Il persecutore di Julio Cortázar è stato scritto nel 1959, tradotto nel 1989 e ripubblicato neò 2003 (Einaudi, trad. Cesco Vian). Il persecutore – considerato da critici e lettori uno dei migliori racconti di Cortázar – è un testo scandito dalla passione per il jazz e per la letteratura.
Un luogo dove il tempo scorre più veloce e più vero, dove è possibile rivivere in pochi minuti un’intera giornata, e dove i colori, le emozioni, i volti e tutti gli infiniti dettagli della vita sono finalmente reali. Questo è il jazz per Johnny. Il suo sassofono è il passaporto per quel mondo. l’unico varco per evadere da un «qui» scolorito e scendere nel profondo. Sbandato, instabile, infedele, umorale, ubriaco e strafatto, incapace di tenersi in tasca quattro soldi, Johnny, un idiot savant che suona come un dio, è la creatura del critico musicale Bruno, l’esegeta che l’ha celebrato e spiegato al mondo. Ovunque, Bruno si prende cura di Johnny, la sua gallina dalle uova d’oro: gli cerca un albergo decente, gli presta soldi a fondo perduto, appiana i suoi debiti, rimpiazza il sax che Bruno è riuscito a perdere perché, come un grosso bambino nero, Johnny non sa badare a se stesso, sa «soltanto» suonare Ma Bruno, che adora la musica di Johnny e odia le sue bizzarrie e infinite chiacchiere, comincia a sospettare che tutti quegli sbalzi di umore e sproloqui siano molto più significativi di quanto gli sembrino, che Johnny, dentro, sia complesso quanto la sua musica e non puerile come i suoi capricci. Non c’è dubbio, è Johnny a perseguitare Bruno con le sue continue richieste di attenzione, eppure Bruno comincia a temere di non essere la vittima, ma la remora che trattiene l’artista al di qua del varco.
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Julio Cortázar
Modellato su Charlie Parker, figlio di una sensibilità penetrante come una lama, il Johnny di Cortázar è, insieme a Bruno, soggetto e oggetto di un legame tortuoso che è, anche, lo specchio del rapporto tra arte e realtà.
Julio Cortázar, Il persecutore, Einaudi Arcipelago, 2003, pp. 104, € 11,00, trad. Cesco Vian, contributi di Franco Minganti
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