Ci sono romanzi, e anche film, che vengono ricordati solamente per una qualche ridicola minuzia che c’entra ben poco con la trama, i personaggi, l’impianto narrativo. Pensate per esempio a La Bisbetica Domata, film del 1929 con Douglas Fairbanks Sr. e Mary Pickford. Nessuno se lo ricorderebbe più, a settantacinque anni di distanza, se non fosse per un paio di righe che compaiono nei titoli:
La Bisbetica Domata
di William Shakespeare,
con dialoghi addizionali di Sam Taylor
Eh?!
Ora, Feltrinelli decide di superare Sam Taylor e passare alla storia con Omero, Iliade, di Alessandro Baricco.
Baricco chi? si domanderà qualcuno.
Il risvolto di copertina ci rende edotti.
Baricco è un intellettuale con tutte le carte in regola.
È nato a Torino, ha scritto dei libri, ha fondato una scuola.
Da un suo monologo hanno tratto un film.
Ha addirittura scritto la postfazione a Cuore di tenebra, di Joseph Conrad.
Non alla prima edizione, probabilmente, ma ammettiamolo, scrivere la postfazione a Cuore di tenebra di Joseph Conrad è un po’ come fare l’indice per L’origine della specie di Charles Darwin – a nessuno potrebbe interessare di meno, ma non può mica farlo un cretino qualsiasi.
E così, dopo la postfazione a Cuore di tenebra di Joseph Conrad, Baricco si cimenta nientemeno che con l’Iliade.
E mica ci scrive una stupida postfazione da due lire.
No.
Cioè, sì – c’è una stupida postfazione all’Iliade nel nuovo volume di Feltrinelli.
Ma il vero tour de force è quello che viene prima.
Per chi se la fosse persa, l’Iliade è un’opera in ventiquattro volumi composta attorno all’ottocento avanti Cristo da un autore che è solitamente identificato come Omero, forse un cantastorie cieco che andava per la maggiore alle feste per VIP dell’epoca.
Lui arrivava con la sua chitarra, si sparava un paio di smorgasbord e tutti «Dai, Omero, facci l’Iliade…» e lui abbozzava, che era un signore, e attaccava: «Cantami o diva, del Pelide Achille, l’ira funesta…».
Poi dicono i cantautori.
Insieme con l’Odissea, pure attribuita a Omero, l’Iliade costituisce uno dei pilastri della cultura occidentale.
Ora, ad Alessandro Baricco – che è mio concittadino e si chiama come mio fratello, e quindi non posso dargli del balengu per quanto l’idea possa tentarmi – sarebbe tanto piaciuto leggerla in pubblico, l’Iliade.
Dici niente.
È un sogno lecito.
Anch’io, in fondo, sogno qualcosa di simile: a me personalmente piacerebbe mettere in piedi una rappresentazione stile Ruggenti Anni Venti di Come vi piace, di William Shakespeare.
C’è però una differenza sostanziale, fra me e Baricco.
Io, del testo di Shakespeare, non cambierei una virgola.
Lui, invece, l’Iliade ha deciso di riscriverla.
No, davvero!
Tanto per cominciare ha tagliato tutte le lungaggini, le ripetizioni e gli sbrodolamenti.
Ne ha fatta una versione «più asciutta».
Povero Omero – gli ci sono voluti quasi tre millenni per trovarsi un editor, e gli doveva proprio capitare Alessandro Baricco!
Poi, via, tagliati tutti gli dei.
«L’Iliade ha una grande ossatura laica», ci confida Baricco nella prefazione.
Bella scoperta – anche la Bibbia, se tagliamo completamente fuori le parti che riguardano Dio, è un bel polpettone a base di sesso e violenza.
Nessuno ha però avuto finora la faccia tosta di provarci (Terry Southern, autore satirico americano, lo ha suggerito, ma non lo ha fatto, in Magic Christian).
Baricco invece elimina tutti gli interventi divini, tutte le entrate in scena degli dei dall’Iliade – ha deciso, così sostiene, che si tratta di cose di cui si può fare a meno, e che comunque sono troppo lontane dalla vostra sensibilità.
Ecco!
È qui che il recensore si imbizzarrisce.
Baricco ha deciso che cosa sia vicino o meno alla mia sensibilità.
Si è scordato – troppo preso dai suoi impegni con la Scuola Holden, probabilmente – che una discriminazione in base alla mia sensibilità io lettore la compio ogni volta che scelgo un libro piuttosto che un altro. Ma no, l’Iliade è un testo troppo importante – e così lui lo ha semplificato, in modo che anche l’ultimo di voi, di noi idioti, possa leggerlo.
Si tratta di presunzione, pura e semplice presunzione.
E una colossale mancanza di rispetto per i lettori.
Pessima strategia di mercato.
Ma forse i motivi sono altri.
Forse si tratta di una bieca manipolazione per promuovere l’ateismo fra i lettori – perché se gli dei non compaiono, in prima persona, in questa patetica parodia dell’Iliade, gli eroi li nominano e li invocano.
Il volume è costellato di invocazioni a dei assenti.
O forse la colpa è di Sam Raimi, che con le sue (pur intelligenti) serie televisive su Ercole e su Xena ha fatto dell’intervento divino una sorta di siparietto comico-spettacolare.
O forse, molto più semplicemente, Baricco ha visto Troy, adattamento omerico hollywoodiano sui generis che fa a meno degli interventi divini (dichiaratamente, per non «scadere» nel pastiche alla Raimi), e ha deciso di cavalcarne l’onda, farne una sorta di novelization, come quando Alan Dean Foster prese il copione di Guerre Stellari e ne fece un romanzo.
Ma le manipolazioni baricchiane (lui le chiama «interventi» – tipo George Clooney in E.R.) non si fermano qui.
Una modifica «poi non così importante» spinge l’editor a girare tutto in prima persona – l’Iliade diventa così una storia a episodi, questo narrato da Achille, quello da Ettore, quello ancora da Diomede.
La modifica «poi non così importante» elimina completamente la voce di Omero.
Lui che insegna scrittura creativa, Baricco, intendo, dovrebbe saperlo che cos’è la «voce autorale», il marchio di fabbrica distintivo di un autore.
Forse per questo la elimina.
E poi cambia il finale della storia.
Quindi, come giudicare l’opera?
Il libro che stringiamo fra le mani non è altro che una storia al sapore di Iliade, un monumento all’ego di un autore che una volta era in gamba (quando scriveva Barnum, per esempio – si potevano non condividere le opinioni, ma si apprezzava l’approfondimento), ma ormai ha perduto il contatto con la realtà e il senso del ridicolo.
Tragico invece che un editore pure autorevole come Feltrinelli non abbia la forza o la volontà di arginare certe incontinenze, certi ego-trip dell’autore-superstar.
Il risultato è penoso o, peggio, involontariamente comico.
L’incipit è degno di un grande sceneggiato televisivo – pardon, di una fiction: «Ero bellissima», ci informa Criseide, raccontandoci con toni da gossip la storia del suo stupro a opera di Agamennone.
Sì, bellissima, e anche molto modesta, ci pareva di ricordare.
Particolarmente gustosi rimangono Ulisse e Diomede che giocano a «sbirro buono, sbirro cattivo» interrogando Dolone, ma anche: «Io sono Enea, e non posso morire», come sciocchezza, fa la sua bella figura.
Imperdibile, poi, il finale posticcio, con Ulisse che dichiara: «Io sono Ulisse. Vengo da Itaca, e lì, un giorno, tornerò».
Come Schwarzenegger in Terminator.
È praticamente il «teaser» per un sequel cinematografico.
Dobbiamo aspettarci a breve Omero, Odissea, di Alessandro Baricco?
E sarà all’altezza della magistrale, colossale PaperOdissea pubblicata da Mondadori e Disney alcuni anni or sono?
Quanto alla postfazione, sulla bellezza della guerra e sul suo significato per la nostra cultura, ci strappa un solo suggerimento – Baricco dovrebbe leggersi Il Volto della Battaglia, di John Keegan (il Saggiatore, 2001).
Il giudizio complessivo?
Risparmiate tredici euro, o magari investiteli in un’edizione qualsiasi, purché integrale, dell’Iliade.
Anche una di quelle allegate ai quotidiani.
Leggetevela.
Sarà zeppa di parole strane, e più lunghe di tre sillabe, e ci saranno divinità e portenti una pagina sì e l’altra no. Il finale vi lascerà forse disorientati, e ci troverete un sacco di ripetizioni.
Farete fatica a leggerla.
Ma è questo il bello, no?
Forse quello che Alessandro Baricco, intellettuale liberal, si è dimenticato, è che certe volte, la fatica fatta per arrivare in fondo è ciò che ci fa apprezzare la strada percorsa.
Noi rozzi meccanici ce ne ricordiamo.
E col suo libro, ci accendiamo la stufa.
Alessandro Baricco
Omero, Iliade
Feltrinelli, 2004
pp. 163, € 13,00
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