Prima di leggerlo, consideravo Stephen King (di cui non avevo mai letto un romanzo, solo qualche racconto) un abile costruttore di vicende e un discreto saggista (suo è il saggio Danse Macabre). Oggi faccio ammenda, anche se so di essere in buona compagnia: King è uno degli autori più citati da chi parla di best-seller veloci, sospetto senza averlo letto.
Non so, francamente, perché il mese scorso ho sfogliato Cuori in Atlantide, forse perché King presentava i suoi libri solo nelle librerie indipendenti. Comunque sia, l’ho aperto, ho letto le prime due pagine, poi la terza, poi… ho proseguito sino alla fine per il piacere di leggere e l’ho chiuso con la sensazione di aver speso ben il mio tempo.
Cuori in Atlantide è un intreccio di vicende dove tornano a varie età i medesimi personaggi; comincia come racconto naturalista, scivola rapidamente nel fantastico, si immerge nel tempo sospeso di una catastrofe imminente, scende nella follia della guerra del Vietnam e dei suoi strascichi e torna a riemergere nella quotidianità accettata da chi sta reimparando a sperare. Un cammino lungo, pieno di trabocchetti, dal melodramma al buonismo, dalla semplificazione alla “correttezza politica”, dal grand-guignol all’uso stucchevole delle metafore, che King riesce ad evitare con l’ironia, una certa dose di cattiveria e di gusto di dissacrare, e una potente spinta fantastica, che non svilisce il dramma del Vietnam, ma anzi consente a chi scrive – e a chi legge – di affrontare l’indicibile.
La prima vicenda, Uomini bassi in impermeabile giallo, segue Bobby, undicenne di provincia, nel suo primo approccio con la vita adulta: la scoperta dei limiti, delle piccinerie, della crudeltà e della volgarità degli adulti, l’incontro con il Male, inteso come squilibrio, rifiuto di comprendere e di vedere l’umanità negli altri. Ma – al contempo – Bobby impara anche l’amore: amore-compassione per la madre, disposta a troppi compromessi per mettere via un po’ di soldi, amore-desiderio per Carol, amore-amicizia per il compagno di giochi che la guerra trascinerà lontano, amore strano e misterioso per l’anziano signore – un po’ mago alieno, un po’ vittima designata – che gli insegna il piacere di leggere. C’è molto di King in questo primo racconto, non solo i suoi temi preferiti ma la sua vita di un tempo, ricordi, letture, il piacere infantile di andare al cinema, l’infanzia e la pre-adolescenza che l’autore evoca in una narrazione concentrata e discreta, che suggerisce a chi legge la propria infanzia, le proprie letture, il primo incontro con la comprensione che “crescere” significa convivere con i dubbi, le incertezze, il dolore delle scelte.
Anche il secondo, Cuori in Atlantide, deve molto all’esperienza di prima mano dell’autore, studente nei primi anni Sessanta, quando gli Stati Uniti stavano impantanandosi fino al collo nella guerra del Vietnam. Un gruppo di giovani al primo anno di Università, e tra loro Carol, si trova di fronte ad una scelta drammatica: i ragazzi che, puntando sullo studio, riusciranno a seguire i corsi regolarmente, non verranno reclamati dall’esercito, gli altri, i fuori corso, rischieranno di partire per il Vietnam. Alcuni diventeranno assidui alle lezioni, altri si impegneranno per la pace, altri getteranno la spugna e, qualcuno sceglierà di giocarsi, durante interminabili partite, il futuro e la vita. La minaccia dell’arruolamento separa ciecamente studenti e studentesse. Dice Carol al suo ragazzo:
Posso andare all’università del Connecticut […] Sono cose che posso fare, ho il privilegio di poterle fare, perché sono una femmina. Questo è un buon momento per essere donna, credimi. Per gentile interessamento di Lyndon Johnson.
Del terzo racconto, Willy il cieco, posso dire questo: vorrei averlo scritto io. Visionario e pieno di realismo scabro, evoca le immagini più cupe di Apocalypse now, le canzoni di Stan Ridgway, le discese lucide di Buzzati nel ventre delle città, e si avvita su se stesso a passo sempre più stretto come i racconti fantastici più riusciti. Willy, il sottufficiale menomato dalla guerra è l’alter ego che Bill si è inventato e che impersona ogni giorno, per continuare a vivere di elemosine sulla cattiva coscienza degli americani: gli uomini che non sono partiti, le donne che non sono state chiamate, i reduci colpevoli di essere sopravvissuti ai compagni. Bill, capace di diventare Willy e di restar tutto il giorno in piedi davanti alla chiesa, fissando immobile il sole attraverso gli occhiali neri sino a che la luce lo rende davvero temporaneamente cieco, è un personaggio indimenticabile, teso come un filo d’acciaio tra il freddo calcolo e la volontà di espiare.
Molto bello anche Perché siamo finiti in Vietnam, cronaca della morte di un sopravvissuto che non riesce a dimenticare, sospeso tra il sogno e un livello più alto di consapevolezza. L’ultimo, Scendono le celesti ombre… – di cui preferisco il sottotitolo: Vieni bastardo, vieni a casa – chiude il cerchio nell’unico modo possibile, affrontando ancora il mistero che Bobby aveva affrontato all’inizio: crescere significa lasciarsi «alle spalle il bambino che si è stati» o qualche volta «sentiamo ancora alcune delle voci giuste»?
Non voglio darvi l’impressione di gridare al capolavoro: Cuori in Atlantide è un libro lungo, che richiede pazienza e che sa far compagnia, che dice cose difficili con parole semplici (ma non facili o banali). King non bara, non cerca di fregare il lettore con la complicità, la nostalgia da un tanto al chilo, racconta e basta, da artigiano, dedicando tempo a ciò che scrive, anche andando alla deriva o seguendo vicoli ciechi e regala un po’ di se stesso ai personaggi senza farne dei calchi autocelebrativi. Non è poco. Da autori così, narratori popolari (ma anche Dickens lo era, no?) e di genere, che però si sforzano (e può darsi che King lo abbia imparato con il tempo) dal loro angolo di guardare la realtà e non dentro uno specchio possiamo aspettarci qualche buona sorpresa.
dal racconto omonimo è stato tratto un film di Scott Hicks, con Anthony Hopkins e Hope Davis. Qui il trailer
Stephen King, Cuori in Atlantide
Sperling & Kupfer, pp. 608, € 11,90, trad. T. Dobner
Idem, ediz. in e-book, € 6,99
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