L’onda dell’incrociatore di Pier Antonio Quarantotti Gambini è stato edito per la prima volta nel 1947 da Einaudi ed è ora riproposto da Sellerio nella collana «La Memoria». Io ne avevo un’edizione negli «Oscar Settimanali» Mondadori, datata 1966, con regolare copertina incollata alle pagine senza cuciture e quindi in avanzato stato di decomposizione. Quindi sono grato a Sellerio di averlo ristampato, anche per la possibilità di rileggerlo in una forma umanamente accettabile.
Che cos’è l’onda dell’incrociatore? Un romanzo, ambientato nel porto di Trieste. L’autore ha ricevuto il titolo come «regalo» da Umberto Saba al quale il romanzo piacque moltissimo. Io, che non sono Umberto Saba, sono comunque assolutamente d’accordo, non solo: mi spingo ad affermare che L’onda dell’incrociatore è uno dei più bei romanzi italiani di questo secolo. Anche se, forse, proprio italiano non lo si potrebbe chiamare. Ma queste sono opinioni personali. Passiamo ai fatti.
Partiamo dal racconto, dalla fabula, come insegnano all’università. Protagonista è Ario, figlio della proprietaria di una rimessa per imbarcazioni, abbandonata dal marito partito per l’America senza più dare notizie di sé. Ario è un ragazzo, che comincia solo ora ad avvertire i contrastanti impulsi di una sessualità nascente. Comincia a vedere la propria madre con occhi diversi, come donna e non più soltanto come genitore. Con smarrimento crescente sente che l’amicizia infantile con Lidia, sorellastra del suo migliore amico, Berto, assume in lui un’altra sostanza. La sua attenzione è richiamata dai giovani maschi che frequentano la rimessa (il mandracchio), alla ricerca di un modello, di un campione al quale consacrarsi. Conosce Eneo e se ne innamora di quell’amore sensuale ma senza desiderio che provano gli adolescenti. Eneo, campione di iole: quasi un uomo, forte, silenzioso, sicuro. Ario lo vede o forse solo lo immagina con la propria madre, a farsi mantenere per amarla. Berto gli narra di Eneo che compromette Lidia, che si apparta con lui sulla maona, la chiatta carboniera che staziona davanti alla rimessa di Ario.
Ario non conosce il proprio padre, non lo ha mai visto. Sa che è partito per l’America e sa che anche Eneo la sogna. L’America e una ricca americana che lo manterrà per tutta la vita. Eneo tuttavia lo tradirà presto e con lui tradirà le speranze e l’ammirazione di tutti i giovani del circolo che si allenano in porto. Non si presenterà alle regate di Napoli e ritornerà a casa solo dopo diverse settimane. Fallito, codardo, ma carico di un fascino sinistro, incomprensibile. Che cosa ha fatto? Dov’è stato? Lidia ne è innamorata? Si è concessa a lui? Gli si concede tutte le sere nella cabina della maona? Berto e Ario vogliono saperlo e organizzano uno scherzo crudele per smascherarli. Il drammatico finale porrà fine in modo irreversibile alla loro adolescenza.
L’onda dell’incrociatore è un romanzo che vive di menzogne, di voci, di mezze verità. Mai sereno, segnato da una violenza costantemente sottotraccia, che emerge soltanto in qualche pagina ma anche lì ambigua, raccontata, forse soltanto immaginata o sognata, e reale e tangibile soltanto nelle ultime pagine. Ario è condannato ad ascoltare e immaginare, fare ipotesi su stesso, sul padre lontano, sulla madre che sente in compagnia di uomini sconosciuti, che rientra tardi, che è diventata improvvisamente brusca. Su Lidia, talvolta gentile e più spesso lontana, remota, assorbita da una vita da adulta che non sa ancora vivere. A stabilire la fine dell’infanzia e soprattutto dell’innocenza di Ario sono le persone che lo circondano, che, come il padre, si allontanano seguendo traiettorie per lui incomprensibili, nate da sogni confusi e da volgari suggestioni cinematografiche. Ma Quarantotti Gambini non si sofferma mai a compiangere la fine dell’innocenza e il tramonto dei sogni, si limita a raccontare in maniera serrata, con uno stile nervoso, incisivo, meravigliosamente essenziale.

P.A. Quarantotti Gambini
L’onda dell’incrociatore ha i connotati compiuti di un «luogo», di un istante nel tempo e nello spazio al quale il lettore deve accostarsi senza chiedere né tregua né qualcuna delle forme di riguardo che usano adesso (qualche strizzata d’occhio, un filo di complicità con il lettore, citazioni, riferimenti, ammicamenti). C’è il rischio di scoprire di aver perso l’abitudine, lo so. Ma merita provare.

Trieste nel 1905
Pier Antonio Quaratotti Gambini, L’onda dell’incrociatore, Sellerio Memoria 2000, pp. 280, € 9,30
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