Anima Mundi è un romanzo con delle pretese, questo è chiaro fin dall’incipit. Tamaro mette addirittura in scena una genesi laica (con alcune confusioni fisico/biologiche, ma non cavilliamo) per arrivare entro una pagina e mezzo a Walter. Dovrebbe bastarvi questo per farvi un’idea : dal Big Bang a…Walter.
Walter, dovete sapere, è un giovane sensibile con un padre comunista, ubriacone, violento e insensibile e una madre succube e malaticcia. Un bel giorno non ne può più e parte per l’avventura. Fa il giostraio, diventa alcolista, conosce Andrea – una specie di Stavrogin nella palla con la neve che cade – diventa romanziere di scarso successo, tenta di emergere nell’ambiettaccio (infestato da intellettuali sinistrorsi) della capitale, si riduce a scrivere sceneggiature pornografiche, ha un’avventura con la consueta bella signora infedele e perfida, si rifugia nell’eremo dove Andrea si era ucciso e si illumina misticamente scoprendo cos’è l’amore e leggendo San Francesco.
Tutto ciò vorrebbe essere un Bildungsroman, evidentemente, un testo dalle pretese pedagogiche, maieutiche e rigeneranti, un faro nell’oscurità dei nostri tempi aridi e materiali. Mi sembra un’intenzione degna. La domanda successiva è: ci riesce?
No, secondo me non ci riesce. Per alcuni ottimi motivi: T. non è una pensatrice originale: è una che – come tanti – rimastica qualche nozione di mistica cristiana aggiornata con una spolverata di pensiero Taoista in interfaccia con le laudi. Questo bagaglio, confuso e maldigerito, le permette di allineare sulla pagina luoghi comuni a raffica ma non certo di scuotere, contagiare o far riflettere il lettore appena appena avvertito (e probabilmente – almeno in questo caso – annoia a morte il lettore ingenuo).
In quanto a Walter, a parte i troppo evidenti riferimenti autobiografici nella vita romana, trattasi di un personaggio obbligato (ma questo non è strano, pensando alla madre di Va’ dove ti porta il cuore), un predestinato a non essere capito dalla famiglia, a essere bidonato dai furbacchioni, ingannato dagli amici, tradito dalle donne (poche, anzi una: nel romanzo aleggia una terrificante sessuofobia), il tutto per permettere a T. di filosofare sulle anime sensibili che si fanno una corazza per non soffrire (nuovo, eh? Sentito per la prima volta ad anni 11 compiuti).
Tamaro, poi, ha una passione insana per le metafore. Ne allinea un numero impressionante e – misericordia! – tutte drammatiche, dolorose e cariche di sinistri presagi. Ci sono metafore che sfidano la durata dell’intera pagina ( come un cameriere… come un cane… come una mosca…), metafore che si ripetono, metafore all’inizio dei capitoli e alla fine, metafore luttuose e metafore schifosette, metafore maleodoranti e metafore corporee o imbarazzanti, un vero circo di metafore che assedia il lettore urlandogli Leggi! Leggi, Vai avanti a leggere!
Non parliamo poi del gusto malsano per gli odoracci, le emissioni corporeee, la sporcizia, l’urina e il vomito. In questo Tamaro mostra una vera fissazione freudiana o forse i prodromi di una sindrome psichica (ma non di quelle che vengono ai geni).
Con questo Anima Mundi Tamaro ha rilanciato cercando di fare come gli scrittori e, ovviamente, le è andata buca. Eppure il tamaro-pensiero ha in sè qualcosa di affascinante e familiare. Il suo essere scrittrice elementare, non-dialettica, non speculativa (Walter è BUONO e SENSIBILE, quasi tutti gli altri che incontra sono CATTIVI, Andrea è un BUONO che ha sofferto e si è istruito troppo ed è quindi diventato CATTIVO, papà di Walter è INSENSIBILE ecc. ecc.) rende le sue pagine lisce e tranquillizzanti, anestetizza il lettore che sprofonda felicemente nei suoi quindici anni, nei brividi e nelle rabbie del suo sè adolescente. Adolescente, tuttavia, non bambino. I bambini hanno in sé l’orgoglio e l’allegria dell’immortalità e sono capaci di sintesi fulminanti, rovesciamenti di senso e di segno del nostro mondo adulto che un adolescente – facile al lugubre e all’autocompatimento – non è più in grado di provare.
Ed è probabilmente questo il segno del successo della Tamaro: il timore diffuso dell’età adulta, quella nella quale finiremo finalmente di fare “i ragazzi di cinquant’anni” e dovremo prenderci le nostre responsabilità. La Tamaro è un’autrice davvero unica, da questo punto di vista, quella che rende meglio di chiunque altro lo spirito – Zeitgeist – della nostra epoca.
Non è molto originale parlare male della Tamaro, me ne rendo conto, e comunque sono tanti, tantissimi gli invidiosi dell”apparentemente incomprensibile successo della nostra spiumacchiotta (vero che assomiglia molto a Woodstock?). Ma è proprio il suo successo a meritare attenzione. Come Carolina Invernizio, Tamaro è una scrittrice popolare, ha una scrittura comunicativa, presenta sentimenti estremi, disgrazia e fortuna, tradimenti, incomprensione, dolore, sofferenza, morte, abiezione e riscatto, desideri e delusioni. Nelle sue pagine non c’è investigazione, ricerca della realtà, ma un universo rudimentale, ritratto a forti tinte, interamente letterario. Ma Tamaro scrive di ciò che deve stare in un libro perché fa profondamente parte della nostra vita: emozioni, amore e morte. In fondo Carolina Invernizio aveva riferimenti illustri (Balzac, Dostoevskij, Hugo) e tentava (con poveri mezzi) di replicarne i temi essenziali (ma l’avete letto, voi, La sepolta viva?). É esattamente questo ciò che i nostri critici da salotto e i nostri estenuati narratori non possono perdonarle. Tamaro scrivendo rompe la congiura del silenzio. Scrive male, scrive banalità, è melodrammatica, eccessiva, candidamente bugiarda, rozza, insopportabile, settaria, malaccorta, iraconda e un po’ meschina (la madre di Va’ dove ti porta il cuore non gliela perdonerò mai), ma comunque racconta, che piaccia o no.
Susanna Tamaro, Anima Mundi
Bompiani 2013, pp. 305, € 10,00
idem in e-book, €
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