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    Il Pianeta Tschai di Jack Vance

    • di Massimo Citi
    • Marzo 19, 2018 a 10:32 am

    Chi ritiene il ciclo di Guerre Stellari un esempio tipico della sf e che la ricchezza e la complessità del genere possa arrivare al massimo elevarsi ai fasti di un Retief di Keith Laumer, è meglio si dia una regolata se non vuole correre il rischio di ignorare alcuni tra i più stimolanti talenti della letteratura contemporanea e trascorrere il proprio tempo tra cascami hemingwaiani, Baricco e il suo epigonato ed Urban Fantasy a gogò.

    Jack Vance è stato per molti versi un autore esemplare della migliore Space Opera, un autore vivace, surreale, crudele, bizzarro, gelidamente umoristico e deliziosamente contorto, il tipo di scrittore che si sarebbe voluto incontrare nella Letteratura, quella con la «L» maiuscola», ma che si è limitato a pascolare nei campi della sf, funzionali al suo disegno eccessivo, inimmaginabile in un sano romanzo di tradizione realistica.

    Il Pianeta Tschai non è una delle opere del Vance più maturo ma è comunque un ottimo esempio delle sue notevoli capacità. Apparso negli Stati Uniti nel 1968 e completato nel 1970 è stato pubblicato per la prima volta in Italia nel 1971 in Urania ed ha conosciuto diverse edizioni in varie collane mondadoriane. Io posseggo sia la prima edizione che l’edizione uscita nel 1988 nei Massimi della Fantascienza, con prefazione di Riccardo Valla, presumibilmente scritta per altri romanzi di Vance, dal momento che non c’è una sola riga sul Pianeta Tschai mentre ci sono lunghe e interessanti osservazioni sulla produzione narrativa di Vance, da Il Faleno Lunare a L’Ultimo Castello all’Odissea di Glystra (o di Blystra, secondo il correttore di bozze mondadoriano…).

    The Planet of Adventure, titolo originale del ciclo di Tschai, ha un inizio assolutamente canonico, con l’astronauta Adam Reith naufragato nel corso di una missione di esplorazione al sistema di Carina 4269, dal quale, duecento anni prima, era partita una trasmissione improvvisamente terminata, che aveva raggiunto la Terra soltanto udito dodici anni prima. Giunto come unico sopravvissuto su Tschai, Reith si trova ben presto a dover tentare di sopravvivere su un pianeta abitato da quattro specie non umane: Chasch, Wankh, Dirdir e Pnume e dai loro emuli-servitori umani, probabilmente naufraghi di un’antica nave terrestre o forse vittime di una sortita sulla Terra avvenuta in tempi remoti e tenuti in condizioni di subalternità: i Sub-Chasch, i Sub-Wankh, i Sub-Dirdir e gli Pnumekin.

    Le vicende di Reith si snodano su un pianeta dalle molte facce, quelle delle quattro razze che lo popolano e delle loro varie forme, come avviene per i Chasch, divisi in Chasch Verdi, Chasch Blu e Vecchi Chasch, ossia alcune delle diverse varietà dei rettiloidi a suo tempo giunti su Tschai. Un pianeta perennemente sull’orlo di una guerra possibile che tuttavia rimane tra parentesi, stemperandosi in litigi di frontiera o in semplici truffe o in banali gesti di intolleranza reciproca. Reith riesce in qualche modo a sopravvivere tra le varie specie del pianeta, a tratti giocandole le une contro le altre in altre occasioni adeguandosi al (mal)costume vigente. Personaggio pragmatico e spesso del tutto amorale – sia pure per motivi giustificabili – Reith non cessa mai di cercare un modo per andarsene dal pianeta, qualche volta infinocchiato dai piccoli potenti locali in altre uscendo stanco vincitore da un confronto ravvicinato. Normalmente divertente, il romanzo giunge a una svolta nel quarto episodio, Fuga da Tschai (The Pnume) quando sulla sua strada di Reith giunge una Pnumekin molto particolare, una ragazza allevata dagli Pnume, una razza insettoide – probabilmente l’unica specie indigena del pianeta – che faticosamente sembra voler uscire dalla crisalide di comportamenti imposti e dall’uso di una droga che ne appiattisce gli istinti, primo tra tutti quello sessuale.

    Anche qui non si tratta di un elemento particolarmente innovativo in campo narrativo – la giovane timida che viene salvata dall’uomo maturo e gentile – ma che, all’interno del mondo ipogeo, severo ed enigmatico, dei Pnume assume un fascino particolare, permettendo a Vance di raccontare con humour il sottile fascino di un’avventura galante sicuramente fuori da ogni schema abituale.

    In Tschai l’autore fa una prova generale dei temi e dello stile raffinato che riprenderà, con esito magistrale, in altri romanzi come il Ciclo dei Principi Demoni o in quello di Lyonesse. In ogni caso un romanzo rimarchevole e sicuramente godibile anche a distanza di mezzo secolo dalla sua prima pubblicazione.

    Jack Vance, Pianeta Tschai (The Planet of Adventure), prima parte (Naufragio sul pianeta Tschai [City of the Chasch, 1968] / Le insidie di Tschai [Servants of the Wankh, 1969]), 2016 Urania collezione 165, pp. 240, trad. Beata Della Frattina, ed. in e-book € 3,99

    Jack Vance, Pianeta Tschai (The Planet of Adventure), seconda parte (I tesori di Tschai [The Dirdir 1969]) / Fuga da Tschai [The Pnume, 1970], 2016 Urania collezione, pp. 234, trad. Beata Della Frattina, ed. in e-book € 3,99

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