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    Disapprovazioni · TerraNova

    S. Delany – Dhalgren

    • di Davide Mana
    • Maggio 4, 2005 a 10:50 pm

    dhalgren
    Il 1974 è un frammento perduto al di là del grande spartiacque del tempo, e appartiene a un’epoca in cui l’editoria era il motore principale della fantascienza.
    In capo a un paio d’anni, Star Wars e l’avvento del merchandise avrebbero spostato per sempre l’equilibrio a favore di altri media, altre esperienze, ma nel 1974 si poteva ancora essere coraggiosi, e sperimentatori, sulla carta stampata.
    La Bantham, che non riusciva ad accaparrarsi una posizione di punta in un mercato dominato dalla DAW di Donald Wollheim e dalla Ballantine/DelRey di Lester Del Rey, fece una scelta coraggiosa, e sperimentale.
    Affidò la cura della propria ammiraglia fantascientifica a Frederik Pohl, maestro indiscusso della fantascienza sociologica. I volumi sarebbero usciti con una veste editoriale uniforme (copertina bianca e illustrazione di alta qualità) e con la dicituta «A Frederik Pohl Book».
    Perché li aveva selezionati uno per uno.
    Il primo fu la ristampa di Nova, di Samuel R. Delany, ed ebbe un notevole successo.
    La collana non andò mai oltre il terzo volume.
    Il terzo volume fu Dhalgren, ancora di Delany.
    L’ho odiato
    (Harlan Ellison, 1974)

    Chi o che cosa è Dhalgren?
    Nominalmente si tratta di un romanzo.
    Un colossale volume di un migliaio di pagine, nel quale…
    No, così non va.
    Ha ragione William Gibson – Dhalgren [scriviamolo in tondo] è una mappa, un’area geografica, come il Gormenghast di Mervyn Peake.
    C’è una città chiamata Bellona, al centro di quest’area.
    La città è circondata da boschi ed è l’epicentro di un non meglio identificato fenomeno che ha in qualche modo alterato la realtà. Strani fenomeni compaiono nel cielo, strani artefatti sono disponibili alla popolazione. È probabile (ma non accettate la mia parola a riguardo) che il tempo sia circolare in Dhalgren, e a Bellona.
    La città è in preda alla massima deregulation, dominata da gang giovanili, attraversata da personaggi tanto eccentrici quanto pericolosi.
    Il protagonista (?) non ricorda il proprio nome. Ha ventisette anni ma ne dimostra sedici, per cui lo chiamano Kid (o Kidd) – il ragazzo.
    Vaga per la città. Stringe rapporti diversi con diversi abitanti del labirinto urbano.
    Ha un diario che non ricorda se sia il suo o meno, se sia opera di finzione o fedele descrizione di eventi già accaduti, o premonizione. Prende appunti. Scrive poesie. Diventa un eroe popolare.
    L’azione si sgrana e si fa progressivamente sempre più oscura, più dubbia.
    Frattanto il linguaggio, di più, la composizione stessa del testo sulla pagina diventa progressivamente più complessa, frammentaria, difficile da seguire.
    Il lettore si trova a gestire un potere che normalmente non gli viene concesso: il protagonista scrive parte del proprio diario a margine del misterioso testo precedente? L’autore ci propone il testo originale e il nuovo testo a margine, due brani strappati dal loro contesto e affiancati per caso. Sta a noi decidere che cosa leggere, e perché.
    Un ritaglio di giornale con un appunto? Eccolo, con articoli smozzicati e annotazioni di traverso.
    Forse è tutta l’allucinazione di una banda di psicotici sfuggiti da un ospedale psichiatrico durante un incendio.

    Dhalgren non è un romanzo.
    È un paesaggio da esplorare.
    Se è vero che esistono romanzi, libri che si possono solo o amare o odiare, Dhalgren va oltre – lo si può solo odiare, ma si continua a leggerlo, trascinati dall’impressione che sotto alla violenza, alla pedofilia, alla celebrazione dell’eccesso, ci sia qualcosa che vale la pena cercare di raggiungere.
    Da qualche parte, in mezzo a queste mille pagine, c’è la disgregazione della società tradizionale. C’è un maturo discorso su che cosa significhi l’atto creativo, accompagnato da una meditazione sul vero significato di «realtà». C’è, ne sono assolutamente sicuro.
    Solo non so dirvi dove sia – come gran parte degli abitanti di Bellona non ha una fissa dimora.
    La ricerca, che probabilmente è ciò che tiene in movimento così tanti dei personaggi di Dhalgren, è ciò che obbliga il lettore a leggere, a onorare il proprio 50 per cento del contratto creativo con l’autore (perché nulla di ciò che è scritto esiste se non è letto).

    Curiose le ristampe nazionali.
    Frase frequente su queste pagine, quasi un tormentone.
    Eppure pensate.
    Dhalgren uscì a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, per i tipi della defunta Libra, tradotto (se i miei informatori non mentono) da Ugo Malaguti1.
    Pochi lo lessero.
    Tutti lo odiarono.
    Aveva un senso.
    Ora, Fanucci lo ristampa nella sua collana di lusso (quasi venti euro per circa novecento pagine). Sarà perché la Vintage, casa editrice quanto mai intellettuale, ha, due anni or sono, ristampato l’edizione originale? O si tratta della grande spartizione dei cataloghi defunti – titoli un tempo appartenuti a Libra o Nord, ora equamente divisi fra la sopravvissuta (ma a quale prezzo?) Fanucci e la sempre più monotona Mondadori?
    Poco importa.
    In questi trent’anni, non c’è stata solo la rivoluzione del merchandising a cambiare il rapporto degli appassionati di fantascienza con il loro genere di elezione.
    La violenza urbana incontrollata è diventata faccenda di tutti i giorni sui giornali.
    Il sesso (atletico, frequentissimo, contronatura, di gruppo e in tutte le altre permutazioni offerte dal volume) come attività ricreativa disponibile a tutti è stato per sempre cancellato da tre semplici lettere – HIV.
    L’epica dello stupro come scoperta di sé che costituisce uno dei percorsi narrativi del romanzo è stata eutanasiata per sempre da pochi intensi anni di pulizia etnica nei Balcani.
    Quanto al fatto che esista una porzione dell’America dissociata dalla realtà e ripiegata su se stessa nel tempo…
    Ma li leggete i giornali?

    Dhalgren è invecchiato male.
    I suoi «valori alternativi» sono in bancarotta morale – non basta rappresentare donne violente o minoranze etniche dominanti per meritarsi la patacca di progressisti.
    Non più.
    Non in questo secolo.
    Non mentre il pianeta va all’inferno in un secchio, e noi con lui.
    Vittima eccellente di questo declino gerontologico di Dhalgren è il tema dell’anarchia come stato di natura, della deresponsabilizzazione come liberazione e compimento dell’individuo.
    Attraente, come idea, e forse adatta a un’epoca infinitamente più ingenua della nostra.
    Il cinismo che accompagna chiunque legga carta stampata o fogli elettronici nel XXI secolo è impervio a simili proposte da asilo infantile – un mondo selvaggio con due lune in cielo in cui tutti sono liberi e combattono e scopano come e dove e quando gli pare?
    Nei tuoi sogni, ragazzo.

    A differenza delle storie metatemporali su Jerry Cornelius scritte da Michael Moorcock, con le quali condivide linguaggio e talune posizioni, Dhalgren è cristallizzato nel tempo; Samuel Delany, allora un giovane leone della fantascienza, oggi un anziano accademico con un gran barbone grigio, sostiene di aver lavorato a Dhalgren dal 1968 al 1973. Il romanzo non riesce a sfuggire al campo di attrazione di quel lustro fatale – e in questo riesce a essere una testimonianza eccellente della coda sporca e violenta, allucinata ma non più psichedelica, ribelle ma non più innovativa, dei «meravigliosi anni Sessanta».
    In Gormenghast – altro romanzo/esperienza e luogo da esplorare – Mervyn Peake riesce a creare un assoluto perché scava alla ricerca delle radici dei valori. In Dhalgren Delany si perde all’inseguimento di fatue alternative.
    Dhalgren abbraccia con troppo entusiasmo una serie di idee e pratiche che, nel lontano, nebuloso 1974, potevano sembrare sul punto di investire il mondo, e cambiarlo per sempre.
    Quando il cambiamento sopravvenne, ci spinse invece in una direzione radicalmente diversa.
    Dhalgren rimase indietro.

    Eppure rimane un libro da leggere, e da odiare.
    Perché Dhalgren lo si odia, ma si continua a laggerlo.
    E quando alla fine lo si è letto?
    Nel mio caso, si continua a odiarlo.
    Dopo Dhalgren, che per ciò che mi concerne infestò l’autunno del mio 1985 come un brutto mal di testa, rifiutai di leggere qualsiasi altra cosa scritta da Samuel Delany.
    Finora non ho mai contravvenuto a quella regola.
    Samuel Delany
    Dhalgren
    Fanucci
    € 19,00
    Maurizio Nati

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