Jason Taverner, un anchorman di enorme successo, si trova sbalzato, senza una ragione apparente, in un altro universo nel quale non è mai nato e dove la sua fama non esiste. Gli USA dove deve tentare di sopravvivere sono governati da un regime poliziesco, nel quale dossier informatizzati definiscono l’identità reale di un individuo. Ma uno degli aspetti più grottescamente persuasivi della vicenda è che negli USA paralleli dove Taverner è stato sbalzato esiste il medesimo tipo di programmi televisivi che lo hanno reso famoso e amato.
Taverner è quindi obbligato a ridefinire la propria identità praticamente da zero ed il suo percorso iniziatico permette al lettore di afferrare i confini dell’antimondo nel quale egli si muove, un antimondo ricco di affinità con il nostro.
Parrebbe una procedura comune per un romanzo distopico, se non fosse per alcune peculiarità tipicamente dickiane (lo slittamento di percezione dovuto all’uso di droga, una socialità improntata alla più cupa paranoia) e per l’abilità dell’autore nel tratteggiare un universo inquietante e carico di sottili riferimenti anche nei più minuti particolari.
Scritto durante il periodo del Watergate, Flow my tears, the policeman said, esprime le ansie di Dick per il deteriorarsi della situazione politica e i timori di una reazione autoritaria al processo di impeachment allora solo agli inizi.
L’aspetto davvero curioso del romanzo è la sua sinistra attualità negli anni che chiusero il millennio. Lo strapotere della polizia e di tutti gli organi di controllo, elemento centrale di una forma di governo basata sulla segregazione degli elementi socialmente pericolosi, accoppiato alla diffusione capillare di psicotropi più o meno legali, a una corruzione imperante ed ad un uso seduttivo dei media, richiamano immediatamente alla mente la situazione degli U.S.A., dove le spese per il personale di polizia e gli stabilimenti di pena sorpassano di gran lunga quelle per gli asili nido e dove leggi sempre più mirate alla repressione del crimine (e alla soppressione fisica del criminale) stanno trasformando la patria della libertà in un inedito regime autoritario di stampo oligarchico.
Parafrasando il modo di procedere di Dick, potremmo supporre di trovarci all’interno di un universo frutto degli incubi di uno dei protagonisti del romanzo, quindi non nella realtà con la R maiuscola, ma attenzione, normalmente per l’autore californiano non vi è modo di evitare la contaminazione tra universi né di ritrovare la propria casella di partenza…
P.K.Dick, Scorrete lascrime, disse il poliziotto, Fanucci 2012, pp. 279 € 9,90 trad. M.Nati
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