L’uomo del censimento (ed.or. 2016) inizia con un bambino che scende a precipizio dalla collina dove abita con la famiglia per dire alla gente che sua madre ha ucciso suo padre. O forse è stato suo padre a uccidere la madre? C’è stato un omicidio, ma nella mente del bimbo le identità delle due persone coinvolte paiono mescolarsi.
Nel lungo flashback successivo, il lettore scopre che la storia è ambientata in una piccola città degradata, aggrappata a una vecchio ponte che la congiunge all’altro lato di una stretta valle, dove la città continua eppure è già diversa: «più vicina all’entropia». Sopra la città, che si appoggia alla ripida collina, vivono i «montanari», come il bimbo e i genitori. Il ponte è costellato di vecchi edifici in cemento, vuoti e polverosi, dove si rifugia una banda di ragazzini abbandonati. Dove siano finite le persone che li abitavano, su quali risorse contassero un tempo i cittadini, che cosa producessero… tutto è vago e misterioso. Nelle strade, dove terra e polvere si mescolano a frammenti di sacchetti di plastica, solo metà dei lampioni funzionano ancora e nelle case, soprattutto quelle sparse sulla collina, la gente usa lampade a gas e candele.
Il bambino vive con la madre, che lo protegge e gli offre un rude affetto, e con il padre forestiero, silenzioso e soggetto a violenti sbalzi di umore. La donna nutre la famiglia coltivando un orto di cui vende le eccedenze in città, l’uomo non è benvoluto ma ritenuto indispensabile dai cittadini che gli chiedono
… le cose che chiede di solito la gente – amore, soldi, di aprire qualcosa, di conoscere il futuro, di guarire gli animali, di riparare le cose, di fare il male a qualcuno o salvare qualcuno, di volare – e lui gli fabbricava una chiave.
La vicenda, narrata da una versione adulta del bambino, ora intenta a scrivere la propria storia di un tempo, torna finalmente al presente al termine del lungo flashback.
Quando il piccolo protagonista chiarisce che la vittima è la madre, le autorità cittadine indagano sull’accaduto, accontentandosi però della versione paterna: la coppia ha avuto un violento diverbio e la madre se n’è andata lasciando una lettera di addio. Nemmeno la banda di ragazzini che lo accoglie e lo difende è in grado di mettersi contro il padre che, mostrandosi sollecito e affettuoso, lo riporta a casa. E il bambino, nel suo modo ingenuo, comprende che dovrà cavarsela da solo. A cambiare la sua sorte, dopo mesi di incertezze e timori, compare uno strano sconosciuto gentile e determinato a completare il proprio lavoro di censimento, a costo di andare oltre l’autorità che gli è stata conferita da un potere centrale.
Pieno di sorprese eppure estremamente avaro di spiegazioni, il romanzo breve di China Miéville procede seminando indizi che, come nel fantastico più rigoroso, portano il lettore a dubitare di tutto: della memoria del narratore che, ormai adulto, potrebbe aver confuso gli avvenimenti, della buona fede del padre, dell’eccessiva diffidenza del ragazzino, della correttezza dei cittadini, della strana autorevolezza dell’uomo del censimento.

China MIeville
Le scelte stilistiche dell’autore sono sofisticate e complesse. C’è la sequenza temporale degli avvenimenti, volutamente contorta a cominciare dalla prima breve e drammatica scena della corsa del bambino, interrotta dal flashback e conclusa sessanta pagine dopo; c’è l’uso dei tempi – il passato per le vicende riguardanti il bambino, il presente per ciò che accade all’adulto – che talvolta si mescolano; c’è l’uso dei punti di vista, di solito la prima persona quando il narratore racconta di sé bambino e poi adulto; una regola che salta quando l’adulto parla in seconda persona al bambino o quando usa la terza persona quasi a prendere le distanze dal piccolo protagonista:
Aveva nove anni, credo, e non aveva mai corso a quella velocità, e nello scapicollarsi inciampava e più di una volta sembrò che stesse per cadere […] ma riuscii a mantenere l’equilibrio e scesi fino all’ombra della mia collina.
La citazione precedente appartiene al secondo periodo della prima pagina del romanzo e salta all’occhio che nella prima parte il narratore guarda il bambino dal di fuori, mentre poche righe dopo si immerge in lui per raccontare non soltanto le azioni compiute ma le percezioni di allora.
La città ai piedi della collina è un’altra delle città di Miéville, come le due che si intersecano e convivono in La città e la città, come Embassytown, come la città di superficie e il suo doppio sotterraneo di Un regno in ombra, come l’insieme di quartieri allucinanti di New Crobuzon in Perdido Street Station… Del mondo che la circonda e del suo passato, l’autore dissemina lungo tutto il libro indizi vaghi: uno o più conflitti che hanno coinvolto numerose nazioni hanno prodotto rovine, miseria e regresso tecnologico… un misterioso potere politico si sta consolidando e cerca di fare il punto della situazione. L’intero romanzo sembra costruito per esasperare il lettore.
Contemporaneamente, però, L’uomo del censimento è una storia di formazione che racconta il mondo adulto visto dagli occhi di un bambino intelligente e intuitivo alle prese con le prime elaborazioni astratte sulle regole da seguire e sul Potere, la Legge e la Giustizia. E mentre compie i primi passi verso l’età adulta, il ragazzino, che dovrebbe poter contare sulla guida e la protezione di adulti che lo amino, impara che gli adulti possono sparire dalla sua vita o rappresentare un tremendo pericolo, e che dovrà contare solo su se stesso per dare senso e direzione alla propria vita. Nel gioco di specchi tra il bambino e l’adulto che diventerà, infine, la storia suggerisce riflessioni sul valore dei libri che passano di mano in mano e sul significato del leggere e dello scrivere:
Il mio capo mi ha detto: Non si mette mai per iscritto qualcosa se non perché venga letto. Ogni parola mai scritta viene scritta per essere letta.
Sì, L’uomo del censimento (finalista al premio Hugo 2017) è davvero uno strano romanzo pieno di misteri, che lascia con molte più domande che risposte e che per questo motivo non piacerà a tutti i lettori.
Personalmente adoro questo genere di libri e non mi dispiace affatto che la trama resti per giorni impigliata nella mia mente in attesa che la narrazione si «raffreddi» e io rimetta un po’ d’ordine, solo un po’, perché il fantastico è un patto tra autore e lettore e io accetto di ballare alla musica di China Miéville, invece di pretendere di imporre la mia.
China Miéville, L’uomo del censimento, Zona 42, 2019, pp. 189, € 13,90, Trad. M. Testa
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