Il linguaggio della Notte è una raccolta di interventi e prefazioni ai suoi romanzi scritti da Ursula K. Le Guin (ULG) tra il 1973 e il 1978, curati e introdotti da Susan Wood.
I suoi motivi di interesse sono soprattutto due, anche se non nego di aver amato molto alcuni libri di ULG (La mano sinistra delle tenebre e i tre volumi del ciclo di Earthsea), e che questa segnalazione sia anche il pagamento di un vecchio debito ad una delle grandi signore della fantascienza e della fantasy, ormai più che settantenne.
Il primo motivo è la domanda a cui ULG cerca di dare una risposta non ovvia e non retorica: «Perché scrive fantascienza?»; domanda che giornalisti e lettori le hanno posto innumerevoli volte e che potrebbe benissimo essere ampliata e ribaltata: «Perché leggiamo fantascienza, fantasy, gotico…?»
ULG puntualizza che generi come la fantascienza o la fantasy, benché si trovino ai due estremi di uno spettro, sono così vicini da «rendere inutile una definizione che escluda uno dei due», assegnando eventualmente alla sensibilità del lettore il compito di collocare un romanzo entro questo continuum, più o meno vicino a uno degli estremi. Leggendone, comunque, continua ULG,
«so che sto per conoscere una variazione personale sulla realtà […] una visione parziale della realtà […] Ma so anche che attraverso quella parzialità, quell’indipendenza, quello straniamento dall’esperienza comune, sarà nuova, sarà una rivelazione […] uno sguardo all’interno, non all’esterno. Un viaggio attraverso lo spazio degli abissi psichici di un altro» (1971).
Ma questo non è il cuore del vero fantastico, E non è, forse, il luogo che vorrebbero raggiungere tutti i veri narratori e tutti i veri lettori?
ULG dice di sé:
«Continuo a spingermi verso i limiti miei e della fantascienza. Ecco cosa significa l’esercizio di un’arte, si continua a cercarne l’orlo estremo. Quando uno lo trova fa una cosa totale, solida, reale e bella. Qualunque cosa di meno è incompiuta» (1973)
e, difendendo il fantastico e la dignità degli scrittori di genere:
«siamo abituati ad essere liquidati come semplici procacciatori di divertimento in quanto sognatori al di fuori della realtà. Ma credo che come i tempi, le categorie stiano cambiando. I lettori sofisticati stanno accettando il fatto che un mondo improbabile debba produrre un’arte improbabile e ipotetica […] il realismo è forse il mezzo meno adatto per comprendere o dipingere le incredibili realtà della nostra esistenza» (1973).
Ora, se i critici italiani non negano più da tempo il valore letterario del fantastico (e vorrei vedere, visto che ne hanno scritto nomi come Henry James, Maupassant, Kipling, Forster, Kafka, Buzzati, Calvino…), davanti ai suoi figli e nipoti continuano a storcere il naso, e il loro provincialismo è dimostrato dal “caso” Ballard, etichettato come “grande scrittore” solo quando si è deciso a scrivere un’opera non di genere come L’impero del Sole, non prima, ai tempi degli splendidi Condominium o Foresta di Cristallo, o Deserto d’acqua. In sostanza, eccezioni come Ballard (e come Dick, davanti al quale, ormai tutti i nostri Letterati si tolgono il cappello) possono ricevere l’Imprimatur purché, appunto, restino rare eccezioni. Di tutti i supponenti distinguo – evidentemente comuni anche dall’altra parte dell’oceano – ULG dice:
«la fantascienza utilizza la facoltà miticizzante per conoscere […] un mondo profondamente formato e trasformato dalla scienza e dalla tecnologia; la sua originalità risiede nel fatto che utilizza la facoltà miticizzante su materiale nuovo» (1976).
Il secondo motivo di interesse, già anticipato dal bel titolo della raccolta, sta in un attento esame del problema del linguaggio e dello stile dei narratori di genere:
«molti lettori, molti critici e la maggior parte dei redattori, parlano dello stile come se fosse […] qualcosa che viene sovrapposto ai libri, come la glassatura in una torta. Lo stile, naturalmente è il libro. Se togliete […] lo stile, tutto ciò che vi resta è una sinopsi dell’intreccio […] lo stile non è soltanto un modo di usare la lingua […] È il modo in cui tu, scrittore […] vedi: la tua visione, la tua comprensione del mondo, la tua voce».
Ma è importante lo stile in un «genere» come la fantasy, dove in fondo quello che interessa al lettore si suppone siano maghi, prodigi, draghi? Assolutamente sì, risponde ULG: «perché nella fantasy non c’è altro che la visione del mondo dello scrittore» (1973). Non c’è realtà oggettiva, prestata dalla storia e dalla quotidianità, solo la voce dell’autore, mentre cerca le parole per descrivere ciò che non c’è, o meglio ciò che non è là fuori, ma qui, nel profondo di noi.
ULG è figlia, come sapranno molti di voi, dell’antropologo culturale Alfred Kroeber e ha – come dichiara lei stessa – letto, e prima ancora sentito raccontare, miti, saghe, fiabe ben prima di cominciare a scrivere. Non solo ha visitato i luoghi del fantastico per decenni ma ha camminato lungo le sue vie con la consapevolezza di una studiosa. Le sue riflessioni sono utili e scritte in maniera accattivante, a volte con la piccola civetteria di un’eccessiva naïveté, compensata dalla grinta e dalla sincerità. Alcuni interventi, soprattutto le prefazioni ai suoi romanzi, suonano oggi un po’ datati (come qualcuno dei suoi libri, del resto), o un po’ chiusi entro il cerchio della polemica con il femminismo più riduzionista: infatti ULG venne accusata negli anni Settanta dei scrivere troppo di uomini, di assegnare ai suoi personaggi femminili ruoli un po’ collaterali. L’autrice ne spiega ampiamente i motivi, senza giustificarsi e senza accettare ricatti ideologici, ammettendo certe «debolezze» di intreccio e difendendo le sue scelte.
Mi piacerebbe poter dire che queste questioni sono superate, essere certa che oggi uno scrittore abbia la libertà di scrivere ciò che vede, nella certezza che, da qualunque angolazione guardi onestamente il mondo, attraverso occhi maschili, femminili, alieni, riuscirà a inquadrarne almeno un pezzo. Invece non posso: non più di due anni fa ho ascoltato una identica “richiesta di spiegazioni” («Perché hai scelto un protagonista maschile?») rivolta ad un’autrice durante la cerimonia di assegnazione di un premio letterario… E l’autrice (era Paola Biocca) diede l’unica risposta possibile: «mi interessava guardare attraverso quegli occhi e non altri».
Forse anche gli articoli più datati di ULG hanno ancora qualcosa da dirci.
Ursula K. Le Guin, Il linguaggio della notte (ed. or. The Language of the Night. Essays on Fantasy and Science Fiction [1979]) , Ed.Riuniti 1984, pp. 224, trad. Anna Scacchi
Piccola avvertenza: il libro è esaurito da tempo e l’editore ha chiuso l’attività, temo sia recuperabile esclusivamente come usato, anche se sospetto che chi lo possiede non sia proclive a rivenderlo… ma non è detto.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.