M31, una saga di famiglia, di Stephen Wright, Fanucci, «Avantpop», non è un romanzo di sf, se non per i frequenti riferimenti agli UFO, visti, però, come forme immanenti incaricate di «salvare» l’umanità.
Già. La sf non c’entra niente con gli UFO e con tutte le forme mistiche e pseudomistiche di attesa per una palingenesi in arrivo da lontane stelle.
Eppure nel suo modo caratteristico la sf ha trattato spesso del timore/speranza dell’alieno, evidenziando – come poche letterature hanno saputo fare – il problema, tipico del nostro secolo, del contatto e della frizione tra culture umane.
Tuttavia in un posto come quello dove è ambientato M31 – un pezzo desolato di prateria del Middle West – i contatti la gente è praticamente obbligata a inventarseli, o a vederli anche dove non ci sono.
La famiglia di Dat e Dash, predicatori della buona novella dell’arrivo degli UFO e discendenti diretti degli alieni venuti dalla galassia M31, vive con un’astronave aliena in cantina, l’Oggetto, ossia un accozzaglia di oggetti dalle provenienze più disparate, in tutto simile al simulacro di un bastimento del culto di cargo.
Gwen e Beale, due illusi pieni di buone intenzioni, giungono alla casa di Dat e Dash per essere ammessi alla trascendenza spaziale. Ad accoglierli una famiglia troppo numerosa, tenuta unita dall’isolamento e, come si scopre gradualmente, da alcuni inconfessabili segreti. I viaggiatori del cosmo rivelano così la loro natura più che umana, finendo col contagiare anche i due visitatori, destinati in modi diversi a naufragare definitivamente sulle rive di un futuro di scintillante cartapesta, remoto come le stelle irraggiungibili.
Romanzo amarissimo, scritto con sinistra sensibilità e attenzione fotografica per i particolari, M31 è un viaggio allucinato in un’America semplice e feroce, immersa in visioni di Riscatto e Grazia che divengono monomania, fissazione e claustrofobica separazione dal mondo impuro. Come in tanti racconti horror americani la famiglia diviene così il luogo di massima degradazione, il luogo di perdizione per eccellenza. Meno ingenuo, Wright non mette in scena mostri da eliminare al termine della storia, operazione che in genere ha il risultato di sigilare il mondo narrato in un’irraggiungibile bolla di vetro letteraria, ma racconta passioni malate, violenze commesse per noia e frustrazione sullo sfondo di dialoghi da situation comedy. Il risultato è una risata fatta per scacciare un’ansia intollerabile. E nessuna consolazione finale. Davvero un romanzo da non perdere.
Alcune noticine finali. Stephen Wight è presentato dal mitico Don DeLillo come «Uno scrittore di meravigliosa forza e dall’immenso talento». Fidatevi: per una volta non si tratta di una panzana a fine promozionale. Eccellente la traduzione di Simona Fefè, che ha evidentemente sviluppato un feeling straordinario con l’autore e il testo. Di Stephen Wright, infine, è uscito in Italia anche Partenze Notturne (Feltrinelli), romanzo che mi affretterò a leggere.
Stephen Wright, M31. Una saga di una famiglia, Fanucci Avantpop 2000, pp. 439, esaurito.
disp. in formato .epub su http://epubook.net/stephen-wright-m31-una-saga-di-famiglia/
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