[Si prosegue qui un rapido esame dell’ultimo capitolo del romanzo Dracula di Bram Stoker, dall’incontro finale del ciclo TuttoDracula tenuto presso la Libera Università dell’Immaginario di Torino il 21 marzo scorso. Per la parte precedente si rinvia qui. F.P.]
Attraverso le fiamme dell’inferno
(II PARTE)
5 novembre
Van Helsing prosegue il diario imponendosi di “essere molto preciso in ogni cosa”, per non suscitare in Seward – destinatario di quelle pagine, e insieme al quale pure ha visto cose assai strane – il sospetto di essere ammattito per “the many horrors and the so long strain on nerves”.
Per tutta la giornata del 4 hanno viaggiato avvicinandosi alle montagne attraverso “un territorio sempre più selvaggio e deserto. Ci sono grandi e spaventosi precipizi e molte cascate, e si direbbe che la natura ha celebrato qui, un tempo, suo carnevale” (“into a more and more wild and desert land. There are great, frowning precipices and much falling water, and Nature seem to have held sometime her carnival” – molto bella l’idea di un carnevale della Natura, che qui tuttavia può implicare risvolti di sfrenatezza allarmante, di scatenamento panico). Mina continua a dormire; il professore ha mangiato, ma non è riuscito a svegliarla neppure per un boccone, e inizia a temere “che il fatale incantesimo di questo luogo avesse preso anche lei, contagiata com’era con quel battesimo di Vampiro” (“that the fatal spell of the place was upon her, tainted as she is with that Vampire baptism”). Consideriamo che Jonathan aveva inizialmente valicato quella terra sulla carrozza di Dracula, a folle velocità; mentre il professore vi sta penetrando poco a poco, immergendosi nel mistero e nel pantano di magia di una regione già strana in radice, e alla quale il vampiro rilascia qualcosa di tenebroso in aggiunta. Si prepara dunque a vegliare la notte; ma la stanchezza è più forte e finisce con l’addormentarsi di giorno, mentre guida su quella strada pur antica e mal tracciata – risvegliandosi poi nuovamente coi sensi di colpa e di tempo perduto.
Mina dorme ancora, il sole va calando, “Ma tutto era proprio cambiato; le montagne con loro aria minacciosa sembravano più lontane, e noi eravamo vicini a cima di ripida collina, e sul culmine di essa collina c’era un castello come Jonathan racconta in suo diario” (“But all was indeed changed. The frowning mountains seemed further away, and we were near the top of a steep rising hill, on summit of which was such a castle as Jonathan tell of in his diary”). Il tema del viaggio meraviglioso al cui termine il viaggiatore giunge risvegliandosi è antico almeno quanto l’Odissea: qui però l’arrivo non è a casa, ma in un luogo terrificantemente altro, per cui il risveglio non è nel segno della meraviglia e del sollievo ma del senso di colpa – anche se, aggiunge Van Helsing subito dopo – di fronte al castello prova subito “grande esultanza e grande paura; perché ormai – per bene o male che fosse – la fine era vicina”. Per cui sveglia Mina e tenta di ipnotizzarla, ma ormai si è fatto troppo tardi (questo tema dell’ipnosi che non riesce, frustrata da giorni di tentativi, è particolarmente interessante in un contesto culturale di fine secolo che esalta invece questa tecnica come trattamento benefico o piuttosto spettacolo). Poi, prima che gli ultimi bagliori di luce diurna sulla neve spariscano abbandonandoli alle tenebre notturne, stacca i cavalli e dà loro da mangiare, accende il fuoco facendovi sedere accanto Mina e prepara un boccone di cena.
Lei, comoda sulle sue coperte, è finalmente sveglia, “più affascinante che mai” – una notazione che richiama e compenetra due ordini di suggestioni. In più punti, lungo il viaggio, Van Helsing ha sottolineato come l’aspetto di Mina appaia più sano, e ora che sono vicini al castello, la definisce “more charming than ever”: si tratta evidentemente dello stesso fenomeno che Lucy ha conosciuto dopo morta, un aumento dell’attrazione e dell’avvenenza che dice molto sul magnetismo del vampiro (letterario), carico di una terribile seduttività – per cui la notazione ammirata ha un retrogusto sinistro, dove apparenza sana e sostanza necrofila sembrano compenetrarsi in modo minaccioso. D’altro canto però Van Helsing e Mina rappresentano rispettivamente, nel senso già spiegato, l’Uomo Nuovo e la Donna Nuova, la vera “coppia” opposta all’Uomo Vecchio Dracula – e in termini esistenziali, la cura reciproca manifestata in questa ultima parte dell’avventura si accompagna alla solitudine dei due in una situazione estrema. Certo il desiderio sessuale manifestato scompostamente dal Van Helsing di Coppola verso Mina – ma da lei stessa suscitato in un abbandono sempre più marcato delle proprie barriere interiori (in parallelo per esempio a una mutazione del modo di vestire per cui dai chiusissimi corsetti inizialmente indossati dall’attrice la scollatura si apre sempre più, e in questa scena quasi rivela i seni) – costituisce una lettura enfatizzata, febbrile. Ma proprio l’Altrove in cui i due si trovano, l’Est/Es dei risvegli segnati dal senso di colpa, il magmatico mondo ultimo di Dracula suscitatore di pulsioni, appare in fondo il contesto ideale in cui la straziata solitudine interiore dell’anziano Van Helsing potrebbe svelare tra le righe, oltre l’ansia e la paura, un’inconfessata e umanissima attrazione visitata da sogni verso la giovane donna che sta accompagnando.
Mina non vuole mangiare, dice di non aver fame e Van Helsing sa che è inutile insistere. Lui però mangia, deve tenersi su; poi, “pieno io di paura per quello che poteva succedere, ho io tracciato un cerchio, grande abbastanza per sua comodità, tutto intorno a dove Madam Mina era seduta; e su tutto cerchio io sparso un po’ delle sante cialde, sbriciolandole in modo che tutto era ben protetto” (“Then, with the fear on me of what might be, I drew a ring so big for her comfort, round where Madam Mina sat. And over the ring I passed some of the wafer, and I broke it fine so that all was well guarded”). Probabilmente Van Helsing teme che Mina ceda all’infezione: non tanto che lo attacchi – perché vedremo che nella notte resta accanto a lei – quanto che gli sfugga verso il castello. Così traccia “a ring”, un anello nella neve attorno a lei, e con la solita disinvoltura rituale che conosciamo, sparge in minuti frammenti alcune ostie consacrate (a parte l’improprietà dell’uso, occorre domandarsi come Van Helsing si sia procurato una quantità di ostie tale da tracciare un cerchio dove, vedremo, starà a un certo punto anche lui). Stoker deve avere in mente il modello del cerchio magico, tracciato con gesso o altri materiali atti a scrivere, e connotato da teonimi, parole sacre o di potenza (più eventuali coppe d’acqua santa eccetera), e che in magia cerimoniale può essere utilizzato dall’operatore sia per difendere se stesso o altri da forze oscure all’esterno, sia per confinare all’interno realtà pericolose – anche se non risultano attestazioni di pratiche difensive con l’ostia come quella ora inventata da Van Helsing.
Mina non reagisce, resta seduta “così ferma come una morta”, “sempre più bianca fino a che neanche la neve era più pallida di lei” e in silenzio. All’avvicinarsi però del professore gli si aggrappa, con un tremito penoso dalla testa ai piedi: e solo quando si calma un po’ Van Helsing tenta di scoprire cosa lei sia in grado di fare dopo l’erezione della barriera. Le propone dunque di spostarsi vicino al fuoco, e lei obbedisce alzandosi, ma dopo un passo si ferma e resta lì come folgorata. Lui la esorta a venire avanti, Mina scuote il capo e torna indietro a sedersi. Poi, fissandolo con occhi spalancati “come uno che si risveglia da sonno” dice soltanto “I cannot!” e tace. Il professore dunque si rallegra, perché se lei non può muoversi – spiega – non può farlo “nessuno di quelli che noi temiamo. E sebbene questo poteva essere pericolo per suo corpo, comunque sua anima era salva!” In realtà, come spesso con le deduzioni di Van Helsing, c’è spazio per discussione: ciò che trattiene una quasi-vampira fresca di morso come Mina potrebbe in teoria non bastare per una antica di molti secoli come le spose di Dracula – ma Stoker evidentemente non considera sussistente il problema. Quanto alla frase successiva, “Though there might be danger to her body, yet her soul was safe!”, il significato sarà più chiaro più avanti, quando Van Helsing si renderà conto che Mina, prigioniera nel cerchio, resta però esposta ai lupi.
A un certo punto però i cavalli iniziano a nitrire disperati, cercando di strapparsi dalle corde: qualcosa nella notte li atterrisce, e Van Helsing deve andare a calmarli posando le mani su di loro e lasciandosele lambire – e sul momento vi riesce, anche se la scena dovrà ripetersi parecchie altre volte nel corso delle successive ore da incubo. “Fino a che è arrivata quella fredda ora in cui tutta la natura è al suo punto più basso”, il fuoco inizia a morire sotto la neve ormai vorticosa e mista a nebbia gelata, e il professore si affanna per ravvivarlo. “Anche in quella oscurità c’era un certo quale chiarore, come sempre quando c’è neve, ed è sembrato che i fiocchi di neve e i turbini di nebbia prendessero forma di donne con vestiti con grande strascico. [Una immagine, a ben vedere, di straordinaria potenza evocativa su ciò che sta minacciando i viaggiatori e spaventa i cavalli.] Tutto questo in un mortale, grigio silenzio, salvo che per i cavalli che si lamentavano rannicchiandosi a terra, come per terrore del peggio. Ho cominciato ad avere paura – orribili paure, ma poi tutto mio essere è stato invaso da un senso di salvezza grazie a quel cerchio nel quale mi trovavo ora anch’io” – ed è questo inciso a farci comprendere come il timore di Van Helsing non riguardi tanto un attacco da parte di Mina, anche se è possibile che gli effetti del cerchio di ostie comprendano anche un certo controllo sulla quasi-vampira lì trattenuta.
Van Helsing a quel punto valuta che nelle sue “imaginings” stiano giocando tensione, fatica e suggestioni della notte: “Era come se i miei ricordi di quella terribile esperienza di Jonathan se la stessero prendendo con me; perché i fiocchi di neve e la nebbia hanno cominciato a turbinare e a ruotare, fino a che ho visto come un lampo balenare l’ombra di quelle donne che volevano baciarlo” (“It was as though my memories of all Jonathan’s horrid experience were befooling me. For the snow flakes and the mist began to wheel and circle round, till I could get as though a shadowy glimpse of those women that would have kissed him”). Già nel Dracula’s Guest la misteriosa epifania della vampira si consumava in una notte all’aperto tra la furia degli elementi: e visto che un episodio simile doveva comparire nelle prime cento pagine perdute del romanzo, la situazione ora descritta sarebbe dovuta apparire come simmetrica, l’ennesima delle simmetrie immesse da Stoker nel Dracula. I cavalli terrorizzati si accucciano “giù, e sempre più giù”, quasi – diremmo – a cercare di non farsi vedere o nascondersi sottoterra, lamentandosi come uomini sofferenti, senza che quel terrore folle riesca a far loro strappare le funi (sembra di poter intendere così l’espressione “Even the madness of fright was not to them, so that they could break away”: una madness of fright del tipo che paralizza, non quella che fa reagire). E Van Helsing teme per Mina, “quando quelle diaboliche figure si sono a me avvicinate e hanno a me girato intorno. Ho guardato a lei, ma lei era seduta calma e mi ha sorriso; quando poi stavo per avvicinarmi al fuoco per aggiungere legna, lei mi ha preso e mi ha tirato indietro, e mi ha sussurrato, con una voce che si sente solo in sogno, tanto era così piano:
‘No! No! Non andate fuori di qui! Qui siete al sicuro!’.
Io mi sono voltato, e guardandola negli occhi, ho detto: ‘Ma e voi? Perché è per voi che io ho paura!’.
Al che lei ha riso – un riso cupo e irreale, e ha detto: ‘Paura per me! Perché aver paura per me? Nessuno al mondo è più al sicuro di me da quelle là’. E mentre mi chiedevo io quale era il significato di sue parole, un colpo di vento ha fatto ingrandire la fiamma, e ho visto la cicatrice rossa sulla sua fronte. Allora, ahimè, ho capito! Ma anche senza capire subito, lo avrei capito subito dopo, quando quelle figure turbinanti di nebbia e di neve sono venute più vicino, sempre però restando al di fuori di Sacro cerchio” (ma merita recuperare il testo originale: “I feared for my dear Madam Mina when these weird figures drew near and circled round. I looked at her, but she sat calm, and smiled at me. When I would have stepped to the fire to replenish it, she caught me and held me back, and whispered, like a voice that one hears in a dream, so low it was.
“No! No! Do not go without. Here you are safe!”
I turned to her, and looking in her eyes said, “But you? It is for you that I fear!”
Whereat she laughed, a laugh low and unreal, and said, “Fear for me! Why fear for me? None safer in all the world from them than I am,” and as I wondered at the meaning of her words, a puff of wind made the flame leap up, and I see the red scar on her forehead. Then, alas! I knew. Did I not, I would soon have learned, for the wheeling figures of mist and snow came closer, but keeping ever without the Holy circle.”).
Una scena terribile, dove l’aspetto in fondo più disturbante sta nel fatto che Mina, con la sua voce come sussurrata in un sogno, il “riso cupo e irreale” e soprattutto quel marchio sulla fronte si trova ormai a metà tra i due mondi: è ancora in vita e protegge l’anziano amico ma ormai appartiene virtualmente alla sfera della non-morte – e lo stesso Van Helsing che pure conosce tanto bene la sua situazione, fatica a mettere a fuoco il peso di quell’alterità.
Se probabilmente è un bene che Mina non possa allontanarsi, resta il fatto che le spose di Dracula non possono più danneggiarla – restando comunque a vagare come bestie feroci attorno al cerchio. “E lì hanno cominciato a materializzarsi fino a che – se Dio non ha tolto mia ragione, perché questo ho visto io con miei occhi – davanti a me ecco, in vera carne e ossa, le stesse tre donne che Jonathan ha visto in quella stanza, quando volevano baciare la sua gola. Ho riconosciuto le movenze di loro forme, i luminosi e duri occhi, i denti bianchi, il colorito rosa, le labbra voluttuose. Esse hanno anche sorriso alla povera cara Madam Mina, e come il loro riso ha risuonato nel silenzio della notte, hanno intrecciato loro braccia e puntato dito verso di lei [il movimento non è chiarissimo, “they twined their arms and pointed to her”, anche Saba Sardi nell’edizione Mondadori traduce: “intrecciando tra loro le braccia hanno fatto cenno a lei”: in realtà si potrebbe pensare al celebre dipinto di Johann Heinrich Füssli (1782-83, Zurigo, Kunsthaus) dove le tre streghe puntano simultaneamente e parallelamente le rispettive braccia sinistre indicando, e intendere “twined” come “twinned”, “gemellarono/appaiarono”], e hanno detto – in quei toni così dolcemente tintinnanti che Jonathan aveva detto essere la non tollerabile dolcezza di un concerto di bicchieri: ‘Vieni, sorellina. Vieni con noi [letteralmente: “a noi”]. Vieni! Vieni!’” (“Then they began to materialize till, if God have not taken away my reason, for I saw it through my eyes. There were before me in actual flesh the same three women that Jonathan saw in the room, when they would have kissed his throat. I knew the swaying round forms, the bright hard eyes, the white teeth, the ruddy colour, the voluptuous lips. They smiled ever at poor dear Madam Mina. And as their laugh came through the silence of the night, they twined their arms and pointed to her, and said in those so sweet tingling tones that Jonathan said were of the intolerable sweetness of the water glasses, “Come, sister. Come to us. Come!“”). Mentre Dracula non ama mostrare le proprie trasformazioni, c’è un certo losco esibizionismo in queste tre terribili donne che chiamano a sé Mina.
Van Helsing si volta allora terrorizzato verso la compagna di viaggio: ha il panico che risponda all’invito, panico per lei ma anche per se stesso – e invece con ardente sollievo nota “il terrore nei suoi occhi, la repulsione, l’orrore”, a chiarirgli che non appartiene ancora alle tenebre. Ringraziando il Cielo perché “lei non era ancora una di loro”, il professore raccoglie qualche ramo e tendendo avanti a sé i frammenti di ostia avanza contro di loro verso il fuoco. Le vampire indietreggiano, “sempre ridendo quella loro orribile risata”, e Van Helsing rafforza il fuoco con quei legni – “e non avevo paura di loro; perché sapevo che nel nostro cerchio protettivo eravamo noi salvi”. Tenuta fuori la minaccia, il professore non può che constatare però il silenzio sceso sui cavalli ormai immobili e via via coperti di neve – morti evidentemente di terrore.
La notte trascorre col professore e Mina bloccati nel cerchio: lui è “sconsolato e impaurito, e pieno di dolore e di terrore”, ma all’emergere del sole le forze gli tornano, mentre le “horrid figures” si dissolvono “in un vortice di nebbia e di neve; e ormai solo spire di tenebra trasparente, si sono allontanate, perdendosi, verso il castello”. Subito il professore si volge a Mina per ipnotizzarla, ma lei è caduta in un sonno invincibile; lui tenta allora di ipnotizzarla mentre dorme, ma senza risultato e ormai il sole sorge. “Ho anche paura a fare qualsiasi cosa” (Saba Sardi: “Ancora temo di muovermi”, “I fear yet to stir”) ammette Van Helsing sconvolto per la nottata. Riaccende il fuoco, va a controllare i cavalli – tutti morti – e considera che avrà parecchio da fare non appena il sole sia più alto: può essere infatti costretto ad andare in posti dove “la luce del sole, anche se neve e nebbia lo oscurano, sarà per me una salvezza”. Poi, mentre Mina riposa calma, lui si prepara, “con buona colazione” (suona quasi paradossale, come recitato da Anthony Hopkins) al suo “terribile lavoro”.
4 novembre
E qui troviamo un nuovo salto indietro del romanzo per mostrare cosa accade ai compagni giovani e al contempo tener alta la tensione.
Si inizia con il diario di Jonathan, che annota desolato quanto sia stato devastante l’incidente della lancia su cui stavano correndo il fiume: non ci fosse stato, avrebbero raggiunto Dracula, e Mina (ormai vicina al terribile castello, pensa con angoscia) sarebbe ormai libera. Procuratisi dei cavalli, continuano dunque la strada via terra – anzi, sta scrivendo nel momento in cui il compagno Arthur si prepara per la partenza. Sono ben armati, e “Gli tzigani dovranno stare attenti se vogliono dar battaglia” (“The Szgany must look out if they mean to fight”): evidentemente Jonathan intuisce che a portare la cassa entro il castello non saranno gli slovacchi responsabili del trasbordo fluviale ma gli zingari del Conte, sulla base di quanto accaduto nel viaggio di andata – a meno che non siano emerse specifiche notizie su passaggi di consegne della cassa.
Jonathan non può che rattristarsi del fatto che Quincey e Jack non siano con loro – e lancia un addio benedicente a Mina per il caso sciagurato di non riuscire più a scrivere altro.
5 novembre
Lo stralcio successivo, del giorno dopo, è dal diario di Seward – quindi relativo all’altra coppia di cacciatori – e qui scopriamo qualcosa di più. All’alba, annota Jack, hanno “visto il gruppo degli tzigani davanti a noi allontanarsi di corsa dal fiume con il loro carro, proteggendolo e nascondendolo da tutti i lati, affrettandosi come se fossero inseguiti”. Evidentemente – ecco la conferma – sono subentrati agli slovacchi per il trasbordo su terra. “Sta nevicando un po’, e c’è una strana eccitazione nell’aria. Può darsi che l’eccitazione sia tutta in noi [torna questo tema rilevato anche altrove nelle annotazioni di Seward: il più misogino della squadra prova un’eccitazione vagamente euforica per l’avventura da maschietti spalancata loro], ma la tensione che si avverte è comunque strana” – e si odono gli ululati dei lupi che la neve fa scendere dai monti, accrescendo il pericolo. Prima di ripartire, Jack annota cupo che “Stiamo andando verso la morte di qualcuno. Dio solo sa di chi, e dove, o come, o quando, o in che modo potrà accadere”: una sorta di presentimento, o piuttosto il sentire di un personaggio non esattamente solare, la cui nevrotica malinconia ha a tratti una vaga componente necrofila.
Ma lo stesso giorno, nel pomeriggio, riprende il memorandum di Van Helsing – che ringrazia Dio di essere ancora sano di mente al di là della terribilità di quanto vissuto. Lasciata Mina a riposare dentro “the Holy circle”, si è avviato a piedi verso il castello: e munito di un martello da fabbro che si era procurato a Veresti, per prima cosa provvede a spaccare i cardini rugginosi delle porte che pure trova aperte – per evitare che qualcuno o qualcosa possa richiuderle, imprigionandolo all’interno. “L’amara esperienza di Jonathan qui mi è servita”. Poi, sempre memore del diario dell’avvocato, trova la strada per la “old chapel” dove sa che dovrà concentrarsi il suo lavoro. Aria pesante, forse per “un qualche fumo sulfureo, che di tanto in tanto mi stordiva” (ricordiamo i rilievi sulle stranezze geologiche della Transilvania, dove dunque esalazioni sulfuree possono adeguatamente ristagnare nello stesso castello); e un rimbombo che forse aveva nelle orecchie, e forse invece era l’ululato in distanza dei lupi – un pensiero che angoscia il professore considerando come Mina sia esposta a ogni pericolo. Con l’alternativa tremenda tra il portarla lì con sé – ma non osa farlo – e il lasciarla nel Sacro cerchio, difesa contro il vampiro ma in balia dei lupi: e Van Helsing, che per se stesso sceglierebbe senza problemi i lupi, dovendo farlo per lei conclude – dopo qualche perplessità – per la stessa soluzione. Il suo compito è lì e deve andare avanti; per il resto si affida al Cielo, considerando che il peggio per Mina sarebbe la morte fisica. Si può obiettare che attraverso quella diverrebbe vampira – a meno che i lupi sbranino il corpo a sufficienza, e il professore sembra di questo parere.
Poi si mette in caccia. Sa di dover individuare almeno tre tombe con relativa occupante, e finalmente ne trova una. “La donna dormiva del suo sonno di Vampiro, così piena di vita e di voluttuosa bellezza che io ho tremato tutto, come se fossi venuto lì per compiere un assassinio. Ah, e neppure io dubito che in antichi tempi, quando queste cose esistevano, più di un uomo che si fosse accinto a impresa come la mia avrebbe sentito suo cuore mancare, e poi anche suoi nervi. Così lui esita, e esita, e esita, fino a che la bellezza e il fascino della spietata Non-Morta lo ipnotizzano; e lui resta lì, e va avanti a restare lì finché arriva il tramonto, e il sonno del Vampiro ha termine. Allora i meravigliosi occhi della bella donna si aprono e sembrano parlare d’amore, e la bocca voluttuosa si offre per un bacio – e l’uomo è debole. E così una nuova vittima resta preda del Vampiro; un altro che si aggiunge a macabre e torve squadre dei Non-Morti!…”
Stavolta Van Helsing non è in compagnia di un’intera squadra di cacciatori, come alla tomba di Lucy; non è a Londra, dove i terrori della notte restano comunque circoscritti tra le maglie di un mondo (più o meno) civile; e davanti non ha una ragazzina appena infettata, ma una vampira plurisecolare carica di tutto il glamour di commerci con l’oscurità tramite un Maestro di terribile potere. Ed è interessante che nel brano appena considerato Stoker, attraverso Van Helsing, abbia raccontato dettagliatamente e con una tensione (pensiamo ai lettori dell’epoca) che si è tentati di definire orgasmica, una storia di vampiri non appartenente a questo romanzo ma che apre come un percorso parallelo. Il tutto attraverso una sorta di filtro onirico, allucinatorio: e ora Van Helsing tenta di distaccarsene. “C’è qui, certamente, una qualche fascinazione, se basta a emozionarmi la sola presenza di un tale essere, sia pure giacente in una tomba guastata dal tempo, e gravata di polvere di secoli, e malgrado quell’orribile odore che hanno tutti i rifugi del Conte. Sì, io ho sentito emozione – io, Van Helsing, con tutti miei propositi e mie ragioni di odio – e un impulso a esitare che sembrava paralizzare tutte mie facoltà e mettere in ceppi la stessa mia anima. Può darsi anche che il bisogno naturale di dormire, e la strana oppressione dell’aria, stessero prendendo il sopravvento su di me. Certo era che io stavo cedendo a poco a poco al sonno, al sonno a occhi aperti di chi si arrende a una dolce fascinazione; quando a un tratto, attraverso l’aria gelida e immobile di neve, un lungo, fioco lamento, così colmo di dolore e di pietà mi ha ridestato come uno squillo di tromba. E quella che sentivo era la voce di mia cara Madam Mina”. Volutamente l’effetto non è naturalistico, Mina si trova a relativa distanza dal castello e Van Helsing è in un ambiente chiuso, per cui la voce che coglie è essenzialmente interiore; e del resto il tema dell’angelicata voce femminile che risuona a riscuotere da qualche pericolo – magari un pericolo che coinvolge l’anima – all’epoca di Stoker non è affatto nuovo. Basti citare l’episodio di Carmilla (cap. 7) in cui una voce “sweet and tender, and at the same time terrible”, quella della madre morta della narratrice Laura, le raccomanda di guardarsi dall’assassino (“assassin”). La diversità è che mentre in Le Fanu ciò apparteneva a una perturbante dialettica di morti e non-morti, in Stoker la voce di Mina, donna della Provvidenza, è ancora quella della vita su cui l’infezione non ha scandito l’ultima parola.
“Allora ho ritrovato decisione per mio orrido compito, e buttando via cofani di tombe ho trovato un’altra delle sorelle, quella bruna [più precisamente “l’altra bruna”, “the other dark one”]. Non ho osato io fermarmi a guardarla come avevo fatto con prima sorella, per non correre rischio di altra fascinazione; ma ho continuato a cercare fino a che a un certo punto ho trovato in una tomba grande e maestosa, di quelle che si fanno per persona molto rimpianta, l’altra bella [“fair”, qui meglio traducibile nel senso di “bionda”] sorella che, come Jonathan, anch’io avevo visto materializzarsi da vortice di atomi di nebbia. Era così bella a guardarsi, così radiosa e splendida, così squisitamente voluttuosa, che l’istinto virile in me, che spinge quelli del mio sesso ad amare e difendere quelle del sesso di lei, ha fatto ancora girare mia testa con nuova emozione” [“Then I braced myself again to my horrid task, and found by wrenching away tomb tops one other of the sisters, the other dark one. I dared not pause to look on her as I had on her sister, lest once more I should begin to be enthrall. But I go on searching until, presently, I find in a high great tomb as if made to one much beloved that other fair sister which, like Jonathan I had seen to gather herself out of the atoms of the mist. She was so fair to look on, so radiantly beautiful, so exquisitely voluptuous, that the very instinct of man in me, which calls some of my sex to love and to protect one of hers, made my head whirl with new emotion.”]
Si tratta naturalmente della vampira bionda di cui una delle “sorelle” al cap. 3 aveva riconosciuto una precedenza e una sorta di prelazione sull’avvocato ospite (“Sei tu la prima, poi toccherà a noi. È tuo il diritto di cominciare”): l’unica a non svelare connotati di famiglia e dunque in origine estranea al clan Dracula, tanto da poter apparire immagine del vampirismo romantico in opposizione alle “sorelle” icone del vampirismo folklorico. Precedenza riconosciuta e tomba sontuosa suggeriscono che fosse lei in vita la sposa del Conte, colei alla quale era particolarmente votata la frase pronunciata da lui sempre al cap. 3, “Sì, anch’io so amare. Anche voi lo sapete, se vi guardate indietro”; ed era plausibilmente lei la contessa Dolingen, o meglio la pseudo-Dolingen delle prime cento pagine perdute del Dracula, evidentemente più antica di secoli di quella presentata nel testo-matrice Dracula’s Guest. D’altra parte queste dame antiche e numinose sono, a ben vedere, le Regine che al tempo di Stoker dominavano l’arte britannica grazie ai preraffaelliti della prima generazione; e sono i loro figli, coetanei di Bram, a ravvisare in queste splendide e terribili dee le vampire poi dilaganti come equivoche femme fatale nei primi decenni del Novecento. Di fronte a tanta bellezza, la cavalleria un po’ sessista di Van Helsing – che non è l’asceta interpretato da Cushing per la Hammer, ma un anziano ancora vivo di pulsioni – conosce una ventata di emozione.
“Ma, Dio sia ringraziato, quel lamento dell’anima di mia cara Madam Mina non si era esso spento dalle mie orecchie; e prima che quell’incantesimo prevalesse ancora più dentro di me, ho rincuorato mia volontà per mio truce compito. Ormai per quello che ne sapevo – avevo io ispezionato tutte le tombe della cappella; e siccome c’erano state solo tre di questi fantasmi di Non-Morti che avevano insidiato nostre notti, così ho pensato che non dovevano esistere altri Non-Morti in attività” (“But God be thanked, that soul wail of my dear Madam Mina had not died out of my ears. And, before the spell could be wrought further upon me, I had nerved myself to my wild work. By this time I had searched all the tombs in the chapel, so far as I could tell. And as there had been only three of these Undead phantoms around us in the night, I took it that there were no more of active Undead existent”). Dove torniamo in fondo all’Apollonio che supera gli incantesimi di Lamia – sia pure guadagnando in ambigua simpatia.
“Rimaneva una sola tomba più maestosa di tutte le altre; era di grande dimensione e di nobili proporzioni. E su di essa una sola parola,
DRACULA
Questa era dunque la casa di Non-Morto del Re-Vampiro, al quale si dovevano tanti altri vampiri. Il fatto di essere lei vuota, confermava in modo molto eloquente quello che già io sapevo. Prima di restituire quelle tre donne alla loro condizione di donne morte, grazie alla mia orrenda operazione, ho deposto nella tomba di Dracula alcuni frammenti di ostia consacrata, così da impedirgli a lui quel rifugio, per sempre finché in stato di Non-Morto” (“There was one great tomb more lordly than all the rest. Huge it was, and nobly proportioned. On it was but one word.
DRACULA
This then was the Undead home of the King Vampire, to whom so many more were due. Its emptiness spoke eloquent to make certain what I knew. Before I began to restore these women to their dead selves through my awful work, I laid in Dracula’s tomb some of the Wafer, and so banished him from it, Undead, for ever”). Di questa tomba il cinema amerà parlare: ovviamente non ha nulla in comune con la sepoltura tradizionalmente detta di Vlad Dracula nel monastero di Snagov (sull’isola dell’omonimo lago, 35 chilometri a nord di Bucarest), perché ostenta ben altra sontuosità. Ma ha quasi valore simbolico il fatto che l’immagine di questo sepolcro con un semplice nome a siglarlo, incontrato alla fine del romanzo di Stoker, compaia per esempio all’inizio del Dracula cinematografico Hammer: quel sepolcro dove il testo-fonte si conclude diviene in qualche modo l’inizio per una riemersione diversa.
“Poi è cominciato con grande terrore mio terribile compito. Fosse stata una sola, sarebbe stato relativamente facile. Ma tre! Ricominciare altre due volte dopo che già compiuto una volta un fatto così orrendo! Perché se cosa stata orribile con dolce signorina Lucy, quanto peggio non sarebbe stato con queste strane creature che erano sopravvissute per secoli, e così indurite per il passare degli anni; e che potevano, se avessero loro voluto, combattere per loro infernale vita?…” (“Then began my terrible task, and I dreaded it. Had it been but one, it had been easy, comparative. But three! To begin twice more after I had been through a deed of horror. For it was terrible with the sweet Miss Lucy, what would it not be with these strange ones who had survived through centuries, and who had been strengthened by the passing of the years. Who would, if they could, have fought for their foul lives…”) Non solo dunque l’orrore di dover procedere secondo il brutale uso della tradizione su quei tre corpi coricati, ma la paura di vederli emergere e combattere – rafforzati da un’esistenza plurisecolare.
“Oh, mio amico John, è stato un lavoro da macellaio; non fossi stato io sostenuto dal pensiero di altro morto, e di altra vivente sulla quale grava questa cappa di paura, mai avrei io potuto procedere. Io tremo e continuo a tremare ancora adesso, anche se tutto è ormai compiuto. Dio sia ringraziato, i miei nervi hanno resistito [Evidentemente il professore temeva una crisi di nervi come quelle già sofferte – in particolare dopo la morte di Lucy – nel corso del romanzo.]. Non avessi io visto il senso di pace in quel primo volto, e la felicità che su di esso si è dipinta un attimo prima che sopravvenisse la dissoluzione, a testimonianza che l’anima era in salvo, non sarei riuscito io a andare avanti con mio lavoro di macellaio. Non mai avrei potuto sopportare lo stridio orribile del bastone conficcato dentro; il contorcersi del corpo, le labbra schiumanti di sangue. Sarei io fuggito in terrore lasciando incompiuto mio lavoro. Ma ora tutto è finito! E per quelle povere anime posso io ora piangere e avere compassione, ricordandole io pacificate ciascuna in suo vero sonno di morte, in quell’attimo prima di dissoluzione. Perché, amico John, quasi non ancora il mio coltello aveva tagliato la testa di ciascuna, che già il corpo cominciava a disfarsi e tornare alla polvere originaria, come se la morte che avrebbe dovuto compiersi centinaia d’anni fa, si fosse ora finalmente imposta dicendo subito e ad alta voce: ‘Eccomi qua!’”. [“Oh, my friend John, but it was butcher work. Had I not been nerved by thoughts of other dead, and of the living over whom hung such a pall of fear, I could not have gone on. I tremble and tremble even yet, though till all was over, God be thanked, my nerve did stand. Had I not seen the repose in the first place, and the gladness that stole over it just ere the final dissolution came, as realization that the soul had been won, I could not have gone further with my butchery. I could not have endured the horrid screeching as the stake drove home, the plunging of writhing form, and lips of bloody foam. I should have fled in terror and left my work undone. But it is over! And the poor souls, I can pity them now and weep, as I think of them placid each in her full sleep of death for a short moment ere fading. For, friend John, hardly had my knife severed the head of each, before the whole body began to melt away and crumble into its native dust, as though the death that should have come centuries ago had at last assert himself and say at once and loud, “I am here!“”]
Dove emergono due suggestioni. Anzitutto il Van Helsing che vediamo qui non è quello di Coppola, che a operazione compiuta, brandendo le tre teste mozze delle vampire, le lancia nel precipizio in sfida a Dracula – e non solo perché qui i corpi si disfano non appena decapitati. Qui l’atteggiamento è diverso: e questa ferocia pietosa, pronta a piangere sui corpi delle creature – diamone pure atto, creature pericolose e in nessun modo tranquillizzanti – che ha appena sconciato, è per certi versi persino più inquietante. Per Stoker, Van Helsing è un eroe, e la sua condotta improntata ai migliori valori: ma indubbiamente alla nostra lettura il tutto resta ammantato di spaventosa brutalità.
Il che conduce alla seconda suggestione: quella di un uomo dabbene che macella con ferocia anatomica più donne come in serie, sorta di prostitute sovrannaturali, e si sofferma a contemplarne il volto ormai in pace come in una foto ingrigita alla morgue, richiama inevitabilmente il terribile mattatore di Whitechapel, quel Jack di volta in volta identificato quale medico (come Van Helsing) o macellaio (come Van Helsing in qualche modo si considera in quell’operazione, “butcher work” e “my butchery”). Qui l’impatto della suggestione, Stoker lo volesse o meno, è particolarmente forte; e l’immagine della morte che si impone a giustificare il tutto facendo sparire le prove – i corpi si inceneriscono – finisce con il confermare il quadro.
Poi il professore se ne va. Ma prima di lasciare il castello “ho sistemato tutti suoi ingressi così che mai il Conte potrà qui entrare come Non-Morto” (“Before I left the castle I so fixed [aggiustato, fermato, fissato, sterilizzato] its entrances that never more can the Count enter there Undead”) – una frase convenientemente generica e vaga, con cui Stoker risolve il complesso problema della capacità del vampiro di filtrare in pertugi di ristrettissime dimensioni. Considerando la varietà dei possibili accessi, l’ottimismo di Van Helsing sul tipo di blindatura effettuata ci pare strano – ma tant’è.
Poi il professore torna da Mina, che si risveglia “e vedendomi ha gridato con dolore che io avevo troppo voluto sopportare” – così Lunari, mentre Saba Sardi traduce “ vedendo me, grida in dolore che ho sofferto troppo, troppo”. In effetti la frase “and, seeing me, cried out in pain that I had endured too much” nel suo senso più ovvio mostra Mina desolata per la sofferenza del professore, tornato da lei con aria ovviamente sconvolta dopo la scioccante catabasi nel castello; non sembra invece che l’espressione possa intendersi come lamentazione di Mina su se stessa (ove traducessimo: “grida in dolore: Io ho sofferto troppo!”). Il contesto di sconvolgimento emotivo può far comprendere il sapore un po’ sopra le righe di tale manifestazione d’attenzione, ma il lettore resta in dubbio se in essa giochi (o se vi sia cifrato, persino al di là della coscienza di Mina) qualche altro elemento; tanto più che la giovane donna, subito dopo, esorta Van Helsing con una frase di intrigante ambiguità. “Venite! […] venite via da questo orribile posto! Andiamo a cercare mio marito, che sta venendo – lo so – verso di noi” (“”Come! […] come away from this awful place! Let us go to meet my husband who is, I know, coming towards us.””). Il riferimento è ovviamente a Jonathan di cui Mina avverte la presenza in arrivo: questa lettura verrà confermata da lei stessa il giorno dopo. Eppure non è impossibile ravvisare, alla luce della solita lettura d’epoca e di tutta una simbolica religiosa invertita nel segno del vampirismo, un richiamo blasfemo all’evangelico andare incontro allo sposo – cioè, attraverso i vincoli sponsali del sangue, lo stesso Dracula.
In realtà Van Helsing da questo punto di vista non sembra preoccupato, annotando che “Aveva lei un’aria pallida, e debole, e smagrita; ma i suoi occhi erano limpidi e splendevano di fervore. Ero contento di vedere suo pallore e suo malessere, perché mia mente ancora era piena di recente orrore per quel colorito roseo di Vampiri dormienti” (“She was looking thin and pale and weak. But her eyes were pure and glowed with fervour. I was glad to see her paleness and her illness, for my mind was full of the fresh horror of that ruddy vampire sleep”) – e almeno di giorno Mina sembra reagire anche col suo malessere fisico all’infezione in atto.
Poi, lasciandosi alle spalle il castello ormai esorcizzato, coi cuori pieni di fiducia, speranza e ancora tanta paura, i due muovono “verso oriente per incontrare nostri amici – e lui – che Madam Mina ci dice di sapere che stanno venendo a incontrare noi” (“we go eastward to meet our friends, and him, whom Madam Mina tell me that she know are coming to meet us”). E inizia così un faticoso cammino verso est – dunque ancor più a est, ancora più lontano sui confini del mondo piantonati da tiranni ultraterreni e minacciose orde di nomadi, gli Szgany come Gog e Magog. L’Hic sunt vampiri che Le Fanu, attraverso le rovine del castello Karnstein, poneva in un occidente terra dei morti per antonomasia (benché nell’ambito dell’orientale Stiria), per Stoker si colloca in un oriente radicale – l’oriente dell’oriente, il lontano assoluto cui devono dirigersi gli ultimi crociati.
(2 – Continua).
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.