A suo tempo ho letto e gustato Codice e Biancaneve e quando ho ritrovato in libreria questo Sulla torre Antica, editoreLupetti & Fabiani nella nuova collana Porto Franco, l’ho senz’altro letto, iniziando un silenzioso conto alla rovescia terminato quando, pochi giorni dopo, ho ricevuto l’inevitabile e-mail. «Hai letto l’ultimo Giorgi? Ti è piaciuto? Lo recensisci, VERO?»
Così eccomi qui a parlare di un piccolo romanzo costruito in forma di dialogo e il cui tema più evidente è il fascino ambiguo della scrittura.
Mi spiego: il protagonista del romanzo – I.G. Oiram – è una persona abbastanza normale, non particolarmente vitale e con una certa tendenza alla depressione. Vanta tuttavia una particolarità: fin da giovane (e senza mai averle lette) ha fedelmente e integralmente riscritto le opere di Giacomo Leopardi. Il lettore lo incontra quando, stanco e amareggiato, ha deciso di porre fine alla propria esistenza terrena, intervistato (o forse sarebbe meglio dire tormentato) da un giornalista/esperto/letterato che, come moltissimi altri, non riesce a darsi pace della peculiarità assoluta di Oiram e deve, assolutamente, praticargli un’autopsia dell’anima.
Il romanzo non è altro che la trascrizione della conversazione tra i due, il racconto fedele delle perplessità e del dolore di Oiram, che – autore quasi per caso – si trova nella paradossale situazione di non saper o poter scrivere che storie e poesie che un altro ha già scritto, mentre il suo interlocutore lo preme, lo spinge, lo assilla cercando a tutti i costi in lui un’originalità che non può vantare, dal momento che è scrivendo esattamente come Leopardi che Oiram la esprime.
Il vero tema del testo, affrontato in maniera elusiva e paradossale, è quello della necessità/libertà dell’autore di scrivere e dei problemi suscitati dall’acquisire una dimensione pubblica – lettori, critici, media, industria editoriale – che finisce per definirlo, schedarlo, inserirlo in una corrente, in un gruppo, in un’ispirazione. Oiram, scrittore sincero e contemporaneamente involontario autore di un colossale plagio, finisce così per essere la vittima predestinata di un’arte dello scrivere che ha da tempo dato fondo a idee e sogni, nel quale nessuna novità dura più del tempo necessario perché qualcuno si alzi a dire: “Ma questo l’ha già detto XY!”
A questo proposito rimando al numero 1 di LN – LibriNuovi dove appariva un frammento del testo (che poi Giorgi ha eliminato), interamente dedicato a questo tema e che riportiamo in calce a questo articolo.
Sulla torre antica non possiede soltanto questa chiave di lettura.
É anche un esempio rarissimo (perlomeno in lingua italiana) di umorismo condotto sul tema del suicidio, ovvero di puro humour nero. Anche qui, come in altre sue opere, Giorgi conserva una rispettosa distanza dai suoi personaggi, li segue educatamente ma senza rinunciare a giocare loro scherzi mancini. Un esempio per tutti: I.G. Oiram è naturalmente follemente innamorato di una certa Silvia con la quale le cose, tuttavia, non vanno a buon fine. Il dolore della fine del loro amore spinge Oiram a scriverle montagne di lettere, indirizzate a Milena: «…dopo che ci siamo lasciati, ho preferito chiamarla Milena, mi veniva più facile.» e scritte, ovviamente, in tedesco, lingua che il protagonista non conosce: « … la mia mano obbediva direttamente al cuore. – E il cuore dettava in tedesco? – Suppongo di sì. »
Milena… |
Si può giocare con la Letteratura e i suoi Grandi Nomi?
A leggere le pagine finali del libro si direbbe di sì. Non solo, si tratta di un’operazione dettata insieme dall’affetto e dal gusto combinatorio per il Nome, nome famoso ritradotto in nome ordinario che tuttavia conserva il piacere di una conoscenza già fatta. Quando si legge della «Spedizione Delfini-Landolfi» o del «fido Alighieri» ci si sente allegramente smarriti, disponibili a tutto (o perlomeno a me è accaduto).
Molti hanno rimproverato al Giorgi di Codice un’intollerabile freddezza.
Sulla Torre Antica è sicuramente più friendly, l’imbarazzo del protagonista – vero imbarazzo di vivere – viene giocato su registri meno claustrofobici. Ma anche qui, probabilmente, si tratta soltanto di finzioni: risposte date senza che nessuno abbia fatto la domanda giusta.
Mario Giorgi
Sulla torre antica
Lupetti & Fabiani, 1998
pp. 120, € 8,26
VI.
* Mi scusi, sto ancora tentando di riprendermi dallo shock.
– Io non ho fretta.
* Come le è venuta in mente una cosa del genere? “Nomadismo di Venere”… Sa che, solo con il titolo, potremmo farci dare un lauto anticipo? I.G.Oiram, Nomadismo di Venere.
– Se fossi in lei, ci andrei più cauto.
* D’accordo, adesso mi calmo. Da dove cominciamo?
– Tocca a lei far domande.
* Venere chi è?
– Venere?!
* Sì, Venere. Chi è Venere?
– Le ho appena detto che è una teoria. Stava già pensando a un personaggio?!
* Certo.
– Non ci posso credere.
* Ancora non le entra in testa, eh? Lo capisce sì o no che abbiamo un disperato bisogno di storie? Come glielo devo spiegare?
– Non c’è affatto bisogno di storie. Di storie ce n’è fin troppe.
* Ah sì…? A me pare invece che scarseggino alquanto.
– Le posso fare un piccolo esempio?
* Non chiedo di meglio.
– La giornata-tipo di una persona qualunque prevede la visione di almeno un film o telefilm o sceneggiato o una serata a teatro. A volte si sommano, ne vedi due o tre o anche quattro in un giorno. Chi non esce di casa e non ha la televisione, di solito è un lettore onnivoro, e da duemila anni a questa parte si sono scritti libri a sufficienza per soddisfare anche il più famelico piraña della letteratura. Che bisogno abbiamo di storie? Assumiamo dosi massicce di storie di ogni tipo, ho calcolato che ognuno di noi si spara in testa non meno di 7-800 storie all’anno. Le sembra poco?
* No, ma…
– E non vale neppure l’obiezione dell’aggiornamento, e cioè di rinnovare il patrimonio, perché cinema & co. forniscono materiale abbondante proprio in tal senso, e spesso la qualità è più che buona.
* Sì. però…
– Lei vuole dirmi che un vero testo è un’altra cosa. Che la “poesia” latita, che il consumo rapido va a scapito della percezione profonda etc.
* Infatti.
– E allora non parli di storie. Le storie ci sono, eccome! La nostalgia per i grandi testi del secolo scorso, quegli enormi laghi in cui potevi nuotare liberamente per mesi interi, e rallentare in vista della riva, quasi riluttante a uscire da quell’acqua ospitale e refrigerante, è una nostalgia insensata. Per prima cosa perché quei testi si stampano e ristampano tuttora, e sono ancora tutti da leggere, se si vuole. E poi perché quel modo, quella funzione di stimolare un totale abbandono senza per questo procurare l’oblio in chi legge, ma anzi fortificandone l’intelligenza, è una funzione che si è spostata altrove, magari cambiando forma, magari – sì, lo ammetto – perdendo respiro, perché tutto è molto più veloce, sintetico. Ma non si può continuare a lamentare una mancanza di storie, mi creda.
* Ritiro, ritiro, non voglio misurarmi con lei su questo terreno. Eppure…
– Sì?
* Non pare anche a lei che comunque manchi qualcosa?
– Pare anche a me, sì.
* Che cosa?
– Se lo sapessi, probabilmente non sarei qui con lei.
* Probabilmente lei è qui con me proprio per tentare di scoprirlo.
– Può essere.
* Sono costretto a rifarle la domanda: perché scrive?… Anzi: perché scriveva?
– Non rispondo più a domande sui “perché”.
* Non è vero, poco fa…
– Sì sì, ha ragione, non dovrei generalizzare… Comunque a questa non rispondo.
* Che cosa le piacerebbe scrivere?
– Storie che non si possano riassumere.
* Cose confuse, intricate, cervellotiche?
– Bé…
* Storie-contenitore, vasi di Pandora, macedonie?
– No.
* Che altro? Che cosa non si può riassumere?
– Lo stile.
* Bella scoperta!
– Chiedo venia, ho detto una stupidaggine.
* Forza, ci provi: che cosa non si può riassumere?
– L’unica idea che mi viene è fare piazza pulita… Non capita anche a lei?… Ogni 40 o 50 anni bisognerebbe svuotare le menti dell’ultima generazione, liberarle dall’ingombro, fare tabula rasa, perché il peso delle esperienze di chi ti ha preceduto si fa così schiacciante che non riesci più a vivere le tue.
* Che cosa propone?
– Eliminare la letteratura, ucciderla, distruggerla.
* Addirittura!… Aspetti un momento: lei afferma questo perché è considerato il Poeta del Nulla, no?… C’è qualcosa sotto, insomma.
– Può darsi. Ma non sono il Poeta del Nulla.
* Lei come si definirebbe?
– Un deficit, un uomo-deficit.
* Vale a dire?
– Una mancanza, un vuoto, un segno “meno”…
* E questo le piace? La soddisfa?
– No.
* Ne va un po’ orgoglioso, comunque.
– Non più.
* Come mai?
– Non so dirle. Mi sembra solo…
* Cosa?
– Niente, un’intuizione… Ma è passata.
* Le vengono così, all’improvviso?
– Molto spesso, sì.
* Quanto spesso?
– Circa venti volte al giorno.
* Ma poi passano…
– Non tutte.
* C’è speranza, allora. Non mi ha ancora detto che cosa non si può riassumere: si faccia venire un’intuizione.
– Non infierisca.
* E lei non si atteggi, per favore.
– D’accordo.
* Dicevamo?
– Scrivere o non scrivere…