«Dall’autore de L’impero del sole, un nuovo, straordinario romanzo ai confini della realtà», recitava a suo tempo la quarta di copertina del volume, nell’ingenuo tentativo di sedurre il lettore che aveva apprezzato l’opera mainstream dello scrittore inglese, nascondendogli nel contempo, che questo Hello America è molto al di là di un romanzo realistico, trattandosi di un testo di fantascienza. Il risultato di questa ridicola manovra è probabilmente stato quello di scontentare molti lettori che non amano la sf, senza viceversa essere notato dagli amanti del genere.
Strano destino quello di James Graham Ballard, autore tra i più significativi e originali degli ultimi decenni, direttore negli anni ‘70 della rivista inglese New Words, insieme leggendaria e/o famigerata tra i più attenti lettori del genere sf, per i suoi spericolati – talvolta gratuiti – tentativi di sperimentazione letteraria, segni di un’epoca nella quale potevano emergere i talenti di U.K. LeGuin, di N. Spinrad, di J. Brunner, di R. Silverberg e di molti altri, creatori di universi complessi, problematici e ricchi di stimoli e provocazioni, che hanno – anche se solo per pochi anni – trascinato la sf fuori da suo ghetto di letteratura di pura evasione, senza dimenticare il senso della parola di-vertimento, ovvero divergere dalle regole.
Strano destino, dicevo, quello di essere un autore comparso in Italia per anni solo su Urania – non sapremmo dire quanto mutilato o storpiato dalla cure di Fruttero e Lucentini – con opere di notevole spessore come Pianeta d’acqua, Vento dal Nulla o il meraviglioso La foresta di Cristallo [uscito da Longanesi e in seguito da Baldini & Castoldi e quindi per Feltrinelli] e lo stesso Hello America, pubblicato in Urania con il titolo Ultime notizie dall’America, passate in assoluto silenzio e divenuto infine famoso con L’Impero del Sole, opera autobiografica e storica, ma soltanto una tappa del «lungo viaggio all’interno di se stessi» che già nelle pagine di New Words Ballard aveva indicato come unica via per una letteratura rinnovata.
Nel suo itinerario narrativo Hello America si pone in una posizione unica. Forse ultimo della sua serie «catastrofica», ha caratteristiche diverse dalle precedenti: il lettore non è testimone diretto della distruzione della società americana, annientata dalla fine delle risorse energetiche non rinnovabili, e l’agonia sociale degli USA è, per così dire, fuori scena, trovando le sue ragioni entro un universo politico piuttosto che in qualche catastrofe naturale.
I protagonisti del romanzo sbarcano a New York quando il dramma si è già consumato e gli ex-cittadini degli Stati dell’Unione hanno già trovato da una generazione asilo in Europa, Asia e Africa. La spedizione scientifica della quale fanno parte, inviata a investigare su inspiegabili aumenti della radioattività atmosferica che hanno la loro sorgente nell’America del Nord, fallisce ben presto il suo obiettivo e i suoi membri diventano semplici sbandati nell’incubo di un’America abitata da poche tribù di sopravvissuti, grottescamente adorni dei simboli di potere e prestigio degli USA dei nostri giorni, che narrano di strane visioni e apparizioni di astronavi di Star Wars sulle città abbandonate, tra le lunghe file di auto arrugginite.
Tra i miraggi Hollywoodiani, i ridicoli androidi degli ex-presidenti americani, gli elicotteri telecomandati nello stile Blue Thunder, in una Las Vegas fantasma, illuminata come nei suoi tempi d’oro, si consuma l’ultima tragicommedia dei superstiti della civiltà americana di questo secolo, simbolicamente capeggiati da un Charles Manson / Howard Hughes ultimo «presidente» degli USA, giocatore d’azzardo con i resti dell’arsenale strategico per difendere il suo sogno di ricostruzione dell’America perduta.

James Ballard
Questo Ballard è ricco di un’ironia sinistra e distruttiva: negli States essenziali e simbolici di Hello America i missili con la testata nucleare fanno parte dello stesso immaginario demenziale dove sfilano nel cielo le immagini laser di John Wayne, Gregory Peck, Alan Ladd ed Henry Fonda, ridicolizzando le nostre illusioni e i nostri miti di americanofili. Gli USA sono stati mistificazione, follia, ridicolo errore, dice Ballard, il luogo privilegiato delle nostre violente fantasie adolescenziali , delle quali è necessario liberarsi per diventare finalmente adulti. Non si tratta di un distacco senza dolore, naturalmente: il mito americano che ha segnato l’esistenza di intere generazioni di europei, l’America dei Western, delle auto smisurate, della libertà fatta di grandi spazi, l’America on the Road di Hollywood è dentro l’anima di ognuno di noi ed è anche una terribile bugia, un gioco assurdo al cui termine c’è soltanto la morte nucleare, il fanatismo igienista e puritano di Manson/Hughes e le città vuote, popolate delle carcasse delle grandi auto, monumento allo spreco, divenute inutili.
Hello America è stato forse il capofila del romanzo «ecologico»? Verrebbe da dirlo, leggendo le ultime pagine del romanzo, dove la rinascita sembra iniziare dagli alianti a energia solare che portano i protagonisti lontano dall’olocausto nucleare di Las Vegas. Se di un romanzo «verde» si tratta vorremmo tuttavia sottolineare che questo verde è intensamente politico e carico di un feroce sarcasmo, probabilmente nato dalla delusione, e che, soprattutto, il valore del testo non ha nessun debito nei confronti della tesi che ne emerge. Se è vero che compito del romanzo è quello «di spingere alla riflessione e presentare nuovi aspetti della realtà» Ballard ha ben adempiuto a questo tacito impegno con il lettore, cosa non da poco in questi tempi tanto poveri.
James Ballard, Hello America, Rizzoli 1989, [ed. or. 1981], pp. 262, Disponibile soltanto come usato, trad. Andrea Terzi
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