Marianne Golz-Goldlust, austriaca e ariana, fu ghigliottinata l’8 ottobre 1943, condannata per «avere attuato manovre di sostegno ai nemici del Reich», ovvero aver collaborato all’espatrio clandestino degli ebrei praghesi. Il libro, preceduto da un’introduzione di Marcella Filippa, raccoglie le sue lettere dal carcere, raccolte e pubblicate da Ronnie Golz, figlio dell’ultimo marito di Marianne.
A colpire maggiormente nella corrispondenza di Marianne Golz-Goldlust con la sorella Rosi e con Risa, il suo platonico amore carcerario, è la gelida sensazione di un presente interminabile, di un tempo chiuso e circolare nel quale noi lettori, distanti ormai più di sessant’anni da allora, possiamo penetrare provando la medesima agghiacciante sensazione di impotenza.
Marianne Golz-Goldlust, è stata cantante d’opera e d’operetta negli anni Venti e Trenta. Il suo nome d’arte (Marianne Tolska) è apparso nelle locandine dei maggiori teatri di Vienna, Berlino, Salisburgo, Linz, Stoccarda. Abbandona il canto per diventare giornalista, sposa Hans Golz, suo ultimo marito, intellettuale ebreo berlinese e direttore del «Literarische Welt» «dove pubblicava Brecht e Benjamin». Marianne è antinazista senza un preciso motivo politico. Per lei come per i resistenti tedeschi della Rosa Bianca si è parlato di Resistenza esistenziale:
Resistenza esistenziale è stata definita, perché chiama in causa le risorse fondamentali dell’essere umano, quelle interiori, relazionali e spirituali (dall’Introduzione di M. Filippa).
In seguito a un agguato della Gestapo, Marianne è condannata e chiusa in carcere in attesa della sentenza. Nelle sue prime lettere alla sorella e all’avvocato difensore mostra di avere ancora qualche speranza di un rinvio o di una sospensione della pena. Rosi, la sorella, le risponde solo raramente. Ha sposato un nazista e non vuole essere coinvolta. Si preoccupa delle piccole necessità di Marianne: «mandami subito un corpetto nero, un grembiule, una camicia da notte […] Bisogna pure che mi cambi». In luglio arriva la sentenza definitiva: morte. Nelle lettere successive Marianne cerca ancora di non perdere la speranza, sollecita la grazia, mentre ogni mercoledì vengono comunicati i nomi di coloro che subiranno la pena capitale nei giorni successivi:
Poco prima delle nove, i signori avvocati generali leggono ancora una volta la sentenza alle condannate a morte e le conducono nella cella per la preparazione. Qui restano dalle nove alle sedici e trenta e vivono i momenti più terribili della loro vita. […] abbiamo sentito tutto, assolutamente tutto.
Gradualmente Marianne vede cancellata ogni possibilità. Legge i giornali, si informa sulla situazione internazionale e sull’andamento della guerra. Le è rimasta la speranza dell’avanzata sovietica e del crollo repentino del regime nazista. Ma anche la guerra procede lentamente, troppo lentamente. Si mette clandestinamente in comunicazione con Richard Macha che chiamerà Risa nelle sue lettere, condannato a morte per sabotaggio.
Aggiungeva di non avere più nessuno al mondo e che di conseguenza colui che le avesse risposto sarebbe stato il suo innamorato. Lei gli avrebbe confidato tutto. […] Ho subito risposto che ero d’accordo […] Ci siamo scambiati lettere quasi ogni giorno (Risa a Karel, lettera clandestina in ceco, scritta alla fine del 1943 / inizio 1944).
Marianne non rinuncia, anche in carcere, alla sua attività di giornalista e intellettuale. Fa da interprete tra le detenute e le guardie. Riceve i quotidiani, li legge e li commenta anche per le sue compagne di cella. Il suicidio è uno degli argomenti maggiormente affrontati dalle detenute ma le possibilità di condurlo a termine sono ben poche. La sua ultima lettera è per la sorella, datata 5 ottobre. Marianne, racconta Ottylie Hynkova, sua compagna di cella, muore nel suo Grande Giorno «tranquilla e quasi incosciente».
Negli ultimi giorni, quando ha saputo che era giunto il suo turno, ha tentato invano di tagliarsi le vene del polso. Ha cercato di impiccarsi ma non ci è riuscita. Alla fine ha potuto procurarsi delle pasticche e le ha inghiottite tutte quante. È stata molto male [ma] non è riuscita a sottrarsi alla ghigliottina. Nessuna di noi potrà evitarla (Ottylie Hynkova a Rosi, messaggio clandestino in ceco, senza data).
Marianne non è stata una semplice vittima. Ha combattuto il regime nazista con tutte le sue risorse, tra queste la sua intelligenza, la sua eleganza e il suo fascino. Avere ricostruito la sua storia e averla resa pubblica è per noi, che viviamo in un presente non ancora divenuto eterno, insieme terribile e incoraggiante. Nel 1988, in suo ricordo, è stato piantato un olivo sulle colline di Gerusalemme .
Da LN-LibriNuovi 31 – autunno 2004