I volumi della collana «i luoghi del delitto» dell’editore Robin hanno come comun denominatore il fatto di essere ambientati in luoghi reali e rilevanti per il crimine e per le indagini; in parole povere criminali, vittime e investigatori sono tutti profondamente legati alle scene dei delitti e, con quelle date modalità, il reato non avrebbe potuto avvenire altrove. Così, i veri protagonisti dei volumi di Robin saranno, al di là della costruzione più o meno abile del meccanismo narrativo e del rispetto più o meno assoluto delle convenzioni del genere, i luoghi, le atmosfere di provincia, il tessuto socio-economico e la storia delle piccole città.
La scelta di Jean Failler, autore di Omicidio a Lorient, primo volume della collana, (e di conseguenza la mia di leggerlo) era in un certo senso obbligata: Failler è bretone, uno scrittore ex pescatore, ex pescivendolo, ex impiegato nel settore ittico, che vive in un villaggio a picco sul fiordo di Quimper e, ovviamente, conosce Lorient e le sue vicissitudini come voi conoscete il vostro quartiere. Appunto. Io sono stata da quelle parti una quindicina di anni fa e non me le sono dimenticate.
In una lingua dal sapore fortemente orale, Failler ci racconta un delitto di provincia, di dieci anni fa. Una piccola morte poco importante, neppure un omicidio, un semplice incidente, almeno così pare sulle prime: la segnalazione del cadavere viene ricevuta da Mary Lester, allieva ufficiale di polizia ventiquattrenne appena giunta da Parigi. Ma è un barbone, anzi il barbone di Lorient, sentenzia il superiore. Una caduta in acqua durante la solita sbronza, decide il superiore, e rimanda Mary tra le scartoffie dove l’ha confinata da quando è arrivata.
Mary è fresca di studi e scarsa di esperienza ma è sveglia e caparbia e non sopporta le arie da vero macho del superiore, così continua a seguire una traccia esile con l’aiuto dei pochi colleghi che non provano diffidenza e revanscismo nei confronti dell’unica collega femmina assegnata alla prefettura di Quimper a memoria di poliziotto. Ciò che viene a galla è un mondo chiuso e avaro di sé, pieno di immaginabili, ma non per questo meno intensi, desideri e odii segreti, peculiare perché quella di Lorient non è la provincia americana o quella inglese: è una terra di marinai, taciturna, «maschile» e protesa sul mare, che di mare ha vissuto per secoli e ancora ricorda i tempi nei quali da Lorient salpavano le navi della Compagnia delle Indie e che per sopravvivere in anni recenti è stata costretta a convertirsi al terziario, alla tecnologia. Ma Mary non è bretone, è donna in un mondo di uomini e pretende di mettere tutto a soqquadro soltanto perché la spiegazione più ovvia non la convince…
Inutile dire che chi conosce la zona, anche soltanto da turista frettoloso, si gusterà qualche atmosfera in più, riconoscerà qualche strada, qualche luce, ricorderà qualche profumo. Ma il romanzo di Failler non ha bisogno di questa complicità con i lettori per stare in piedi. La vicenda è ben descritta, l’intreccio funziona, i personaggi sono efficaci.
Unica pecca – veniale – la caratteristica che potrebbe essere più apprezzabile del romanzo: la scelta di descrivere dall’interno Mary Lester che, almeno in questo primo titolo della serie che Failler le ha dedicato, sta un po’ stretta nel ruolo di eroina in lotta contro i pregiudizi dei colleghi, il loro gentile paternalismo – quando va bene – o i patetici atteggiamenti da gallo nel pollaio quando va male. La medesima scelta condiziona il deuteragonista, che soltanto nell’efficace finale riesce a trovare la sua vera misura e a diventare significativo.
Comunque il voto è positivo, sia per Failler sia per l’editore Robin. Ho intenzione di seguire Mary in qualche altra avventura
Jean Failler, Omicidio a Lorient, Robin 2004, 2011 ed. or. 1992, pp. 137, € 9,90, trad. dal francese di Francesca Zuccatti-Schaal
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