Il tema del sepolto vivo è stato visitato da scrittori illustri come Poe o Kafka, ma anche da autori popolari come Tiziano Sclavi che hanno creato figure letterarie polivalenti come vampiri, zombies e altri morti viventi. Ezio Badellino, curatore di Sepolto Vivo, quindici racconti dalle tenebre (Einaudi, con introduzione di Malcolm Skey), ha quindi potuto attingere a un ampio materiale di prima qualità.
L’antologia offre racconti classici e “moderni” per un periodo che va dal 1832 al 1966 e per un totale di pagine 270, più buone schede biografiche dei singoli autori. Sembrerebbe un vero affare, invece i racconti – almeno quelli che vale la pena di leggere – sono stati già tutti pubblicati in altre antologie negli ultimi vent’anni, con la notevole eccezione del racconto di Belen (Nelly Kaplan), Le coordinate dell’amore, non inedito ma praticamente introvabile. Per di più, molti dei racconti migliori rientrano a fatica nella tipologia che il lettore si attende, mentre il risveglio nella bara è garantito spesso da testi ripetitivi o marginali. Ma andiamo con ordine.
Tra i racconti gotici da manuale, includerei: Onuphrius… di T. Gautier, degno di Hoffmann cui dichiaratamente si ispira, che ci guida passo passo fra gli incubi e le percezioni distorte del protagonista (ma il tema della sepoltura è solo marginale), il classico La sepoltura prematura di E.A. Poe, forse il capostipite del genere, e La seconda sepoltura di C.A. Smith, molto inferiore agli altri due.
I racconti più belli, quelli che vi accompagneranno a lungo, hanno a che fare solo marginalmente col tema del sepolto vivo: Uno dei dispersi di Ambrose Bierce, un piccolo episodio della guerra di secessione, come molti altri dell’autore, in bilico fra crudo realismo e il flusso di pensieri che precede l’estrema e consapevole avventura della morte; ugualmente bello è La strana cavalcata di Morrowbie Jukes. di R. Kipling,: che getta il protagonista – prosaico rappresentante del colonialismo britannico – nell’inferno troppo reale di chi «muore in casa ma non è morto quando arriva al ghat per esservi cremato», un villaggio di paria fra i paria, vivi ma morti a tutti gli effetti sociali; delicati e umanissimi I cinque sensi di Edith Nesbit e La morte di Olivier Bécaille di E. Zola, con due protagonisti incapaci di comprendere gli altri, al quale l’esperienza della morte insegna davvero a vivere; La signorina Mary Pask di Edith Wharton è un racconto rarefatto, dove l’atmosfera fantastica e il timore si sciolgono nell’umorismo e nella quotidianità.
Flaubert e Maupassant fanno una breve comparsa rispettivamente con Rabbia impotente e con Il Tic, due racconti discreti ma non memorabili. Dimenticherò L’urna di S. Gandolph di G. Meyrink per devozione verso l’autore de Il Golem, ma di Cesare Donati, autore di Fior di giacinto, una polpettina che mi ha ricordato Il bacio di una morta, non voglio leggere altro.
Non perdetevi Notte d’incubo di Cornell Woolrich, autore di noir e degno predecessore dell’apprezzatissimo Ellroy, che qui imbastisce una vicenda a suo modo spassosa, per niente terrorizzante ma ugualmente terribile, una vera perla dello humour nero.
La maledizione degli immorti ricada infine sull’immancabile racconto di R. Bloch (il papà letterario di Psycho), Una questione di identità, nel quale il solito risveglio nella bara termina con la goffa agnizione del redivivo smemorato: «seppi chi ero e cosa ero […] Io ero un Vampiro» e «i miei denti si chiusero sul suo collo».
Altro che sensualità del vampiro! Mi piacerebbe fargli causa, a Mr Bloch.
L’introduzione di Malcolm Skey, purtroppo, non aggiunge nulla a quanto ha fatto per noi lettori; non mancate invece di sfogliare (chiedervi di leggerla sarebbe pretendere troppo) la presentazione gravida di paroloni di Badellino, che richiama dal paradiso (o dall’inferno) praticamente tutti gli autori che vi vengono in mente e numerosi altri, compresi Freud, il neurologo tedesco Westphal, Pascal, De Sade, Valery, Melville, Borges e Stanley Kubrick, e cita tutti i topoi (dice lui, non io) del caso, da Minosse e Dedalo, ad Achille e la Tartaruga.
Chissà perché ha tralasciato Carolina Invernizio e Braccio di Ferro.
Già che ho tirato in ballo Kipling, vi segnalo (raccomandandovelo caldamente) l’uscita de Il risciò fantasma e altri racconti dell’arcano, ritradotto dall’originale per Adelphi, a cura di Ottavio Fatica. La raccolta, pubblicata nel 1888, fu uno dei volumetti “indiani” che rese celebre Rudyard Kipling anche in patria e contiene Il risciò fantasma, La strana cavalcata…. e L’uomo che volle diventare re, tre dei più bei racconti dell’arcano di Kipling (ma ve ne sono di meno belli?) e un delizioso gioco sul tema del fantasma. De La strana cavalcata… ho già detto, e non so cosa potrei aggiungere su L’uomo che volle diventare re, da cui è stato anche tratto un bel film con Sean Connery, se non che è uno dei migliori racconti sull’amicizia virile che abbia letto. Il Risciò fantasma è un vero racconto del mistero, e suggerisce al lettore come, dopo aver sbagliato, comportandosi ignobilmente, sia possibile accettare la propria condanna non (o almeno non soltanto) come una punizione meritata, ma quasi come una seconda occasione per riparare un torto e imparare ad amare chi prima ispirava solo fastidio e insofferenza. Infine, La mia storia di fantasmi è il gioco di un autore consumato, così abile – ma anche così innamorato dell’arcano – da permettersi di scherzare con mano lieve sull’incomprensibile.
AaVv, Sepolto vivo!, Quindici racconti dalle tenebre, Einaudi tascabili 1999, pp. 268, a cura di Ezio Badellino e Malcom Skey.
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