Un libro di sf. A volerlo definire così, cosa nient’affatto facile. Sto parlando di Jacques Spitz, autore francese che non è facile definire di fantascienza, anche se così viene sempre presentato. Di Spitz ricordo L’Occhio del Purgatorio (Urania 622, luglio 1973, trad. Bianca Russo), un romanzo di chiaro influsso surrealista e un vero fulmine nel panorama sonnolento e tuttora chiuso nel proprio recinto della sf italiana dell’inizio degli anni ’70, qualche anno prima dell’esperienza de L’Ambigua Utopia e di Robot. La strana esperienza di Mr. Poldosky, contagiato da un batterio che proietta i suoi occhi nel futuro delle cose, vedendole gradualmente decadere fino alla loro scomparsa, lo rende un romanzo insieme crudele e illuminante, un’agghiacciante rivelazione non richiesta per un pittore fallito nella Parigi dell’immediato anteguerra.
Spitz, nato in Algeria e morto nel 1963 a Parigi, non ha avuto nessun successo in vita e le sue opere sono tuttora difficilmente reperibili in Francia. È stato tradotto in Italia – e questo La guerra mondiale N° 3 raccoglie una serie di inediti – e solo parzialmente in altri paesi europei. L’aspetto caratterizzante di Spitz è il suo evidente legame con il surrealismo e con André Breton e il suo riferimento costante al sogno e alla follia che ritorna più volte nelle sue opere, basti pensare a Le Mosche – pubblicato in Incubi perfetti, Urania 1510, maggio 2000, nella traduzione di Giuseppe Lippi –, con i piccoli ditteri – una nuova specie, la Musca Errabunda – lanciati alla definitiva conquista del mondo e insieme a rendere pateticamente ridicoli i membri della specie Homo Sapiens, condannati a una rapida scomparsa, sopravvivendo solo in pochi individui attentamente osservati dai nuovi padroni della Terra.
Follia, certo, quella di Jacques Spitz, ma una follia sociale, diffusa, impossibile da controllare e che non si può in alcun modo fermare. In questo senso La guerra mondiale N° 3 è un perfetto esempio di follia pianificata, di una febbrile passione per la distruzione che sembra possedere tutti senza distinzioni di razza, di ideologia o di genere di economia. E lo squilibrio mentale è, secondo Spitz, il segno reale della nostra civiltà, capace in qualsiasi momento di ritornare a un grado zero di violenza e terrore. Ma non si tratta di un testo deprimente, sia chiaro, Jacques Spitz racconta utilizzando un grado variabile di humour nero tale da rendere le sue colossali stragi e i suoi titanici incidenti essenzialmente ridicoli, come se ci fosse stata donata una visione sovra-umana che permette di sogghignare davanti ai buffi drammi di un’umanità troppo stupida per sopravvivere. A completare il testo, troppo breve per un singolo Urania, sei racconti tutti a loro modo godibili, con una piccola predilezione personale per Dopo l’era atomica, breve e divertita cronaca di un incubo assolutamente imprevedibile.
Jacques Spitz, La guerra mondiale n° 3, Mondadori Urania Collezione, pp. 174, € 6,50, trad. Giuseppe Lippi
Per completezza di informazione su Jacques Spitz rimando volentieri ai blog di Arne Saknussem: Cronache di un sole lontano e a quello di Nick il Noctuniano, Nocturnia.
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