È di oggi la notizia della scomparsa di D.G. Hartwell, grande appassionato di sf, editor e curatore della celeberrima antologia annuale di fantascienza. Questa recensione ci aiuta a ricordarlo. Altre recensioni presentate a testi da lui curati sono disponibili qui e qui.

David G. Hartwell
Vi piacciono le antologie di fantascienza? Non parlo di raccolte dedicate ad un solo autore, ma dei volumotti che presentano i racconti migliori pubblicati in un determinato anno. A me sì, mi piace assaggiare nuovi autori, passare in poche decine di pagine da un mondo all’altro, dallo sguardo di uno spaziale giovane e avventato a quello di una telepate amareggiata di mezza età a quello di un alieno che osserva l’umanità. Sfogliando antologie del genere ho scovato alcuni degli autori che amo di più e alcuni esordienti che ho poi seguito nel tempo o – purtroppo – ho perso di vista.
Insomma mi piacciono, a patto che abbiano un buon paratesto e, possibilmente, seguano un qualche criterio, oltre alla data di pubblicazione, nella scelta dei racconti.
I due Millemondi Urania di cui voglio parlarvi sono due esempi, il primo discreto, il secondo molto buono di antologia-assaggio.
Cominciamo da Le trappole dell’Ignoto (Mondadori), sottotitolo I 20 racconti più belli dell’anno (1996). Nell’introduzione il curatore David G. Hartwell enuncia i criteri di scelta, assolutamente rispettabili: soltanto sf, niente horror o fantasy o fiction speculativa. Uno dei temi comuni, a volerli cercare, è il tributo ai progenitori della sf, a cominciare da Wells de La guerra dei mondi, del quale ricorreva il centenario della pubblicazione. Il primo racconto, infatti – di Dave Wolverton – narra l’esito dell’invasione marziana all’estremo nord ed è scritto nello stile di Jack London. Altri autori, come S. Barker e D. Langford si sono ispirati a Giulio Verne (un viaggio di Barbicane sino a Marte), o a Chesterton (Padre Brown dipana un mistero a bordo di un’astronave). Buoni prodotti, scritti con rispetto, ma non sorprendenti. Un altro racconto è un tributo affettuoso di Connie Willis a Jack Williamson, vecchio leone della sf capace di dare ancora qualche buona zampata. Gli altri sono a tema libero e rappresentano un po’ tutti i filoni, da quello hard a quello new age a quello sociologico, dalla parodia al genere introspettivo (perdonate le semplificazioni).
I vecchi guru come John Brunner, Gene Wolfe o Kate Wilhelm non sono andati oltre una produzione dignitosa. Notevole il racconto di Brian Stableford, una cupa descrizione degli effetti di nuove droghe afrodisiache e del facile moralismo dei ricchi che ne fanno uso, che avrebbe meritato un posto di rilievo nell’altra antologia di cui vi parlerò. Segnalo anche un curioso racconto di Robert Reed sul tema – caro alla sf anni Settanta – della democrazia e della partecipazione politica nelle società mediatiche del futuro. É un racconto discreto, non certo eccelso ma attento ai personaggi, che proietta sulla figura del Presidente degli USA (un messicano che non dimentica i suoi trascorsi da immigrato) grandi aspettative di riscatto e redenzione. Hilary Clinton può rassicurarsi, molto meno Donald Trump. Certo che questa speranza che sia il potere stesso ad autocontrollarsi dà da pensare…
Da leggere fra le righe l’introduzione, che non parla tanto dei racconti quanto delle tendenze dell’editoria di sf di lingua inglese, riportando dati che interesserebbero i librai. La distribuzione su vasta scala, dopo aver provocato il collasso della piccola distribuzione penalizzando le riviste, sta entrando a sua volta in crisi: calo dei titoli nel 1996, meno numerosi ancora quelli annunciati per il 1997, rimpasti nella proprietà e nella direzione di molte importanti riviste di sf. E pensare che l’Italia ha non ha scoperto da molto la grande distribuzione centralizzata!
Resta il fatto che ad antologia chiusa ci si chiede perché proprio questi racconti, e non altri altrettanto – mediamente – buoni. Il curatore è competente, comunque, e i racconti interessanti… Diciamo che comunque una certa soddisfazione è la metà della felicità (narrativa).
Molto diversa la seconda antologia, Fantasex: Racconti erotici e amori alieni (Mondadori), curata con passione da Ellen Datlow. Il titolo originale – Sesso alieno (purtroppo in Italia già sfruttato in precedenza) – era più azzeccato, perché nell’antologia si parla proprio di sesso e alienità. Non solo, e non tanto, di sesso con gli alieni, ma soprattutto di quanto sia sempre e comunque alieno l’altro con cui giochiamo la partita complessa e pericolosa del sesso.
L’antologia della Datlow è del 1990 (e da noi compare dopo otto anni!), i racconti scelti coprono un periodo di circa 25 anni: il primo è un cult di P.J.Farmer (Il corrotto figlio della Giungla 1968), i più recenti sono usciti proprio nel 1990. Sono di buona qualità e quasi tutti suggestivi, spiazzanti, perturbanti (non sognatevi di eccitarvi, spesso sono raggelanti). Non saprei davvero indicarvi i migliori, meritano tutti una lettura. Terrei per ultimi quelli ormai datati (ma divertenti) di Harlan Ellison e di P.J. Farmer, quello molto carino di Roberta Lannes, per poter terminare la lettura con un sorriso, e il testo didascalico e noioso di Lisa Tuttle. Tutti gli altri presentano il sesso – intenso nel senso ampio di relazione coinvolgente e intima con un altro da sé – da punti di vista bizzarri ma non fine a se stessi e dicono di noi più di quanto forse vorremmo sapere. Che usiamo il sesso come strumento di potere (Leigh Kennedy, Rick Wilber), che siamo ipocriti (Scott Baker), che ogni narrazione di sé fatta all’altro è una menzogna, ascoltata con diffidenza e accettata per timore della solitudine (Bruce McAllister), che – come recitano le immortali parole di Spike Lee – il più potente organo sessuale sta tra le nostre orecchie e non c’è limite a quanto una mente (umana o aliena) può trovare eccitante (P. Cadigan, G. Rymaan), che la pulsione sessualità piega anche la vita artificiale (P. Murphy), che il congiungimento sessuale è un’iniziazione al mistero dell’altro, cosicché sesso e alienità (indipendentemente dal genere e dalla specie) non possono essere disgiunti.
Ci tengo a segnalarvi due dei racconti più limpidi e sgradevoli che ho letto negli ultimi anni e che, prima della coraggiosa scelta di Datlow (e di un altro editor) erano stati scartati da diversi editori. Il primo (Galline Ballerine di Ed Bryant) è un’orribile e azzeccatissima metafora del possesso, inteso sia nel senso fisico di penetrazione, sia in quello psicologico di plagio e possessione. Il secondo (Tutte le Mie Adorate Figlie, di Connie Willis) è una delle metafore più nitide del maschilismo patriarcale nei confronti della “femmina” (amata come preda/figlia, mai come uguale) e della dolorosa resistenza delle vittime, che non possono combattere il peccato sperando di restare “innocenti”. Non vi piaceranno, ma forse, come è successo a me, illumineranno qualche angolo di voi nel quale in genere evitate di sbirciare.
Due parole (le ultime, giuro) sul lungo racconto in appendice: Fantastic Cleavage di P. Kettridge – 1998 – presentato insensatamente da Mondadori come la versione erotica di Viaggio allucinante di I. Asimov. É stato aggiunto solo all’edizione italiana e il perché resta un mistero (1). Si sorride dello spunto – la navetta miniaturizzata in viaggio nel corpo di una ragazza viene introdotta travestita da spermatozoo dal di lei fidanzato – solo fino a che ci si accorge che il testo, a metà tra la narrazione mistica e l’incubo, parla del “progresso umano” come di un lento risollevarsi dall’entropia e dal peccato. Ci avete capito poco? Anch’io francamente, ma non scartatelo, è suggestivo, anche se c’entra come i cavoli a merenda.
A cura di David G. Hartwell, Le trappole dell’ignoto, 20 racconti, Urania Millemonti Estate 1998, pp. 396, trad. vari.
A cura di Ellen Datlow, Fantasex, racconti erotici e amori alieni, Urania Millemondi Estate 1998, pp. 360, trad. Nicoletta Vallorani
(1) Il problema è che Silvia Treves e Massimo Citi, estensori di questo articolo, ignoravano beatamente che P.Kettridge jr. fosse in realtà Giuseppe Lippi. ovvero il curatore di Urania e che il (presunto) traduttore del racconto, Ettore Mancino, fosse (di nuovo) Il compianto Giuseppe Lippi. Resta il problema se il racconto sia stato steso originariamente in inglese da G.Lippi (A) e tradotto da G.Lippi (B) o sia stato fraudolentemente scritto in italiano, tradotto in inglese e poi ritradotto in italiano o… No, calma, così mi viene mal di testa. In ogni caso, come giustamente ha scritto S. Treves (A) il racconto c’entra come i cavoli a merenda con l’antologia. Resta il dato di fatto che il racconto “aggiunto” non è stato a suo tempo selezionato da Ellen Datlow e si è sostanzialmente “finto” parte dell’antologia, finendo per ingannanare i lettori. Una pratica che si può definire almeno scorretta se non truffaldina – ovvero tipicamente italiana – ma che, visto il tempo passato e la scomparsa del colpevole, possiamo perdonare a cuor leggero.
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