Letto qualche mese fa, Vermi conquistatori, di Brian Keene (1967 – ) ha attirato la mia attenzione in edicola (luglio 2014) per due ragioni, ovvie per chi legge da tempo FS: prima di tutto mi ha fatto venire in mente L’ora dei grandi vermi, di Philip Dick e Ray Nelson, un romanzo letto da ragazzina, e allora giudicato suggestivo ma confuso (ma forse la confusione era soprattutto mia); secondariamente mi ha ricordato i vermi di Dune, un ciclo ineguale, nella mia mente mescolato al film di Linch, altrettanto ineguale ma con punte di genio.
Be’ se anche voi avete ricordi del genere, lasciate perdere i vermi di Keene.
Premetto che Keene ha avuto premi, buona critica e successo di pubblico per un altro romanzo, Rising che, a quanto pare, ha riportato in auge gli zombies. Non sapevo che fossero caduti nel dimenticatoio, ma forse negli ultimi anni sono stati eclissati da una lunga serie di vampiri e licantropi sempre più glamour e sempre più per bene.
Vermi conquistatori, comunque, non è una storia di zombies ma il collage di due vicende che si svolgono in un futuro non troppo distante, funestato da un’emergenza ambientale irreversibile: una pioggia senza fine che in poche settimane ha fatto finire sott’acqua – in soli quaranta giorni, proprio come il diluvio di Noé – letteralmente mezzo mondo. Ho pensato subito all’effetto serra (del resto più volte nominato) ma Keene non si sofferma sulle vere cause di questo collasso ambientale, limitandosi a citare “fonti affidabili” che escludono lo scongelamento delle calotte polari. E con ciò, la mia ipotesi che l’eccesso di umidità fosse dovuto ad aumento del vapore acqueo nell’atmosfera unito a sbalzi estremi di temperatura è stato accantonato.
Pazienza, – mi sono detta – sul versante scientifico la vicenda zoppica ma chi legge FS e/o horror è abituato a sospendere il giudizio ed evita domande pignole. Quindi ho giudiziosamente continuato a leggere le due vicende.
Vicenda numero 1: Ted Garnett è un vecchio vedovo solitario che vive in un villaggio sui monti Appalachi. Sorpreso dal diluvio e privo di notizie da parenti e amici, probabilmente periti nel disastro, Teddy si rintana in casa e si affanna a scrivere (a mano!) la cronaca degli ultimi quaranta giorni, soprattutto la lotta sua e del vicino di casa Carl contro enormi vermi fangosi, grandi come autobus che – dopo aver accoppato e divorato tutti gli abitanti del villaggio sbavando sui loro mobili e pavimenti, – scavano enormi gallerie sotto il giardino e le fondamenta della casa di Ted fino a emergere allo scoperto.
Vicenda numero 2: Mentre Ted e Carl sono alle prese con un orrido verme, nel campo vicino si schianta un elicottero; dall’incidente si salvano Kevin e Sarah, gli ultimi di un avamposto di sopravvissuti in una Baltimora surreale, dove l’acqua arriva ai primi piani degli edifici e la scarsa umanità si sposta con barche e zattere di fortuna. Ospitati da Ted, i due giovani raccontano le peripezie del loro gruppo, decimato da ladri di provviste e membri di una setta dedita ai sacrifici umani e adoratrice di una divinità marina che ricorda il solito Kraken. Finale terrificante e disgustoso assicurato.
Devo ammettere che Keene con la sua catastrofe ambientale priva di cause e responsabili e le due vicende che non riescono ad amalgamarsi, nonostante la seconda piombi nella prima, ha duramente messo alla prova la mia credulità di lettore. Eppure la mia disponibilità a sospendere il giudizio non è mai venuta meno in decenni di letture fantastiche a base di vampiri a stretta dieta emo, di organismi alieni figli di evoluzioni capricciose e perfino di pellicole affollate di giovani sconsiderati che ostinatamente, sequel dopo sequel, continuano ad aprire “quella porta”.
Io non amo l’horror a base di mostricioni cattivi, perché fanno paura e schifo, ma sono privi di “anima”: gli Antichi di Lovecraft erano tuttl’altra cosa, intelligenze aliene vissute per eoni. Ma il mio conto in sospeso non è contro i Vermi scavatori o il Kraken innamorato di una donna sirena, le lungaggini del romanzo, i personaggi poco significativi ma contro la confezione del volume e l’ignoranza sulla sua genesi.
Questo Vermi conquistatori è frutto di un assemblaggio: The Conqueror Worms è frutto di un collage poi comparso con due titoli diversi. In primis ci fu Earthworm Gods, un racconto di 9000 parole seguito non da un vero sequel ma da una novella di 19.000 parole con personaggi differenti ma ambientata nel medesimo mondo: The Garden Where My Rain Grows. In seguito, racconto e novella servirono da base a una novella lunga 85.000 parole e intitolata Earthworm Gods che, in edizione paperback (2006), cambiò titolo in The Conqueror Worms.
Riunire due opere narrative che abbiano la medesima ambientazione è un’operazione assolutamente legittima, onorevole e, nell’ambito del genere fantastico, particolarmente gradita ai lettori, ai quali offre la possibilità di esplorare un mondo da più punti di vista.
Purtroppo il volume 6 della collana «Urania Horror» non spiega affatto tutto questo, e si presenta come un romanzo; il lettore è quindi autorizzato a considerare la costruzione narrativa tirata via, pasticciata e poco efficace. Niente gli viene detto, inoltre, sui vari seguiti, a quanto pare sempre più visionari e deliranti, con derive lovecraftiane a base di raccapriccianti mostri degli abissi. Un paio di pagine di paratesto e una nota in ultima di copertina erano necessarie (e doverose) per mettere in guardia lettori esigenti o almeno per spingerli a una maggior indulgenza e ad apprezzare le pagine più visionarie e cinematografiche chiudendo gli occhi nei punti (non pochi) in cui la macchina narrativa scricchiola.
Peccato, perché I vermi conquistatori ha del buono, nonostante i molti difetti di montaggio e di descrizione dei personaggi; Ted è un protagonista poco soddisfacente: troppo rozzo come narratore del mondo rurale che affonda, ma anche troppo lucido come contadino della provincia profonda; Carl è più tipo che personaggio e i membri del gruppo di Baltimora (oltretutto solo raccontati da Kevin e Sarah ) sono quasi solo nomi, troppo simili tra loro, soprattutto le donne, per distinguerli uno dall’altro. Però la vita nella città dove giorno dopo giorno l’acqua sale, impadronendosi dei vari piani degli edifici – un mondo sgocciolante e silenzioso, ridotto ai tetti dei palazzi più alti – è suggestivo, e sarebbe un ottimo sfondo per una graphic novel.
Per onestà informo che in rete, sul sito di Urania esistono alcune informazioni sulla collana e quindi anche sul volume, ma quando compro un libro in edicola di solito io non consulto prima il sito dell’editore. Almeno finora.
In conclusione I vermi conquistatori non mi è piaciuto abbastanza per consigliarlo, ma ancora meno mi è piaciuta l’operazione editoriale di Urania Horror.
Brian Keene è autore di una quarantina di volumi, che spaziano dai gialli, all’horror, alla dark fantasy, ai fumetti. E’ anche piccolo editore e produttore esecutivo di uno studio cinematografico, ha vinto un paio di Bram Stoker Award, e ha scritto per serie come Doctor Who, Hellboy, Superman, Master of Universe,
N.B. The Conqueror Worms è già stato pubblicato in Italia, nel 2011, da Edizioni XII, che ha terminato le attività editoriali a fine 2012.
Brian Keene, I vermi conquistatori
Mondadori Urania Horror 2014, pp.45 € 5.90, trad. L. Musolino, D. Bonfanti
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