Thomas Edward Lawrence, il “Lawrence d’Arabia” della leggenda, deluso dalla strumentalizzazione diplomatica delle sue vittorie militari, nel 1922 decise di arruolarsi nella RAF con il nome di Ross. Questa è la cronaca dei difficile mesi d’addestramento, scritta ogni sera, nascosto sotto le coperte, poco prima che in camerata venissero spente le luci.
Questo libro è sorprendente, affascinante per la prosa nitida, dove ogni parola è essenziale e nessuna è ridondante, per la capacità magistrale di evocare attraverso i dettagli la personalità delle altre reclute, i loro rapporti, la scortesia sprezzante di molti ufficiali e la compassione di altri, la psicologia distorta dal rancore del comandante. Obiettivo ma partecipe, Ross registra momento per momento la grandiosa assurdità del progetto militare: trasformare reclute diversissime per temperamento, istruzione, aspettative ed esperienze in avieri fedeli, docili alla disciplina e ai suoi infiniti, inutili riti, capaci di tollerare l’interminabile ripetitività delle giornate scandite da turni, addestramenti e picchetti, forgiati nello stampo di un “soldato medio”, inesistente, amalgamati tra loro soltanto dallo spirito di corpo, un cemento fatto della necessità di accettarsi reciprocamente, accudirsi, essere gentili per riparare agli sgarbi programmatici o distratti dei superiori.

Lawrence d’Arabia
La scelta assurda di Ross – che avrebbe potuto trovar impieghi ben più remunerati e qualificati come “eroe” o come intellettuale – è contemporaneamente sfida e necessità. Sfida alle proprie debolezze e idiosincrasie: Lawrence è un individuo colto, raffinato, solitario e austero, infastidito sino al panico dalla “vitalità animalesca” e dalla rumorosità dei suoi simili, che patisce sino allo spasimo l’invasione del proprio spazio fisico e mentale, la volgarità, gli odori delle decine di corpi ammassati nella camerata, che non si fida di un corpo indebolito dalla denutrizione dei mesi precedenti l’arruolamento, un corpo che trascina – anche questo fa parte della sfida – sino al limite della rottura ogni mattina durante l’addestramento.
Necessità perché, mentre è infastidito dalla gente, Lawrence è incuriosito dalle persone. Le studia, impara a conoscerle, le rispetta perché non ha preconcetti e – in un certo suo modo brusco, a distanza – giunge ad amarle come compagni di strada, se non come amici. Lawrence sta bene da solo ma non si basta, è tentato da un cameratismo che non sa provare sino in fondo ma che placa la sua volontà di fuga e da un universo gerarchico che – stabiliti ruoli e distanze – lo lascia libero di osservare la vita e poi reimmergersi in se stesso.
Un libro senza trama, fatto di attimi e soprattutto dei loro echi infiniti, un universo chiuso, attraversato in punta di piedi da un alieno osservatore a cui mi sento sin troppo affine.
Thomas E. Lawrence, Lo Stampo, Adelphi pp.253, € 18,00, trad. F. Bovoli
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