Pianeta d’acqua (Blue world) è un mondo suggestivo, interamente coperto dal mare, nel quale le uniche «isole» sono lussureggianti piattaforme vegetali che galleggiano sull’acqua come gigantesche foglie di ninfea. Spesse, ricoperte da membrane impermeabili e sufficientemente robuste da sorreggere interi villaggi e i loro abitanti, le foglie sono la parte emersa di piante acquatiche i cui tronchi e rami si perdono per chilometri nelle profondità marine. La gente delle isole discende da un gruppo di terrestri naufragati qualche secolo prima e vive in un arcipelago di foglie distanti qualche qualche chilometro tra loro, spostandosi su imbarcazioni di vimini impermeabilizzato e comunicando attraverso ingegnosi sistemi di lampade. Gli isolani sono divisi in caste chiamate con nomi surreali: malversatori, mascalzoni, pataccari, incendiari, falsari, pubblicitari…
Seguendo i comandamenti dei loro «pacifici» antenati, gli umani di Blue World aborrono la violenza, si riuniscono periodicamente in assemblee nelle quali discutono tra loro con il formalismo barocco tipico dei personaggi di Vance e, per pigrizia e buona grazia, rispettano tradizioni ormai vecchie di secoli. Il sistema delle caste è ormai residuale, anche se i vari membri sono tradizionalmente legati a determinati mestieri: ad esempio, i rispettatissimi pataccari – come l’eroe del romanzo – si occupano di manovrare le lampade, ossia le patacche.
Ogni risorsa del popolo delle isole deriva dal mare ed è di origine organica: i vimini, praticamente l’unico materiale da costruzione, sono ottenuti dai lunghi steli delle piante acquatiche, così come le vernici, le membrane impermeabilizzate, le farine; il cibo è costituito da baccelli e polline delle piante, pesci, frutti di mare e spugne… tutto viene riciclato, compresi i cadaveri umani che forniscono ossa robuste, ottime per fabbricare attrezzi. Sull’intero pianeta non esiste un milligrammo di metallo alla portata di una tecnologia semplice. Ma le cose stanno per cambiare.
Benchè Blue World venga considerato un’opera minore dal sapore vagamente fantasy, in realtà poggia su alcune ipotesi scientifiche per nulla campate per aria. Per prima la rete alimentare del pianeta che ha al suo vertice i kragen, predatori simili a enormi squali; territoriali, intelligenti e voracissimi, questi animali solcano il mare pattugliando le isole per scacciare i loro cospecifici e devastano sistematicamente i graticci di spugne degli isolani. Per difendersi dalle incursioni i discendenti degli antichi naufraghi hanno scelto un metodo pericoloso: nutrire il kragen più grosso e potente, il Re, consentendogli di divorare le spugne purché tenga lontano tutti gli altri. Chiamare la bestia a difendere l’arcipelago è compito dell’unica vera casta religiosa e potente, gli Intercessori… Ma il Re Kragen diventa sempre più grosso, mangia molto più di tutti i suoi cospecifici minori messi insieme. Sarebbe bene liberarsene una volta per tutte. Ma allora gli Intercessori, al momento onoratissimi e molto agiati, diventerebbero inutili. E qui la biologia si mescola alla sociologia e alla politica, perché alcuni isolani stanno covando una rivoluzione.
Oltre che una intrigante ecologia aliena, il romanzo presenta un’ipotesi astronomica per nulla banale, soprattutto considerando l’epoca in cui fu scritto: gli anni Sessanta: quella del«pianeta oceano» singolare anche se non unico esemplare della SF. Oggi l’esistenza dei pianeti oceano è un’ipotesi piuttosto accreditata; secondo i suoi sostenitori i pianeti che si formano oltre il “limite della neve”, cioè lontano dal loro protosole, possiedono, in forma ghiacciata, molte sostanze volatili come acqua, metano e ammoniaca, fino a 50% del loro peso; secondo numerose simulazioni, tali pianeti potrebbero migrare dalla loro orbita verso l’interno del sistema planetario spostandosi verso regioni dalla temperatura compatibile con acqua liquida. Si creerebbero così mondi intermente ricoperti da oceani profondi centinaia di chilometri. GJ 1214 b e Kepler-22 b – due delle superterre scoperte in questi anni – paiono buoni candidati a essere Mondi blu.
Oltre ai notevoli pregi il romanzo ha, ovviamente, qualche pecca: Meril, l’unica donna del libro, per quanto intelligente e libera pensatrice, compare solo qua e là, soprattutto nella mente innamorata del protagonista, senza avere parti di rilievo. In compenso la giovane ha le idee chiare: intanto sta per inventare la filologia d’autore, esaminando minuziosamente le diverse versioni dei diari dei naufraghi, vere miniere di informazioni tecnologiche per combattere il Kragen e, decide di fondare una università. Niente male.
Pianeta d’acqua fu pubblicato nel 1966, all’epoca della guerra del Vietnam, pochi mesi dopo il suo autore firmò la petizione dei falchi della SF che incoraggiavano il governo Usa a continuare la guerra. Eppure questo romanzo sorprendente contrappone alla rigidità sociale, alla corruzione e al potere religioso il sogno di vivere liberi, in maniera onorevole e democratica, e sostiene la guerriglia di chi si ribella alla dittatura. Una dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, che Vance era uomo di destra ma autore di razza.
Jack Vance, Pianeta d’acqua, Fanucci Bib. Fantascienza, 1976 [ed.or. 1966], 1988, pp. 196, trad. Maurizio Gavioli
Jack Vance, Pianeta d’acqua (Blue World + The Kragen), Mondadori Urania Classici 2010, pp. 348, trad. M.Gavioli, F. Alessandrini
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