Anche se questo romanzo corale, ambientato tra Borgo S. Giustino, Ivrea, Londra e un’isola caraibica, segna il suo esordio, Giuse Lazzari è una scrittrice esperta e non certo alle prime armi. Tutto gravita attorno al funerale di Jos Asad, personaggio fondamentale al centro del mistero che fa di questo libro un giallo sui generis. Più ancora delle circostanze della sua morte, avvenuta per una caduta di bicicletta di cui si sospetta che non sia stato un semplice incidente, è lui stesso il mistero. Jos è un indiano di origine giamaicana piombato un paio di anni prima in questo angolo di Canavese dove ha seminato scompiglio, pettegolezzi, invidie legati più alla piccolezza del posto che a fatti concreti. Jos è uno scrittore dal passato turbolento, cordiale, seduttore facilmente sedotto, curioso, assolutamente impermeabile alle apparenze, del tutto privo di insicurezze sociali più ancora che anticonformista, inconsapevole del disordine che provoca. Si muove in bicicletta, vive in due stanzette spartane, eppure viene subito accolto da tutti come un pericoloso ma attraente diversivo, con il sollievo di trovarsi finalmente faccia a faccia con un diverso che non è brutto sporco e cattivo, non è l’immigrato triste alla ricerca di un illusorio benessere, anzi, unisce l’esotismo al glamour dell’intellettuale.
Al suo funerale sono riuniti quasi tutti i personaggi del romanzo. Senza nulla sapere degli intrecci che li legano al morto, siamo messi di fronte ai loro comportamenti e ai loro pensieri. Prima di tutto ecco le donne, molte donne. Phyllis l’ex moglie, Giuliana la vicina di casa, Marta la casalinga inquieta, Antonia l’antiquaria, Vittoria dai capelli rossi, le donne del coro della parrocchia di San Domenico, tutte più o meno vittime del fascino di Jos. Poi ci sono gli uomini, il maresciallo Tallevi, il ricco collezionista dottor Milani, Sandy l’inglese incagliato a Ivrea per amore, Emilio il conformista frustrato, Paolo Vinays il parrucchiere che ha trovato Jos morto per strada. Tutti amici e insieme tutti in qualche modo feriti da Jos o piuttosto dalla sua presenza. Molti sono lì per autentico dolore, altri per curiosità o gusto del pettegolezzo, altri forse sollevati dalla paura di avergli raccontato troppo, rischiando di trovarsi svelati nel romanzo che sta scrivendo.
La sapiente struttura narrativa ci porta continuamente nel passato attraverso i pensieri e i ricordi dei vari personaggi. Giuse Lazzari è un narratore più che onnisciente, penetra audacemente nella mente di ognuno, mette a nudo emozioni e aspettative, in una espertissima struttura a spirale (cito dalla quarta di copertina di Bruno Gambarotta) che incessantemente si allontana e ritorna alla scena iniziale del cimitero affollato. Alla fine il mistero della morte di Jos viene svelato, ma, molto più importante, viene svelato anche il mistero della sua vita. E il finale sorprendente ma non inaspettato ha anch’esso un andamento circolare, molto efficace, che ne fa un giallo atipico. A differenza di tante trame gialle usate come pretesto, seguendo una moda di questi tempi, i misteri si risolvono in modo soddisfacente ma leggero, senza deludere gli appassionati del genere perché le regole sono rispettate, ma nel contempo risulta chiaro che non erano la vera sostanza della vicenda. Centrale è la costruzione dei personaggi, delle loro psicologie, dei motivi occulti o palesi di comportamenti che ci hanno incuriosito fin dall’inizio, e la rappresentazione gradevolmente ‘cattiva’ di un ambiente provinciale pettegolo e vivace.
Resta da spiegare il titolo, così insolito e intrigante. Il grido della catalpa è il libro che Jos stava scrivendo, o che aveva in mente di scrivere nel suo buen retiro canavese, ma non solo…
Giuse Lazzari
Il grido della catalpa
(Passigli)
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