La fabbrica degli vespe di Iain Banks – , a suo tempo pubblicato come La fabbrica degli orrori – è un testo freddo, minuzioso, maniacale e pervaso di humour nero.
Frank, figlio adolescente di un uomo intelligente e contorto, colto e squilibrato, vive solo con lui su un isoletta scozzese, collegata alla terraferma da un breve ponte. Abbandonato tra campi di erica, pascoli di pecore, falchi e conigli selvatici, Frank ha come unico maestro il padre, che non l’ha nemmeno registrato all’anagrafe. Del genitore ha preso una misoginia profonda, al limite del disprezzo:
«I miei peggiori nemici sono le donne e il mare […] Le donne sono deboli e stupide e vivono all’ombra degli uomini e non valgono nulla al confronto»
e la passione per i rituali, la necessità di tenere a bada il mondo con procedure minuziose. Frank ha anche un fratello, Eric, di qualche anno più vecchio, già brillante studente di medicina, sino a che la follia non ha travolto anche lui, trasformandolo da giovane gentile e affettuoso in un demente che si dedica a bruciare vivi i cani e a riempire di larve di insetto la bocca dei bambini che incontra. Mentre Eric, fuggito dal manicomio, dissemina il suo viaggio di ritorno di cani abbrustoliti e telefonate folli e spassose al fratello, Frank continua la vita di sempre, diviso tra le pratiche tribali (uccisione e decapitazione di piccoli animali, manutenzione dei pali sacrificali ai quali appende le teste delle vittime), le bevute fino allo stordimento del sabato sera al pub, in compagnia del nano Jamie, il suo unico amico, e l’eterna rivalità con il padre. I due, infatti, combattono una guerra mai dichiarata: sarà Frank a vincerla, riuscendo a penetrare nel misterioso studio paterno, sempre chiuso a chiave, o la spunterà il padre, arrampicandosi finalmente – nonostante la menomazione alla gamba – fino in soffitta dov’è installata la “fabbrica delle vespe” che il figlio utilizza come oracolo?
A metà tra il vero gotico (del quale ha molti ingredienti: lo studioso folle che forza i limiti della vita, il senso del peccato, l’immanenza paurosa del mondo esterno, l’identità incerta dei personaggi) e il romanzo di formazione, ricorda a tratti Il signore delle Mosche, di William Golding per la tribalità quasi animista di Frank, e l’umorismo perverso e gelido del migliore Swift (Consigli alla servitù), nella descrizione obiettiva, persino serafica dei vari assassinii – ingegnosissimi – compiuti dal piccolo Frank in passato.
Eppure, a suo modo, è un romanzo pietoso che, nel finale incredibile e insieme unico possibile, regala a Frank e al lettore una possibilità di riscatto.
Iain Banks, La fabbrica delle vespe, Meridiano Zero 2012, pp. 240, € 14,00, trad. Alessandra Di Luzio
Iain Banks, La fabbrica degli orrori, TEA 2001, pp. 220, disponibile soltanto in forma usata, trad. Alessandra Di Luzio
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