Nel 1924 l’opinione pubblica di Chicago venne sconvolta da un assassinio particolarmente efferato, noto in seguito come «il crimine del secolo»; la triste notorietà era dovuta sia alla giovane età della vittima, il quattordicenne Bobby Franks, sia all’appartenenza della vittima e dei due assassini (Nathan Leopold e Richard Loeb, minorenni anche loro) alla ceto ebraico più abbiente della città. Leopold e Loeb avevano frequentato la medesima università e venivano ritenuti ragazzi prodigio dai loro insegnanti. Ma a rendere il crimine tanto inconsueto da essere ricordato ancora ai giorni nostri fu il movente, anzi la sua apparente mancanza. Leopold e Loeb, che rapirono e uccisero Franks per poi chiedere in riscatto una cifra ridicola, non agirono per avidità, odio, vendetta o motivi ideologici ma per dimostrare a se stessi di saper compiere un crimine perfetto, facendola franca di fronte alla legge.
Le circostanze dell’omicidio, la richiesta di riscatto, il ceto degli uccisori e i loro successi scolastici disorientarono la polizia che, per diverso tempo, continuò a ritenere il criminale un malvivente avido e privo di scrupoli oppure un pedofilo.
L’intreccio di efferatezza e freddezza di Leopold e Loeb e il legame morboso che li univa, la strategia difensiva del leggendario avvocato Clarence Darrow, al quale le famiglie dei due ragazzi si rivolsero – non per farli assolvere ma semplicemente per evitare loro la forca – resero il processo un vero evento mediatico. E qui entrò in scena l’autore di Compulsion, all’epoca giovane reporter del Chicago Daily News. Meyer Levin aveva collaborato a «coprire» il caso e nel libro, scritto circa 30 anni dopo il processo, narra in prima persona le proprie esperienze, diventandone un personaggio chiave con il nome fittizio di Sid Silver. Sid, come Meyer, è un giovane e promettente studente ebreo che frequenta la medesima università di Nathan Leopold (Judd Steiner nel romanzo) e Richard Loeb (Artie Strauss). L’espediente di cambiare i nomi dei protagonisti (la vittima diventa Paulie Kessler e il difensore Jonathan Wilk), così come l’introduzione di un personaggio femminile, consentì all’autore un maggiore distacco e la possibilità di studiare Leopold, il più complesso e sfaccettato dei due assassini, in maniera più approfondita.
L’opera esplora le motivazioni dei due giovani e drammatizza il notevole lavoro di Darrow- Wilk che li salvò dalla forca. Ogni dettaglio del crimine trova una corrispondenza nel resoconto di Levin; l‘assassinio è il culmine di un piano minuzioso, eppure assurdamente pieno di «buchi» e ingenuità, messo a punto per mesi dai due ragazzi, mentre di notte – uniti da un patto superomistico colorato di omoerotismo che li rende invincibili – commettono piccoli crimini a Chicago e dintorni.
La prima parte di Compulsion è la cronaca di un caso poliziesco che inizia la mattina del delitto, con Steiner e Straus che tentano di portare a buon fine la loro elaborata richiesta di riscatto. L’omicidio viene rivelato gradualmente con una serie di flashback.
La seconda metà del libro, invece, è focalizzata sul processo, altrettanto epocale del crimine, durante il quale la difesa, riconoscendo fin da principio la colpevolezza dei due clienti, segna continuamente la differenza tra il diritto della collettività a essere difesa dai criminali pericolosi e la sete di vendetta che non può essere assecondata dalla legge. Che cosa, nel loro passato, ha condotto Artie-Richard, l’affascinante sociopatico, e Judd-Nathan, l’introverso arrogante, a commettere un crimine atroce e inutile? Questa è la domanda che (si) pone continuamente Wilk, usando le vere parole di Dallow. Per rispondere e controbattere adeguatamente difesa a accusa brandiscono perizie psichiatriche, interrogano medici, scavano nella vita dei due ragazzi. I testimoni, compagni di studi, appartenenti alle confraternite studenteschi, amici, parenti si susseguono disegnando non soltanto le personalità inquietanti e prive di empatia dei due colpevoli ma il gruppo sociale di appartenenza, i concetti filosofici mal digeriti dagli assassini, le teorie freudiane appena diventate di moda nel 1924 (ma ormai consolidate e comuni nel 1956). Artie e Judd sono l’immagine deformata della società occidentale di allora, e l’individualismo privo di sponde dei decenni a venire. Levin, corrispondente di guerra in Europa nella Seconda guerra mondiale, scrisse il libro dopo aver visto ciò che all’epoca del processo aleggiava soltanto come un presentimento inavvertito.
Mi è sempre sembrato parte di questa tragedia il fatto che le vittime fossero in qualche modo esterne ad essa… Nel mondo come io stavo per conoscerlo, le vittime contavano pochissimo.
Medita Sid in Compulsion. E un presagio dell’esplosione di odio razziale che attende quasi dietro l’angolo à il mondo qualche decennio più tardi si coglie nelle parole del padre, ebreo, di Silver:
C’è una fortuna in questa terribile faccenda. È una fortuna che [gli assassini] abbiano scelto un ragazzino ebreo.
E solo con il senno di poi i lettori comprendono che se la vittima di due ricchi e annoiati ragazzi ebrei fosse stata cristiana il crimine del secolo sarebbe diventato l’archetipo delle calunnie gettate addosso a tutti gli ebrei europei.
L’impatto mediatico di un processo legato a un intreccio di crimine e omosessualità e basato su uno scavo quasi feroce nella vita privata, nei legami famigliari e amicali di tutte le persona coinvolte, la diffidenza latente verso le persone colte (o almeno molto istruite) ha suggerito dei confronti non peregrini con il processo a Oscar Wilde.
Il paragone tra Compulsion e In Cold Blood è quasi d’obbligo. L’opera di Levin venne messa in ombra dal pur pregevole A sangue freddo anche a causa delle polemiche sollevate dall’opera di Capote, dalle accuse di cinismo voyeristico, e dal ballo in maschera con cui Capote decise di festeggiare l’ultima puntata della sua inchiesta. In realtà la non-fiction novel di Levin analizza una situazione molto più complessa di un brutale assassinio plurimo, e tocca temi quali il legame tra legge, giustizia astratta e pietà.
Meyer Levin, Compulsion, Adelphi Fabula, pp. 580, 2017, trad. G. Pannofino
Il caso, ma non l’opera di Levin (che è di 8 anni successiva) ispirò il film Nodo alla gola di A. Hitchcock (1948).
Direttamente ispirato al libro è Frenesia del delitto (1959), di Richard Fleischer, con Orson Welles.
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