Consueto e apprezzato appuntamento con Oliver Sacks. Come in tutti i suoi saggi di argomento clinico pubblicati in vita, lo studioso ci racconta di come la malattia non sia semplicemente un disturbo che, avendo colpito il paziente o presentandosi fin dalla nascita, resta, comunque, un fattore esterno e condizionante, ma piuttosto una realtà intimamente connessa con il resto della sua personalità, tanto da diventarne parte integrante. Come diceva una donna che abbiamo conosciuto in Risvegli: «Io sono la mia malattia…»
In particolare Sacks si occupa della relazione, spesso più profonda di quanto non si creda. tra malattia e creatività. Questi sono dunque racconti di metamorfosi determinate da disgrazia neurologica, ma che hanno portato, al tempo stesso, a stati alternativi dell’essere , ad altre forme di vita. certo non meno umane per il fatto di essere così diverse.
Difetti, disturbi e malattie possono (…) avere un ruolo di paradosso. portando alla luce risorse, sviluppi, evoluzioni e forme di vita latenti che, in loro assenza potrebbero non essere mai osservati e nemmeno immaginati
I pazienti studiati in questo saggio sono molti: il pittore che, in seguito ad un incidente, presenta completa cecità cromatica; Greg, ragazzo intelligente e sensibile alle tematiche sociali, vero appassionato di rock e dei Greateful Dead che, a causa di un tumore benigno non diagnosticato in tempo perde la vista e subisce lesioni tali ai centri della memoria a lungo termine da rimanere bloccato temporalmente agli anni settanta mentre ogni ricordo successivo è perso in pochi minuti; il dottor Bennett, chirurgo tourettico; Franco Magnani, il pittore fornito di una memoria eidetica che gli consente di dipingere con arte vivida i paesaggi di Pontito il paesino toscano che non vede da trent’anni;i tanti pazienti autistici, quelli ricchi di talenti savants, veri geni musicali o pittorici, incapaci di integrare queste doti con una conoscenza globale e critica del mondo.
E l’incredibile, affascinante Tempie Grandin, autistica eccezionalmente dotata, ingegnere ed etologa che ha sviluppato, partendo dalla sua sindrome, una straordinaria empatia con gli animali, ma non riesce a comprendere quelle che lei definisce le «sequenze» delle relazioni interpersonali.

Oliver Sacks
Ho usato – e ho notato soltanto in seguito che anche l’estensore della presentazione del libro ha fatto altrettanto – più volte il verbo raccontare. Ciò che mi ha sempre colpito di Sacks è non tanto la sua grande abilità di narratore, ma il fatto che presenti i suoi casi con l’andamento del racconto, della fiaba: ci sono un protagonista, un avvenimento – che si presenta più o meno precocemente nella sua vita – che viene a rompere un equilibrio, catapultandolo in un mondo alieno di cui deve imparare tutto, la sua lotta per sopravvivere e riconquistare la felicità attingendo in modi impensabili a risorse complesse che aveva dentro e che probabilmente possediamo tutti in qualche misura. La narrazione di Sacks riesce cosi a evocare tutta l’alienità dei queste persone ma anche la profonda somiglianza di aspirazioni, bisogni, necessità, che hanno con noi, I cosiddetti «normali». Sacks in ultima analisi ci parla di noi, ci aiuta a comprenderci, a individuare, o perlomeno a intuire, in noi e nei nostri simili, al di là delle differenze, delle esperienze diverse, dei deficit, il tessuto sottostante, quello che ci rende tutti umani. Viene fatto di pensare che sia ciò che riesce a fare l’artista e che se un quadro, un brano musicale, un romanzo non forniscono un contributo piccolo o grande in questo senso sono soltanto esercizi sterili effettuati da individui più o meno abili ma incapaci di mettersi in gioco. Forse è questo che il lettore e lo scrittore cercano – o dovrebbero cercare.
Oliver Sacks, Un antropologo su Marte, Adelphi, gli Adelphi, 19989 , pp. 445, € 16,00, trad. Isabella Blum.
Idem e-book, € 7,99
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