Troppo lunghe per essere pubblicate in una rivista o troppo brevi per essere stampate da sole, le novelle sono state a lungo una forma di narrativa inaccettabile per l’editoria cartacea. Stephen King, tuttavia, ha sempre praticato l’arte dello scrivere novelle, – quella che egli stesso chiama ” la severa disciplina imposta dalle opere brevi di narrativa” – con esiti spesso migliori di quelli ottenuti nei romanzi, con buona pace dei suoi fan. In questa forma, che gli consente di sviluppare il tema e di regalarci dettagli preziosi senza dover poi sbrogliare matasse troppo lunghe e ingarbugliate, ha scritto cose come le varie parti di Cuori in Atlantide, (tra cui il lucido e profondo Willie il cieco) ….. e racconti come quelli contenuti in Il bazar dei brutti sogni, un’antologia di narrazioni lunghe e brevi, fornite ognuna di un paratesto di suo pugno che ne spiega la genesi e offre ai lettori diversi spunti di riflessione sulla scrittura. Tra aneddoti e cenni alle fonti di ispirazione dei racconti infila osservazioni non banali, quindi le piccole introduzioni vanno considerate un valore aggiunto del volume. Una per tutte:
Ogni tanto i racconti arrivano completi, fatti e finiti. In genere si presentano in due parti: prima la tazza, poi il manico. […] È impossibile mettersi alla ricerca di un manico, per quanto la tazza sia bella: bisogna aspettare che compaia da solo.
Ma non illudetevi: scrivere non è solo questione di riconoscere prima una bella tazza e poi il manico adatto. Nella introduzione generale King sottolinea quanto occorra lavorare per ottenere un buon risultato:
I racconti richiedono una specie di perizia acrobatica che comporta tanta noiosa pratica. Una lettura scorrevole è frutto di un duro impegno […] Una condotta ferrea è essenziale. Lo scrittore non deve allontanarsi dalla strada maestra, frenando l’impulso di seguire divagazioni allettanti.
E di solito, nei racconti King marcia dritto per la sua strada. Nei romanzi non sempre ci riesce. Ecco perché preferisco le sue antologie. Ma è ora di entrare nel bazar.
C’è moltissima merce sugli scaffali, mi soffermerò solo su quella migliore, tralasciando le brevi composizioni in versi e un paio di racconti ben costruiti e più che dignitosi; cominciamo invece da un trio di racconti che, in modi diversi, sprizzano ironia e divertimento. Miglio 81 potrebbe apparire una rivisitazione di Christine; l’auto infernale questa volta sta acquattata in una vecchia stazione di servizio abbandonata, ma il confronto finisce qui: c’è qualcosa di gioiosamente perfido in questa nuova auto-mostro, predatrice di benintenzionati che, uno dopo l’altro, finiscono malamente proprio nell’atto di rendersi utili al prossimo, mentre l’unico che riesce davvero a dare una mano è un aspirante teppistello. I personaggi, delineati con poche pennellate, sono pieni di vita e l’intera storia è uno scherzo nero che suscita qualche brivido ma anche il sorriso. Segue La duna, nella quale un vecchio Giudice dalla salute vacillante, lascia la propria ricca tenuta per fare visite periodiche a un’isolotto disabitato. Si conoscono da una vita, lui e la strana duna che fronteggia il mare aperto… Malevolo e contorto, il protagonista non ha altri motivi per vivere e sa che, a novant’anni suonati, la situazione non potrà che peggiorare, ma alla sua duna non rinuncerebbe mai. E tra poco il suo avvocato scoprirà perché. Il terzo, Fuochi d’artificio ubriachi, è lo spassoso scontro all’ultimo botto tra una ricca famiglia di origine italiana e un duo madre-figlio, due tipi tranquilli, amanti delle birre e del liquore al caffé. Gli elegantoni, riuniti intorno al danaroso patriarca, si godono la loro tenuta su una sponda del fiume, i due si impigriscono sul pontile della loro baracca sull’altra sponda e, ogni quattro luglio, si sfidano a chi spara il botto più grosso. E di botti, se si sa da chi comprarli, se ne trovano di veramente tremendi… Niente mostri in questa storia, a far paura è solo la stupidità umana.

Stephen King
Poi ci sono le vere storie alla King, quelle dove l’autore con uno spunto bizzarro aggancia il lettore e lo porta Oltre, capovolgendo le sue convinzioni iniziali e soffiandogli in faccia il vento di Altrove. Nella prima, Il bambino cattivo, c’è un ragazzino piovuto da chissà dove,
Sul metro e trenta di altezza, e robusto. Calzoncini grigi che gli arrivavano alle ginocchia e un pullover verde a strisce arancioni ben teso su un accenno di tette e sulla pancia tonda. In testa portava un berretto da idiota, di quelli con sopra un’elica di plastica.
L’immagine è nitida, descritta in maniera perfino un po’ crudele, ma il ragazzino se lo merita, perché sa raggiunge, come scoprirà il compagno di scuola che tormenta, un livello di cattiveria quasi (?) soprannaturale. Alla fine, anche il lettore più scafato viene colto dal desiderio di ucciderlo… Leggere per credere. A seguire Il piccolo dio verde del dolore, nel quale King adombra il calvario vissuto durante la riabilitazione dopo l’incidente nel quale venne investito da una grossa monovolume. Il protagonista della storia è pieno di soldi ma a nessun prezzo riesce a comprarsi la liberazione dal dolore… Amici, parenti e assistenti sono convinti che faccia le bizze ma non c’è buona volontà che tenga: guarire fa troppo male. Così il poveretto si affida a una sorta di esorcista, deciso a espellere il male da lui e… Apriti cielo.
Ur è il racconto più lungo e più singolare della raccolta, nel quale l’autore ha fatto un piccolo miracolo: è riuscito parlare di letteratura senza finire nel solito tunnel dello scrittore che racconta se stesso, ha rievocato fior di scrittori e di testi sacri rifacendoci ricordare quanti libri abbiamo ancora da leggere prima di uscire di , ci ha fatto balenare davanti un infinito continuum di multiversi e ha riesumato creature da paura già sfiorate in Cuori in Atlantide. Niente tazza e manico per questa piccola grande storia, come spiega King nella sua introduzione: fu Amazon a dare la spinta iniziale, chiedendogli di scrivere un racconto per il lancio della seconda versione del Kindle. Inquietante, con diversi personaggi ben abbozzati e la sciagurata deuteragonista che risulta una poveraccia infelice.
Poi c’è Morale una vicenda che inquieta in modo diverso; come dice l’autore: «quello di morale è un concetto elastico, non vi pare? Straordinariamente flessibile. Ma a forza di tirare a un certo punto qualsiasi cosa si rompe». E se qualcuno, con la terribile innocenza di chi non si è mai permesso di peccare, volesse indurvi in tentazione? Quale sarebbe il vostro prezzo? E quanto vi costerebbe guadagnarvelo?
Necrologi è, nonostante il risvolti un po’ soprannaturali, una riflessione sull’influenza di un certo tipo di giornalismo condiscendente e celebrativo. De mortuis nil nisi bonum. Però… Chissà perché Obits in italiano è diventato Io seppellisco i vivi? È così che compare nell’indice, ma io preferisco il titolo più sobrio scelto da King. A meno di non ricorrere a Coccodrilli, in puro gergo giornalistico.
Nella maggior parte dei racconti dell’antologia, però, l’aria che si respira è la nostra quella delle vite ordinarie dei problemi comuni, della vita che sfugge dopo averci logorati e ingrigiti. Un gran numero di racconti parla di piccoli orrori banali: Una donna muore d’infarto mentre sta comprando in una stazione di servizio, un uomo trapassa nella sua stanza in una casa di riposo.. una donna malata da tempo muore a casa sua, lasciando il marito sperso e incapace di accettare la separazione definitiva. E di questi, quelli che non vogliono portarci da un’altra parte ma soltanto aiutarci a vivere qui, adesso, parleremo la prossima volta.
Stephen King, Il bazar dei brutti sogni, Sperling & Kupfer, Pandora, 2016, pp. 504, € 19,90, Loredana Lipperini a cura di, trad. vari.
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