Non sottovalutate il racconto poliziesco: oggi è l’unico mezzo per diffondere idee ragionevoli.
Friedrich Glauser
Lo scrittore Friedrich Glauser (1896 – 1938) è relativamente noto in Italia e quasi soltanto per i romanzi polizieschi sul sergente Studer (Il sergente Studer, Il regno di Matto, Il grafico della febbre, Il cinese, Krock & Co, I primi casi del sergente Studer, tutti editi da Sellerio). Spesso indicato come il Simenon svizzero per la somiglianza superficiale di Studer con Maigret (ammessa francamente dall’autore), Glauser ha una cifra di tragedia e di instabilità estranea a Simenon, relatore lucidissimo delle inquietudini ambigue dell’animo umano. Morfinomane e oppiomane, con all’attivo una diagnosi di schizofrenia, Glauser morì giovane dopo lunghi periodi di internamento, prima in riformatorio poi in ospedali psichiatrici e in galera1 e dopo lunghi vagabondaggi e un periodo trascorso nella Legione straniera. Riversò queste esperienze di straniamento nelle altre sue opere, a cominciare da Morfina.
Lo sfondo dei romanzi polizieschi di Glauser è la Berna di inizio secolo, provinciale e calvinista, la provincia profonda, chiusa e gretta, pervasa dalla convinzione che soltanto lottando senza esclusione di colpi si possa restare a galla. Quello nel quale si muove Studer è un mondo dove non c’è posto per la passione o la follia, ma soltanto per la difesa a ogni costo dei beni materiali, l’avidità e, nel migliore dei casi, per il senso di colpa di fronte al fallimento economico, all’incapacità di assicurare alla famiglia condizioni di vita adeguate.
Il denaro, in sostanza, è il pensiero fisso dei personaggi dei tre romanzi a suo tempo pubblicati da Sellerio e ora raccolti in un unico volume; per acquisirne o per non perderne i personaggi si arrabattano, tramano, complottano, infrangono la legge, uccidono. Alcuni sono vittime dell’avidità altrui e della propria, pochi soltanto non ne sono ossessionati e di solito sono gente strana, che di primo acchito la giustizia, gravata di lungaggini burocratiche, individua come colpevoli. È Studer a salvarli, guidato dall’esperienza, dal fiuto e dalla capacità d’osservazione, ma soprattutto da un forma mentis eterodossa che lo fa schierare quasi inconsapevolmente dalla parte degli emarginati, dei deboli, degli altri. Qualche atmosfera fiabesca, un tocco di fantastico scivolano nella quotidianità realistica e spesso squallida delle indagini.
Nel primo romanzo, Il sergente Studer, un ragazzo con piccoli precedenti penali viene accusato di aver ucciso un commerciante vicino al fallimento. Il cadavere, rinvenuto in un bosco al bordo della statale, presenta una ferita letale da arma da fuoco incompatibile con un suicidio. Prove e movente sono contro il ragazzo, eppure Studer non crede alle apparenze… ben condotto anche come giallo, il romanzo delinea alcuni personaggi di spessore: c’è un anziano speculatore che cambia registro di comportamento a seconda dell’interlocutore, ora è un furbo campagnolo, ora un cittadino colto e navigato, e c’è la livorosa moglie del morto che, ritenendosi truffata dalla sorte, ha rinfacciato per anni al marito la sua inettitudine. Nella Svizzera ben organizzata e parca nella quale si muove Studer i soldi sono, come ovunque, il motore del mondo; di fronte ai soldi non esistono persone normali, tutti possono impazzire… Questa follia non va ammessa e nemmeno ipotizzata ma Studer ne è convinto e rievoca al giudice istruttore un caso raccapricciante avvenuto tempo prima in Austria.
Sì, sì – disse il giudice istruttore. – In Austria! Ma noi siamo in Svizzera!
Il secondo romanzo, Krock & Co., inizia in sordina in un paesino dell’Appenzell con la festa per il matrimonio della figlia di Studer. Il morto è un giovane impiegato di una ditta di San Gallo e gli indizi portano dritto a uno strano riparatore di biciclette, un cinquantenne solitario che vive accanto alla bottega, nella stanzetta che condivide con alcuni animali trovatelli: un cane, un maialino, una pecora… Tanto la casa è caotica, quasi sudicia, tanto la bottega e l’armadio del «bel tipo» sono immacolati; l’uomo non è affatto rozzo come sembra e non ha feeling soltanto verso gli animali: la collega svaporata ma di buon cuore del morto gli sta attorno, pronta a difenderlo. Il caso si complica con un altro omicidio, i guai di un’antica fiamma del sergente e la polizia cantonale che come al solito prende cantonate. Studer raccoglie notizie in paese, aiutato dal pastore che lo presenta ai parrocchiani abbacchiati e diffidenti.
Fare il contadino lassù non aveva mai fruttato molto, era un lavoro secondario, per di più. L’attività principale era stata il ricamo. E dopo la crisi tutte le macchine ricamatrici erano ferme. Prima – eh sì, prima! In ogni casa si cantava, a volte si imprecava anche, ma questo fa parte di ogni mestiere onesto.
questo dice il pastore, spiegando come i paesani siano stati truffati da speculatori senza scrupoli. ma è gente strana, testarda, che considera il fallimento un disonore e una colpa:
Ma voi credete che sia riuscito a convincerli a sporgere una querela collettiva per usura? Impossibile. Sanno lamentarsi, nient’altro. E vogliono pagare, se possono. Dicono che non vorrebbero diventare gli zimbelli degli altri paesani.
Restano in mente a lungo, molto dopo aver terminato il romanzo, questi montanari che producono i ricami e i pizzi di San Gallo di cui sentivo parlare mia nonna e le sue amiche. Allora non avrei mai creduto che quelle cosette eleganti fossero prodotte, o almeno lo fossero state ancora all’inizio del Novecento, dal lavoro di intere famiglie.
Vale la pena leggerlo anche per questo schizzo breve ed efficace della realtà economica, ma il romanzo piace anche per il sapore fiabesco, per il racconto delle ore notturne trascorse da Studer nella tana del riparatore di biciclette, chiacchierando a suo agio con l’uomo e poi con un suo fratello altrettanto ombroso e appartato, attorniati dagli amici a quattro zampe del «bel tipo».
Nel terzo romanzo, Il grafico della febbre, Studer, fresco nonno e lontano dalla moglie che si occupa del nipotino, trascorre il Capodanno da un collega francese. A Parigi fa la conoscenza di uno strano frate bianco che racconta una storia inverosimile a base di geologi fuggiti nella Legione Straniera, caporali veggenti e tesori nascosti. Che un caporale della Legione, sognando un fantasma morto quindici anni prima possa aver predetto due assassini che saranno commessi a Berna pochi giorni dopo è qualcosa che Studer non riesce proprio a mandare giù. Ma essere diventato nonno è troppo strano, troppo nuovo, una prova definitiva che la figlia, pochi anni prima ancora una ragazzina, è definitivamente andata, ha un’altra vita. Padre disoccupato il sergente prende sotto la propria la giovane figlia di una delle donne uccise. Per sbrogliare il caso, aiutandola, e per concedersi un’ultima avventura, Studer tornerà in Francia e poi, in incognito, proseguirà le indagini a Sidi bel Abbès, sede comando della Legione straniera francese.
Dei tre, Il grafico della febbre è il romanzo più avventuroso e canonico, anche se Glauser lascia cadere qua e là qualche pagliuzza luccicante di aura fantastica; è anche quello in cui i personaggi di contorno sono frutto di sapiente scrittura più che di vero e proprio pathos: Hedy, la signora Studer, moglie paziente e all’antica ma osservatrice, intelligente e fornita di una insospettabile vis ironica, il criminologo francese Godofrey, colto, creativo e attivissimo, il classico scapolo un po’ pedante e un po’ .. ma anche un amico fedele su cui Studer può sempre contare.
Nell’insieme i tre romanzi, come spesso accade alle opere di genere ispirate, offrono una lettura più complessa e profonda della semplice narrativa poliziesca ben costruita. L’ispirazione a Maigret per il personaggio di Studer (francamente ammessa da Glauser nonostante i due personaggi siano «nati» quasi contemporaneamente) non fa del sergente un semplice calco ben riuscito del commissario: la somiglianza fra i due (entrambi ponderati e robusti, entrambi metodici, curiosi e capaci di «respirare» l’atmosfera del crimine e di osservare gli indiziati fino a intuirne pensieri e moventi, entrambi sposati con donne-ombra che vivono più nei pensieri dei mariti che di vita propria) non deve trarre in inganno: Studer è insieme parte del mondo svizzero piccolo-borghese e perbenista e indagatore acuto, studia l’umanità con sguardo distaccato e senza illusioni ma va oltre, animato da una pietas e da un’aspirazione etica che Maigret non ha bisogno di possedere). Maigret – e Simenon dietro di lui – vede con grande acutezza le ambiguità umane, ma Studer sa che tra se stesso e l’assassino di turno, tra il «normale» cittadino e colui che uccidendo si pone al di fuori delle regole, c’è un margine strettissimo: il caso può spingere chiunque di noi oltre il confine e allora, nemmeno la compassione, l’etica e il rigore morale basteranno a salvarci; in questo suo senso del tragico, Studer somiglia senz’altro più ai personaggi del grande Dürrenmatt.
Glauser ha dimostrato che gli autori di letteratura poliziesca (e vorrei dire tutta la letteratura di genere), proprio come i colleghi che scrivono mainstream, svolgono un ruolo importante nell’indagare il mondo: accostano e intrecciano le vite dei personaggi più disparati, li costringono a confrontarsi, ad agire e a giustificarsi, a schierarsi da un parte o dall’altra nel campo in cui la sorte li ha posti a giocare.
Non abbiamo noi scrittori il dovere […] di far notare che esiste solo una differenza piccolissima, appena visibile tra «l’uomo malvagio, certo (in generale)» e tra quello «abile, ingegnoso, dalle riflessioni puntuali»2?
si chiedeva Glauser, rimpiangendo che il poliziesco fosse diventato ormai un «ermafrodito, metà cruciverba, metà problema di scacchi». Ma «Perché non è qualcosa di più? Perché non mira più in alto?». Glauser mira in alto, vuole narrare il mondo. Non ingabbiarlo, mimarlo, disegnarlo come il fondale di un teatro, ma evocarlo, distillarne l’essenza, mostrare ai lettori contemporaneamente di meno e di più del reale, concentrando l’attenzione su aspetti peculiari di esso e degli umani che lo popolano. Umani sgradevoli, penosi, qualche volta teneri, confusi sempre. Gente come noi.
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1. «Se proprio vuole scrivere sulla mia vita, per favore, attacchi un po’ gli psichiatri. E dica una volta per tutte che interventi, giochetti col destino come fanno questi signori, sono un gioco assai pericoloso. Quattro anni m’hanno tenuto dentro, e io sono d’una friabilità che forse per una torta di pasta frolla può sembrare una qualità, ma per un uomo è una vera porcata». lettera di Glauser a un suo biografo.
2. Lettera aperta di Glauser a Stefan Brockhoff, autore, sulle pagine del «Zürcher Illustrierte» di un decalogo per autori di romanzi polizieschi entrambe riportate in calce al libro.
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Opere di Friedrich Glauser
SERIE DEL SERGENTE STUDER:
Il sergente Studer (1936), Sellerio 2008
Il regno di Matto (1936), Sellerio 1988
Il grafico della febbre (1938), Sellerio 2008
Il Cinese (1939), Sellerio 1988
Krock & Co. (1941), Sellerio 2008
I primi casi del sergente Studer, Sellerio 1989
ROMANZI AUTOBIOGRAFICI
Gourrama, (1940), Sellerio 1990
Morfina, Sellerio 1995
Oltre il muro, Sellerio 1993
ALTRE OPERE
Il tè delle tre vecchie signore, Sellerio 1985
La negromante di Endor (racconti), Sellerio 1999
Dada, Ascona e altri ricordi, Sellerio 1991
Outsider (racconti), Casagrande 2008
Gli occhi di mia madre, Casagrande 2005
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