All’età di 76 anni Ray Bradbury (autore, per chi non lo ricordasse anche di Fahrenheit 451, Cronache marziane e Il Popolo dell’Autunno), morto nel 2012 alla bella età di 91 anni, pubblicò questa antologia dal titolo: Quicker Than The Eye (Più veloce di un battito di ciglia), divenuta, nella traduzione (?) italiana: I fiori di Marte, editore Mondadori Urania.
Geniale, no? Soprattutto in un libro dove non solo non c’è nessun racconto che porti questo titolo, e dove in 262 pagine la parola Marte non ricorre mai. Ma in fondo la colpa è dell’autore, è stato lui a iniziare con Marte…
Bene, siamo seri. Racconti, si diceva. Per lo più brevi e che, in genere, hanno ben poco a che vedere con la sf. Storie di fantasmi, racconti surreali o gotici, ma anche semplici storie d’infanzia e adolescenza, sogni, fantasie o bizzarrie. La nota dominante di Bradbury è una struggente, divertita malinconia, una coscienza acuta del tempo trascorso e dell’unicità di ogni momento, una nostalgia che non ha nulla di stucchevole, ma che è reminiscenza di oggetti quotidiani e piccole abitudini, luci e colori, delle piccole, terribili avventure dell’infanzia. Ho molto amato alcuni racconti di questa antologia (Finnegan, il ragno saltatore – storia piuttosto agghiacciante, da leggere ad amici aracnofobici –; La donna nel prato; L’altra autostrada; Folgorazione; Garbati omicidi) perché, in un certo senso, sono stato lì, ho visto, ascoltato le stesse parole, vissuto le stesse emozioni e sono sicuro che dell’uomo e della donna di Folgorazione, del loro rapporto fatto di angoscia e attrazione – per esempio – non riuscirò mai più a dimenticarmi, proprio come sarà difficile per me cancellare dalla memoria il fantasma della madre/fanciulla di La donna nel prato, anche perché realizza un sogno inconfessato di molti: incontrare la propria madre giovane, sapere ciò che ha provato, ricostruire la sua vita per intero.
Bradbury vela con un sottile umorismo la sofferenza per il tempo trascorso, per le radici perdute, per quella parte della vita nella quale era ancora possibile provare stupore. Il suo rapporto con la sf è probabilmente segnato proprio da quel desiderio di stupirsi ancora, di provare meraviglia come nell’età compresa tra i 5 e i 10 anni, quando tutto sembra molto serio e molto nuovo.
I coloni terrestri di Cronache Marziane, positivi, materiali, coraggiosi sono sensibili soltanto alle visioni che i marziani risvegliano in loro e ne hanno un sacrosanto terrore. Vincono, alla fine, perdendo se stessi. Un po’ quello che sta capitando a noi tutti. Fortunamente ci sono ancora scrittori come Ray Bradbury capaci di risvegliare il ricordo dei nostri ieri dimenticati.
Ray Bradbury, I fiori di Marte (Quicker Than The Eye), Mondadori Urania 1998, n. 1328, trad. Cecilia Scerbanenco
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