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    TerraNova

    Una favolosa tenebra informe

    • di Silvia Treves
    • Febbraio 21, 2014 a 11:13 am

     

    delany
    Uno strano, inconfondibile, affascinante romanzo […] Un esempio avvincente della infinita capacità di rinnovamento della fantascienza, della continua, inarrestabile evoluzione della simbiosi tra scienza e fantasia.
    Sandro Sandrelli, Presentazione [Einstein Perduto, «Galassia» 147, 1971]

    Una favolosa tenebra informe di Samuel R. Delany, è un romanzo scritto dall’autore nel 1967, a soli venticinque anni, e pubblicato in Italia da «Galassia» nel 1971, come Einstein Perduto (strana manipolazione di The Einstein Intersection, il titolo imposto allora dall’editore americano). Il mio «Galassia», acquistato già squadernato e vetusto su una bancarella, si è conservato (con l’aiuto di uno spesso elastico) soltanto perché, dopo la prima lettura, non l’ho mai più riaperto: altre opere – quasi tutti racconti – di Delany hanno molto influenzato il mio immaginario fantascientifico, ma non questo romanzo. Riletto dopo tanto tempo, Una favolosa tenebra informe mi ha fatto la medesima (scarsa) impressione di allora: un libro generoso e confuso, un mix di ingredienti ricchi e promettenti che non riescono a trovare un completo equilibrio. Gli anni e le letture seguenti, però, non sono trascorsi invano: einstein perdutol’esperienza mi ha permesso di identificare molti temi e spunti che hanno fatto di questo libro un testo davvero importante. Impossibile da riassumere, il romanzo è la storia di un viaggio iniziatico, una rivisitazione del mito di Orfeo cui fa da contrappunto il diario del vero viaggio compiuto dal giovanissimo Delany attraverso Venezia, la Grecia, Istanbul, una sorta di iniziazione umana e artistica che ci permette di apprezzare l’autore anche come persona. I due testi, Una favolosa tenebra informe e il diario di viaggio, sono entrambi figli delle speranze giovanili degli anni Sessanta – proprio come le comuni, il libero amore, i pellegrinaggi in India alla ricerca di una spiritualità che facesse da contrappunto al materialismo dell’Occidente – del desiderio di conciliare le diversità, di unire invece che separare, di diventare migliori e più completi esplorando quelle parti di noi alle quali l’anagrafe non rende giustizia: le nostre molte età, la pansessualità umana, il maschile nella femminilità, il femminile nella mascolinità, la volontà che, in amore, «scelta» non diventasse sinonimo di «rinuncia». Di più: il romanzo di Delany è anche una suggestiva riproposizione di tutti i temi tipici del fantastico, della trasgressività di questo genere fecondo, che esplora la realtà tentando continuamente di forzarla e trascenderne i limiti, di annullarne le contrapposizioni tra vita e morte, maschile e femminile, umano e animale, spirito e istinto, materialità e ascesi, umano e alieno. Una favolosa tenebra informe, narra forse il tentativo impossibile di diventare umani degli alieni che hanno ereditato la Terra; o forse racconta il penoso tentativo dei nostri discendenti di riappropriarsi di un passato – il nostro –- che non può più essere il loro. Il titolo originale, finalmente tradotto esattamente da Fanucci, lo descrive perfettamente: un romanzo buio, informe e pieno di promesse, una favola che non riesce a dirci sino in fondo qualcosa di estremamente importante su di noi, un sogno che ci lascia esausti e sul quale continuiamo a tornare col pensiero. Giunta a questo punto potrei chiudere la recensione. Ma, consapevole dei miei debiti verso Delany mi sono chiesta che cosa ci fosse di tanto suggestivo in altre opere di Delany – un paio di romanzi e diversi racconti – che ho davvero amato. Così sono andata a svegliare dal loro letargo altri vecchi libri, altri acquisti da bancarella, ho riletto La ballata di beta 2 e l’antologia Al servizio di uno strano potere e un pugno di numeri del vecchio «Robot», mettendo insieme qualche appunto. Inutile sperare di dire qualcos’altro di significativo sulla narrativa «maggiore»: I gioielli di Aptor, La trilogia delle Torri, Babel-17, Triton, Dhalgren (che è stato di recente riproposto sempre da Fanucci), Storie di Nevèrïon. Qualsiasi motore di ricerca vi consentirà di visitare siti ricchi di commenti e apprezzamenti, apprenderete che Samuel R. Delany è un saggista, un critico della sf, un linguista di vaglia che ha esplorato nelle sue storie il rapporto più intimo che lega linguaggio, pensiero e visione del mondo; ma soprattutto scoprirete che Delany è un nero, forse il primo nero ammesso a pieno titolo nella comunità fantascientifica internazionale. Poi ne sono venuti altri, grazie a dio, anche numerose donne, ma Delany, probabilmente, fu il primo. E negli anni Sessanta, benché il mondo della sf fosse più aperto e più libertario di quello accademico, per essere neri e autori affermati bisognava ancora essere due volte più bravi. Samuel R. Delany lo era. Qualche tempo fa un amico osservava: «leggendo le opere di Delany si ha la sensazione che volesse dirci qualcosa di molto importante… Ma che cosa?» Ho cercato di rispondergli a modo mio. Che cosa mi è rimasto dentro delle storie di Delany? Che cosa vi ho ritrovato e che cosa ho riscoperto, riprendendo in mano i suoi libri?

    Delany foto

    a) I suoi adolescenti difficili, problematici, irritanti, aguzzi, possessori di talenti onerosi che li rendono insieme estranei e seducenti per gli adulti. fratelli e sorelle minori, figli potenziali, attraenti provocatori vulnerabili, candidi egoisti, versioni ambigue di noi stessi più giovani che si vorrebbe proteggere e insieme mandare a qual paese.

    b) Le sue donne determinate e mai banali, una gamma infinita di varianti indimenticabili: compagne paritarie, estranee inafferrabili, giovani donne apprendiste, scafate abitanti dei mondi, simboli di un altro sistema di pensiero. Professioniste determinate, leader responsabili, numi tutelari che precedono di un passo gli uomini che vorrebbero amarle.

    c) I suoi mondi proiettati che restano contigui al nostro o ne sono il sogno di un futuro impossibile e forse già concluso: il «buco fra le stelle» sul quale si affaccia l’Orlo della Galassia, la città delle Torri, le astronavi claustrofobiche di Beta 2, dove le tribù umane protagoniste di un’affascinante deriva culturale hanno ricavato le loro nicchie, spazioporti fragorosi, la terra «favolosa» e «informe» abbandonata dagli umani nella quale si danno battaglia le ultime vestigia umane e incomprensibili sogni alieni.

    d) I suoi lavoratori. Questo è, forse, l’elemento più nuovo che ho colto nella mia rilettura. È curioso e affascinante che un autore così mistico e sensibile ai miti come Delany popoli i suoi mondi di lavoratori manuali alle prese con difficoltà profondamente terrene, gente che fatica sporcandosi le mani: pastori di draghi giganteschi (Una favolosa tenebra informe), meccanici sospesi sul buio intergalattico che non potranno mai attraversare (Il buco tra le stelle), umani anfibi che esplorano i fondali marini (Vetro levigato dal mare), professionisti che portano le «Linee Elettriche Globali» convertendo alla «civiltà» anche chi non lo vuole (Al servizio di uno strano potere), addetti alla manutenzione che sudano l’anima negli spazioporti, alzando la testa verso le astronavi che sfrecciano verso mondi che sono loro preclusi (Corona); spaziali condannati a un’eterna prepubertà per meglio lavorare su altri pianeti (Sì, e Gomorra)…

    e) Il racconto del sesso come trascendenza e affrancamento dalla solitudine e separazione dei nostri «io»; il recupero di antichi miti e la ricerca di miti nuovi, nella convinzione che l’umanità conosca e rifletta sul mondo anche attraverso il sogno e la narrazione e che soltanto quando l’esperienza è divenuta mito possa parlare al nostro profondo.

    Questo, per me, è Delany. È molto, molto più di quanto credessi. Che importa se chiudendo Una favolosa tenebra informe mi sono chiesta: «ma, alla fine, che cosa mai avrà voluto dirmi?» Mi (vi) auguro che qualcuno ristampi presto La ballata di Beta 2 e i racconti di Driftglass (ed. or. 1971; ed. ital. Al servizio di uno strano potere, «Robot», vecchia serie, 35, febbraio 1979).

    La narrativa di Delany tradotta in Italia:
     I gioielli di Aptor (The Jewel of Aptor, 1962), Nord «Fantacollana», 1977 e «I grandi della fantascienza» 8, Il picchio, 1979
    La ballata di Beta-2 (The Ballad of Beta-2, 1965), «Galassia» 122, «Bigalassia» 28, La tribuna, 1970, 1974
    Babel 17 (Babel-17, 1966), «Galassia» 143, «Bigalassia» 28, La tribuna, 1971, 1974, «Classici Urania» 130, Mondadori, 1988
    Stella imperiale(Empire Star, 1966),), «Robot» 13, Armenia, 1977
    Una favolosa tenebra informe (The Einstein Intersection, 1967) Fanucci 2004; come Einstein perduto, «Galassia» 147, «Bigalassia» 43, La tribuna, 1971, 1975
    Nova (Nova, 1968), Nord «Cosmo argento» 22, 1978
    Al servizio di uno strano potere (Driftglass, 1971), «Robot» 35, Armenia, 1979
    Dhalgren (Dhalgren, 1975), Libra «Slan» 69, 1982, Fanucci 2005
    Triton (Triton, 1976), Nord «I libri di Robot» 8, 1978, Nord «Cosmo oro» 149, 1995 Storie di Nevèrïon (Tales of Nevèrïon, 1979), «Fantascienza» 7, Armenia, 1980
    Stelle lontane (Distant Stars, 1981), Interno Giallo «Visual publications», 1992

    Altre informazioni in:

    <http://www.pcc.com/~jay/delany/>

    <http://www.intercom.publinet.it/delany.htm>

    <http://www.cut-up.net/cms/index.php?option=com_content&task=view&id=37&Itemid=27>

    Samuel R. Delan, Una favolosa tenebra informe
    Fanucci 2004, ed. or. 1967, pp. 182, € 13,00,  Trad. Paolo Prezzavento

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