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    La venticinquesima ora di David Benioff

    • di Silvia Treves
    • Febbraio 9, 2016 a 7:26 pm

    venticinquesima ora

    Per qualcuno la solitudine è la certezza che il futuro sarà diverso da quello degli amici e della famiglia, che la sua vita è a un bivio e che fra poche ore perderà senza rimedio tutto ciò che ama. Gli affetti, gli oggetti e piccole abitudini come portare a spasso il cane lungo il fiume, annusare la prima neve, indossare i bei vestiti che finalmente può permettersi, bere un aperitivo affacciato alla finestra di casa. La venticinquesima ora di David Benioff, uscito la prima volta in Italia da Neri Pozza nel 2001, è un bel romanzo, riportato all’attenzione dei lettori dal film omonimo di Spike Lee, ed è la storia di una carcerazione annunciata, di un destino che finalmente sta per compiersi, dopo mesi di processi e attese burocratiche.
    Il giovane Monty Brogan, che a ventisette anni ha già sfondato nel bel mondo, è un ragazzo pieno di talenti: è bello, dotato di fascino e senso della misura, è fidato, sensibile. Soprattutto, Monty è intelligente e audace e sa volgere a proprio vantaggio sfortune come essere un irlandese di Brooklyn che conosce la strada e le sue leggi; così debutta vantandosi di saper trovare una partita di marijuana conveniente e finisce col diventare lo spacciatore di fiducia della mafia negli ambienti più ricchi di New York. Dai suoi clienti, Monty impara il gusto per i begli abiti e le abitudini costose ma non il cinismo, trasformandosi in uno strano ibrido capace di continuare a vendere droga ma non di lasciar morire un povero pitt-bull seviziato e abbandonato sul bordo della strada. È un bravo figliolo, Monty, che presta i soldi mal guadagnati al padre e copre di regali la ragazza che ama; è un «tipo a posto» e non si vendica di chi lo ha venduto alla Narcotici facendolo condannare a sette anni di galera.

    25th hour
    La venticinquesima ora è la cronaca delle ultime ventiquattr’ore «libere» di Monty prima di presentarsi ai cancelli della prigione federale di Otisville. Dieci ore di vagabondaggi con Doyle, il cane salvato quattro anni prima, la cena col padre, l’ultima volta con la sua ragazza, la notte brava con i tanti «amici» venuti a festeggiarlo e gli ultimi minuti insieme ai due amici veri. Un giorno privo di pause, perché ogni attimo è prezioso, irripetibile, indimenticabile, è l’unico bagaglio, l’unica vera droga che Monty può portare a Otisville; un giorno che lo allontana anni luce da tutti quelli che conosce e che pure cercando di stargli vicino:

    «Parlami, vuoi? Parlami, Monty? Non fare così. È la nostra ultima notte per…»
    «Non è la nostra ultima notte. È la mia ultima notte. Tu hai domani notte e tutte le altre fottutissime notti, puoi uscire e farti offrire un drink da qualche avvocato, puoi andare a fare il bagno nuda nell’Hudson, puoi fare un sacco di cose.»

    Un giorno nel quale sbrigare cose più importanti della vendetta o di un ultimo orgasmo, cose come affidare Doyle a un amico, con la consapevolezza mai dichiarata che il cane potrebbe essere morto quando, a 34 anni, finalmente Otisville lo lascerà andare.

    Vittima del caso e dei «valori» della società in cui vive, Monty non è avido, i soldi non gli interessano; a tentarlo è invece quel tipo di potere che i ricchi hanno per nascita e che lui, facendo un lavoro onesto e mal retribuito, per esempio l’insegnante, come il suo amico Jacob, non avrebbe mai potuto avere.

    Il potere non dipende dai soldi. Potere vuol dire entrare in un negozio sapendo che puoi comprare tutto quello che c’è sugli scaffali, certo, ma vuol dire anche che il commesso ti fa entrare dopo l’orario di chiusura così che tu e la tua ragazza possiate gironzolare indisturbati fra i banconi; potere è quando il commesso apre per te il retro del negozio per mostrarti gli ultimi arrivi […] Potere è telefonare in mattinata e ottenere I posti migliori al Madison Square Garden per lo spettacolo della sera. […] Potere è fissare negli occhi un agente travestito nella metropolitana; tu sai cos’è lui e lui sa cosa sei tu, e tu gli fai l’occhiolino perché lui guida una Buick scassata e tu una Corvette, e lui non può neanche toccarti.

    venticinquesima ora film

    Il pregio principale di La venticinquesima ora, che è il primo romanzo di Benioff (numerosi suoi racconti sono stati pubblicati in varie raccolte e riviste), è lo sguardo pieno di rimpianto per le cose di ogni giorno che improvvisamente divengono uniche, preziose. Sobriamente l’autore torna sui ricordi di Monty e dà al presente il sapore di un passato ormai perduto. Ma nella narrazione hanno un posto rilevante anche altri personaggi: il padre di Monty, segnato dalla morte della moglie molto amata, la sua ragazza Naturelle e, soprattutto, i due amici: Jacob, un giovane idealista e introspettivo sino all’autolesionismo, nato nel quartiere «giusto» ma ora «condannato» a fare l’insegnante, e Slattery, un brocker di successo sfuggito a Brooklyn ma che teme ogni giorno di cadere dal piedestallo. Stressato e pieno di tic, Slattery sembra impietoso verso Monty; in realtà è l’unico a chiedersi perché lui e tutti gli altri amici del ragazzo non lo abbiano fermato prima, appellandosi a valori diversi dal binomio denaro-successo. Proprio in nome della propria etica semplice e lucida, Slattery renderà a Monty il servizio più difficile.

    David Benioff, La venticinquesima ora, Beat 2011, pp. 217, € 9,00, trad. M. Ortelio

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