Il mandala di Sherlock Holmes, a cura di Jamyang Norbu (Instar libri, 2002) comincia con il classico espediente del manoscritto ritrovato ma, già dalle prime pagine l’autore, Norbu, tibetano D.O.C., autore di numerosi saggi, in passato membro del governo tibetano in esilio e con qualche pendenza con il governo cinese, si rivela un appassionato di S. H. decisamente originale. Intanto Conan Doyle non è la sua unica passione letteraria: l’altra è Kipling. Di entrambi aveva divorato i libri da ragazzo, nella scuola di gesuiti frequentata a Darjeeling. Se avete letto Kim ricorderete forse Hurree Chunder Mookerjee, Hurree babu, il grasso e simpatico agente segreto bengalese ricalcato su uno studioso bengalese veramente esistito, esperto – guarda caso – in tibetologia. Perché non coniugare le sue due passioni, deve aver pensato Norbu, e magari cogliere l’occasione di raccontare agli occidentali un po’ di storia del suo Paese, un po’ della politica imperialista dei governi cinesi (tutti, compresi quelli comunisti)? Il risultato è un libro delizioso che riempie il famoso «vuoto» nella vita di Sherlock (i due anni trascorsi in Tibet con il nome di Sigerson, dopo il duello quasi mortale con Moriarty), riunisce in una grande avventura Holmes e il babu, riprende il tema del giovane dalai-lama che raggiunge la maturità anche grazie all’incontro con un occidentale, descrive un paese fantastico ed esplora un tratto caratteriale di Holmes che Conan Doyle aveva soltanto adombrato. Già, sotto la scorza scettica e il rigore del ragionamento, Sherlock nasconde un animo mistico che, trascurato, lo fa cadere in depressioni inspiegabili tollerabili soltanto grazie al violino e alla cocaina. Ma una volta arrivato in Tibet, chiamato nientemeno che dal segretario del Dalai-lama per dipanare un mistero e aiutarli contro gli invasori cinesi, Sherlock si sente finalmente a casa. Ne ha ottimi motivi, sapete? Ma attenzione, Sherlock non è l’unico ad avere una pelle dura, anche Moriarty è molto coriaceo e anche lui, nella sua animaccia nera, nasconde qualche piccolo segreto.
Un romanzo piacevole non soltanto per gli impallinati di Baker Street (che sono veramente tanti, sparsi ovunque, persino in Tibet, chi lo avrebbe mai detto?), o per gli amanti di Kipling (io che faccio parte di entrambi i gruppi mi sono divertita il doppio), ben scritto, riprendendo con abilità e amore, senza tradirli ma senza esagerare con la fedeltà a tutti i costi, i personaggi del detective e del babu. Non mancatelo, leggendo scoprirete un sacco di notizie sul Tibet e magari vi ficcherete in testa l’insana idea di fare un giretto da quelle parti. E, a libro chiuso, soddisfatti per la sorte dei due protagonisti, avrete imparato persino un discreto numero di espressioni indiane e tibetane. Acha, l’edizione italiana è una buona prova della nuova Instar libri, un lavoro curato con la copertina ad effetto che riprende quella dei gialli dell’epoca di Doyle, tra quelle scelte ancora dal compianto Gianni Borgo.
Jamyang Norbu, Il mandala di Sherlock Holmes
Instar Libri, pp. 320, € 16,00, trad. G.M.Griffini
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