. Bedford, nel tentativo di sfuggire ai suoi numerosi e agguerriti creditori si nasconde in un cottage in campagna, cercando di scrivere un testo teatrale con il quale conta di recuperare un minimo di quibus e di salvare la propria situazione personale e finanziaria. Ma a disturbare i suoi sforzi di commediografo ogni giorno, più o meno alla stessa ora, appare uno strano individuo:
«Era un ometto corto, dal corpo tondeggiante e dalle gambe magre, agitato da movimenti a scatti […] Egli non si stancava di gesticolare con le mani e le braccia e di dondolare la testa, mentre gli usciva dalle labbra un continuo ronzio.»
Si tratta del dott. Cavor, curioso genere di scienziato, erudito (ma, particolare non secondario, non realmente colto), geniale e appassionato, teso alla ricerca di una sostanza «opaca» alla gravitazione – la cavorite – in grado di sfuggire alla gravitazione terrestre. L’incontro tra i due, il commediografo fallito e l’inventore di genio, avviene ben presto e i due progettano e costruiscono la loro nave, una grossa biglia metallica, che opportunamente guidata li condurrà sul nostro satellite. Questo non significa, ovviamente, diventare amici e infatti il rapporto tra i due non va mai oltre il connubio tra le fissazioni dell’inventore/ scienziato e i desideri venali di Mr. Bedford. Il viaggio è relativamente breve e i nostri giungono sulla superficie della luna all’alba di uno dei giorni lunari, equivalenti a quindici giorni terrestri. Hanno così modo di scoprire che sulla Luna le piante – come del resto l’atmosfera e l’acqua – seguono un ciclo bimensile, nascendo, riproducendosi e fruttificando nel breve periodo di irradiazione solare per poi prepararsi alla lunga notte e a una temperatura molto vicina allo zero assoluto.
[…] le vegetazioni che avevamo visto nascere, crescevano intorno a noi sempre più alte, più folte e più intricate. Le piante spinose, i cactus verdi e massicci, gli altri vegetali carnosi e fungosi, i licheni dalle forme sinuose e strane, sembravano moltiplicarsi all’infinito…
Il primo incontro con i seleniti non tarda molto. Si tratta di soggetti in apparenza dediti unicamente al lavoro di condurre al pascolo creature smisurate: i vitelli lunari. In breve, tuttavia, i nostri, inebriati da un fungo dalle caratteristiche allucinogene finiscono catturati dagli indigeni.
«Dava l’impressione che non avesse una faccia e tuttavia avrei preferito che fosse una maschera […] Non vi era un naso, e quel coso aveva due occhi sporgenti ai lati… Credevo che avesse le orecchie. Ma orecchie non erano… […] Vi era una bocca piegata all’in giù, come una bocca umana in una faccia dall’espressione feroce.»
I seleniti, presentati e descritti da mr. Bedford, vivono all’interno della luna e sono creature ispirate alle società di insetti esistenti sulla Terra. I rapporti tra loro e gli ospiti si risolvono in una quantità prodigiosa di equivoci e incomprensioni e in una serie di scontri, fughe, risse e inseguimenti, fino a quando mr. Bedford non riesce a ritrovare il veicolo con il quale sono giunti e a ritornare sulla Terra, lasciando il povero dott. Cavor alla mercé dei seleniti. Ma la vicenda non termina qui, Trascorso qualche tempo Cavor riesce a rimettersi in contatto con la Terra e a raccontare del suo incontro con i vertici della società lunare, fino all’udienza concessagli dal Gran Lunare in persona.
«I seleniti hanno una grande varietà di forme […] [e] sono anche, secondo Cavor, enormemente superiori agli uomini in fatto d’intelligenza, di moralità e di saggezza sociale. […] La luna è, in realtà, un vasto formicaio, nel quale [vivono] centinaia di varietà di Seleniti, con molte gradazioni fra una varietà e l’altra.»
L’udienza si rivelerà però fatale per il futuro del rapporto tra la Terra e la Luna. Cavor, infatti, spiegando la storia della civiltà umana alla principale autorità lunare non può nascondere l’importanza e il peso della guerra e della violenza nella storia umana, una condotta incomprensibile per i seleniti, cresciuti in una società di individui differenti e per i quali ogni mestiere o attività personale è determinata da una differenza fisica predefinita dalla società selenita. I seleniti, inorriditi, interromperanno i loro contatti con la Terra e impediranno al povero Cavor di riferire ai propri simili la formula della cavorite, determinando la fine dei rapporti interplanetari. Una vicenda che non trova alcuno scioglimento, lasciando le due razze isolate e potenzialmente ostili in un universo smisurato e indifferente. Un segnale particolarmente evidente della visione pessimista di Wells sul futuro dell’umanità, incapace di governare le immani forze e i possibili pericoli suscitati dal progresso della scienza.

I limiti del romanzo sono nella sua struttura nettamente spezzata in due, con una prima parte vivace, al confine tra la vaudeville e lo juvenile avventuroso e una seconda parte affidata alla voce del dottor Cavor dove non solo si raccontano gli aspetti essenziali della vita dei seleniti – mettendo tra l’altro in ridicolo la rigida separazione in classi tipicamente britannica – ma si avanzano riflessioni e osservazioni sulla società umana che tuttavia rimangono “isolate” dal contesto del libro.
Il rapporto tra il Dott. Cavor e mr. Bedford è, da questo punto di vista, esemplare. I due sono differenti per classe sociale e formazione intellettuale, per interessi, passioni, visione del mondo, considerazione per gli altri e rispetto per loro. Bedford si rivela curiosamente affine al mr. Griffin de L’uomo invisibile, come lui scarsamente interessato ai suoi simili – come, del resto, agli alieni; il dott. Cavor, d’altro canto, è come Griffin talmente interessato a essere finalmente valutato dal mondo della scienza da rischiare la propria vita e, negli esperimenti sulla cavorite, anche quella dell’intero pianeta. I personaggi di Wells risultano realistici ma sembrano mancare di una curiosità essenziale: quella per qualunque forma di vita non umana, il che, paradossalmente, significa scarso interesse per qualunque forma di vita tout-court. Quanto alla società dei seleniti, descritta frettolosamente dal buon dott. Cavor, è una società di formiche modificate secondo uno stile molto inglese: a tratti curiose, talvolta temibili, ma private delle caratteristiche in qualche modo «empatiche» che avrebbero potuto creare simpatia o partecipazione nei lettori. I seleniti hanno costruito una società «perfetta», come tale inaccettabile per la specie umana. Non esiste, per Wells, possibilità di comprensione o di reciproca simpatia tra le diverse specie. I suoi seleniti sono semplicemente una varietà di alieni un po’ meno pericolosa dei marziani de La guerra dei mondi, ma altrettanto incomprensibili e con i quali un accordo è impossibile, così come appare impossibile o meglio, non consigliabile, un rapporto economico che risulterebbe fatale per i seleniti. Torna a comparire, in sostanza, la diffidenza e la delusione di Wells nei confronti dell’Impero britannico che la guerra boera, in atto in quegli anni, dovette rafforzare e rendere più cocente.Il problema del rapporto tra le società aliene e la società umana rimase però al centro della letteratura fantascientifica e della speculazione antropo-sociologica degli anni a venir e H.G.Wells, da questo punto di vista, è stato un precursore che è fondamentale conoscere. Ci aiuterà a comprendere il senso reale della migliore Space Opera, quel genere di SF che spesso, sotto i panni di un semplice e innocuo divertimento crea dubbi, riflessione, diniego e in qualche caso resistenza.
- La fantascienza di H.G. Wells, a cura di Daniele Croci. La macchina del tempo, L’isola del dottor Moreau, L’uomo invisibile, La guerra dei mondi e I primi uomini sulla luna. Introduzione di Nicoletta Vallorani ↩︎
- H.G. Wells in The Scientific Romances, 1933 ↩︎
- La fantascienza di H.G.Wells, a cura di Daniele Croci. La macchina del tempo, L’isola del dottor Moreau, L’uomo invisibile, La guerra dei mondi e I primi uomini sulla luna. Introduzione di Nicoletta Vallorani ↩︎
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