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    Magazzino

    Chicago in Egitto

    • di Consolata Lanza
    • Agosto 31, 2014 a 7:23 pm

    chicago

    Questo secondo romanzo di ‘Ala Al-Aswani, dopo l’esordio efficacissimo di Palazzo Yacoubian, non delude ma ne conferma sia i pregi che i difetti. Tanto per non girarci intorno, bisogna dire che ‘Al-Aswani è un eccellente narratore, che sa come suscitare e mantenere desta l’attenzione del lettore, e Chicago si legge d’un fiato. Mai una descrizione a interrompere il flusso narrativo, mai un tempo morto né una pagina noiosa, solo ritmo e essenzialità. Però non è narratore sottile, i suoi personaggi funzionano quando agiscono sotto la spinta della necessità, della realtà che non perdona, ma la loro psicologia è abbastanza grezza, talvolta vicina al cliché. Tale limite è più evidente in questo romanzo in cui si muovono anche personaggi «occidentali», americani che paiono un po’ stereotipati, come se l’autore li avesse concepiti dopo un breve viaggio negli Stati Uniti sull’onda di fugaci impressioni. Soprattutto le donne, permettetemi di dirlo, sono davvero poco convincenti, e alla fine rimane il sospetto che ‘Al-Aswani, malgrado il suo sguardo rigorosamente laico e equidistante, sia sotto sotto piuttosto moralista soprattutto per quel che riguarda la libertà sessuale, che insieme al controllo del proprio corpo da parte delle donne, sembra l’inizio di ogni male: il classico sai come cominci ma non sai come finisci (all’inferno, insomma). Così alcune delle vicende che compongono questo romanzo corale alla fine risultano un po’ grottesche per il lettore occidentale, come quella della donna che scopre la felicità con il vibratore (completa di lezioncina sul punto G, tanto ingenua da apparire ridicola), o quella della bella nera Carol, che non riesce a trovare lavoro per via del colore della sua pelle e dopo tremende esitazioni e laceranti dubbi accetta di fare pubblicità per un reggiseno, senza che si veda la sua faccia e solo perché deve nutrire il figlio piccolo, e da lì inevitabilmente cadrà nel baratro della più desolante rovina… Insomma mi pare che le parti più riuscite siano quelle in cui agiscono personaggi egiziani alle prese con un’America piena di opportunità ma anche di insidie, vedi la vicenda del giovane Naghi che sperimenta quanto possa essere spietata e ingiusta, l’orrido Danana che prospera tra corruzione e ricatto, o il professor Salah che non regge alla pressione della vita, o la storia di Shaima’ e Tareq, che pur convinti di avere seguito con scrupolo la legge coranica, pagano amaramente la libertà personale offerta dalle circostanze.

    aswany

    ’Ala Al-Aswany

    La vicenda, anche troppo corale, si svolge ai giorni nostri intorno alla Facoltà di Istologia dell’Università dell’Illinois, a Chicago, dove si intrecciano le storie di professori d’origine egiziana ormai inseriti e borsisti egiziani che vivono lì per qualche anno, e degli americani con cui interagiscono. Alle spalle c’è un Egitto fosco, preda di corruzione e capace di un controllo politico che si stende fino negli Stati Uniti per mezzo dell’Associazione degli Studenti capeggiata dal viscido Danana. Davanti si apre l’America dalle mille libertà, che offre a tutti le sue ricche opportunità, ma insieme incomprensibile, causa di solitudini e smarrimenti senza ritorno. Le storie riguardano destini personali e la Storia, corrono verso le conclusioni a fosche tinte senza esitare, forse con un eccesso didascalico che le costringe a toccare tutti gli aspetti della vita, dalla politica al sesso alla religione alla droga e chi più ne ha più ne metta. Ma ‘Al-Aswani ci costringe a correre con loro, senza stancarci né farci inarcare le sopracciglia per l’incredulità

     

    ’Ala Al-Aswany Chicago
    Feltrinelli ed. 2008, pp. 310, € 17,50
    Trad. Bianca Longhi

    idem in e-book ed.2013, € 6,99

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