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    Magazzino

    Un giocatore, un diavolo zarista e una bambina silenziosa

    • di Silvia Treves
    • Dicembre 20, 2013 a 4:40 pm

    rubasov

    Sono cresciuto con la falsa idea che il XX fosse il secolo più moderno, illuminato e progressista, e questo è semplicemente inesatto: è stato il secolo più orribile nella storia dell’umanità. Morte, guerra, pulizia etnica: è detto tutto, con queste poche parole (Carl-Johan Vallgren[1])

    .
    Le prime madri del deserto dicevano che Dio è privo di forma, colore o contenuto. Forse la preghiera non è rivolgersi a qualcuno. Forse è un modo attivo di arrendersi. Forse avrai bisogno proprio di questo: di arrenderti senza affondare (Peter Høeg)

    Bene e Male, angeli e demoni, santi e dannati. L’incontro con il Trascendente, – la Divinità, secondo alcuni, la componente mistica del nostro Io per altri – è un’esperienza ineffabile ma indissolubilmente legata all’umanità che ci accomuna, un salto di livello che una convinta laicità non ci preclude, e che può cambiare la nostra vita o conferirle un diverso e più alto significato. La letteratura migliore prova da sempre a esplorarne i contorni, a trasmetterne il senso a chi ancora non l’ha provato, a rievocarlo per chi ne è già stato segnato. Trovare le parole per raccontare quell’incontro e ciò che ne consegue è un cimento che ha bruciato non pochi autori, soprattutto in questi anni, votati alle «piccole» e contingenti divinità del denaro e della visibilità mediatica, segnati da violenze e intolleranze di ogni genere. Che due autori del Nord, quasi coetanei, scrivano corposi romanzi percorsi da un diverso misticismo e che entrambi i romanzi finiscano sulla mia scrivania nel medesimo periodo è una coincidenza che non posso certo lasciarmi sfuggire.

    vallgrenNotizie sul giocatore Rubašov del musicista e scrittore svedese Carl-Johan Vallgren e La bambina silenziosa del danese Peter Høeg sono lunghi e impervi, ambiziosi e non sempre limpidi nell’intreccio, in una parola «faticosi». Il primo è senz’altro più riuscito e suggestivo, il secondo è un concentrato dei pregi e dei difetti tipici di Høeg, entrambi sono meritevoli di attenzione perché esplorano passioni e angosce terribilmente umane, sollevano domande senza risposta invitandoci a perseverare, a non ignorarle, perché convivere col dubbio è semplicemente la nostra natura più profonda, o se preferite, il nostro «destino». Notizie sul giocatore Rubašov è davvero uno strano romanzo, che rivisita in chiave moderna il mito faustiano e temi cari a Bulgakov e a Dostoevskij. La notte del 31 dicembre 1899, il trentenne Rubašov attende la mezzanotte solo nella sua camera in affitto. Un tempo benestante e ora rovinato e carico di debiti, Rubašov ha sperperato a tutti i tavoli da gioco di San Pietroburgo i beni di famiglia e persino la piccola rendita materna; l’amante lo ha piantato, il fratello e la cognata lo detestano, la padrona di casa rifiuta di accordargli l’ennesimo rinvio di pagamento. Ma la mente di Rubašov è completamente assorbita da un’ultima grandiosa prospettiva che, se si avverasse, sarebbe contemporaneamente l’estasi del giocatore e la sua dannazione: una partita a carte con il Diavolo. Se Dio si dimora nelle piccole cose, non è strano che il suo Antagonista abiti la sfera dell’improbabile. devil-goatUn Satana sorprendente e inatteso, che ha l’aspetto di un piccolo burocrate zarista e il piglio indaffarato dell’uomo d’affari, si presenta alla porta di Rubašov, meticoloso e formale, deciso a sbrigare velocemente quell’impegno e di continuare il suo giro di appuntamenti: La Inferno S.p.A. non chiude mai, nemmeno a Capodanno… La posta della partita è ovviamente l’anima di Rubašov, che però non vuole nulla in cambio, ormai non sa desiderare altro che ciò che i due faranno di lì a un momento: giocare. Così, mentre fuori la gente si tuffa nella piccola trascendenza del divertimento e dell’euforia, si compie il destino di Rubašov, condannato dall’esito del gioco all’immortalità. La nuova esistenza dell’ex giocatore comincia abbastanza felicemente ma volge ben presto in tragedia; persi tutti i legami famigliari, Rubašov vaga per un’Europa che trapassa nel nuovo secolo, scivolando dalla Rivoluzione russa alla Grande guerra, a un dopoguerra doloroso che prelude al nazismo e a tutti gli orrori del Secolo breve. Puntuale a tutti i peggiori appuntamenti della storia, il diavolo entra e esce dalla vita di Rubašov, demone personale del giocatore e insieme testimone stupito di un’umanità capace di crearsi inferni ben peggiori di quello dantesco. L’immortalità è una maledizione che consuma Rubašov e i suoi rari compagni di sventura, pazzi che come lui hanno accettato scommesso con Satana. Bene e Male sono forze insidiose e ambigue, il cielo è lontano, e quando si avvicina, i suoi angeli si rivelano giganti biondi, fanatici e fanaticamente nel giusto. Non sempre compiuto dal punto di vista narrativo (la cavalcata attraverso il Novecento è una prova da far tremare i polsi) il romanzo tocca momenti di grande intensità drammatica e regala pagine di grande suggestione, come quelle dedicate a un Rubašov ormai muto e lontano da tutto ciò che è carne e vita, autoesiliato nella terra di nessuno che circonda il muro di Berlino. Tra tutti i personaggi il più riuscito è forse Lucifero, entità plurale predestinata ad assistere alle sofferenze autoinflitte di un’umanità ottusa, alle quali, nonostante tutto non riesce a rimanere neutrale. Il finale, nella scommessa arrischiata e tutto sommato vinta dall’autore, giunge a portare un nuovo equilibrio e, a questo Rubašov così umano, una pace che il lettore (io, almeno) accoglie con pacata soddisfazione.

    bambina silenziosa

    Kaspar Krone, figlio di una grande artista circense, possiede numerosi talenti è un dono. I talenti ne fanno un clown geniale, il dono lo rende unico, più vicino al cuore del mondo, forse più vicino a Dio.KlaraMaria, la bambina silenziosa, scivola nella sua vita con l’egocentrismo di un bimbo e una determinazione senza età: come lui è in grado di percepire il silenzio nel centro del caos, la musica che muove il Tutto. Ma KlaraMaria e altri rarissimi bambini come lei sanno fare di più; evocano la forza del ciclone e l’immobilità che vibra nel suo occhio. Quei bambini valgono una fortuna per chi sappia impiegarne le specialissime doti: KlaraMaria e altri due bambini spariscono, una viene trovata morta… Kaspar Krone è in grossi guai, ha una causa per frode fiscale con la giustizia spagnola e sta per essere espulso dalla Danimarca, la sua situazione sentimentale è disastrosa e tutte le donne che ha amato hanno preferito allontanarsi da lui, suo padre è malato terminale, la perdita della madre durante l’infanzia l’ha profondamente segnato. Le uniche cose che sa davvero fare – incantare il pubblico, i bambini specialmente, con la musica, l’arte di far ridere e la sensibilità – non possono regalargli la felicità, la quiete, il vero silenzio che gli è necessario per vivere, perché il suo «dono» è un udito finissimo, ultraumano, che gli consente persino di riconoscere ogni luogo a occhi chiusi, persino ascoltando attraverso il telefono. Eppure Kaspar Krone, invece di pensare ai casi suoi, di lasciare il paese come gli è stato ingiunto, si ferma a cercare KlaraMaria, deciso a trovarla a ogni costo. Il romanzo oscilla tra il passato di Kasper e un presente di una Copenaghen segnata da un recente terremoto di enorme intensità, che ha provocato devastazioni estremamente localizzate e, misteriosamente, nemmeno una vittima. I flashback si accumulano, tracciando il quadro di un uomo innamorato della musica sino all’ossessione, che definisce ogni sua relazione con il reale evocando brani classici, egocentrico per natura e non per scelta, capace di dimenticare se stesso e di immolarsi per una causa ma incapace di convivere in pace con se stesso e alla pari con una donna. Nonostante alcune pagine molto belle e una vena di misticismo «laico» che trovo particolarmente congeniale, il peter-hoeg-xlibro è deludente, mostra i limiti dell’ispirazione di Høeg, che non di rado piega alle proprie esigenze quelle narrative, fino a privare i personaggi di qualche grado di libertà elevandolo a simbolo della concezione del mondo dell’autore. La bambina silenziosa, poi, offre fin troppi personaggi e soprattutto tutti troppo carismatici: è carismatico Kasper, ovviamente, ma anche la bambina, lo sono Stine – la donna amata da Kasper e che ora lo rifiuta – e Sonia, un’altra sua ex, lo sono il padre di Kasper (per non parlare dell’indimenticabile madre) e la Suora azzurra, una badessa molto, molto particolare, e persino la guardia del corpo della badessa., una nera grande di corpo e di anima. Anche i personaggi minori sono carismatici: l’aiutante di Kasper, che è stato un ladro di genio, e il suo autista, un ex-stuntman che ha perso le gambe… Lo sono anche i cattivi – almeno alcuni. Ah, sì, sono carismatici anche i genitori di Stine, che compaiono per meno di due pagine ma lasciano il segno. In mezzo a tutto questo carisma dispensato a piene mani al lettore non resta che invocare un po’ di sana (anzi, insana) stupida bastardaggine, un pizzico di banale coglioneria. Il romanzo di Høeg che più somiglia alla Bambina silenziosa è probabilmente Il senso di Smilla per la neve (il mio preferito, però, è I quasi adatti…), segnato come questo da due figure parentali ingombranti e indimenticabili, che tutto travolgono, anche i i figli, nel vivere la loro inconciliabile passione. Entrambi i romanzi, poi, si rifanno alla letteratura di genere, proponendo la ricerca di uno o più colpevoli, ne Il senso di Smilla dell’uccisione di un bambino, qui del rapimento di tre; ma il crimine è soltanto la punta dell’iceberg, sotto c’è un gioco più grande, che coinvolge grandi capitali, società internazionali… e, nell’uno come nell’altro, la «soluzione» rivela una dimensione che va (o sembra andare) oltre l’umanità convenzionale. Ma se ne Il senso di Smilla Høeg è riuscito a conferire coesione e incisività a uno scioglimento per sua natura incompleto e insoddisfacente, nella Bambina silenziosa sembra «andare a farfalle», procedendo per accumulo e rilanci: un acme, un altro acme, una quasi chiusura, un pre scioglimento… un sottofinale… sfiancando il lettore e, temo, anche se stesso, tanto che quando il vero finale arriva, è un botto molto piccolo, che delude dopo tutto il putiferio precedente e, giocato sul filo del comico e del buonismo, non convince più nessuno.
    Vale la pena di leggerlo? Mah, onestamente forse no, a meno di non essere dei patiti di Høeg, come me, che pure ho maledetto più volte il momento in cui l’ho cominciato. Eppure, questo devo confessarlo, certe pagine, certe frasi, sono (per me) indimenticabili, mi hanno dato il brivido del riconoscimento, la sensazione non c’era modo migliore di quello di Høeg per raccontare quella particolare emozione, l’invidia inebriante di pensare: ma perché non sono mai riuscita a scrivere io questa frase? Per esempio questa, che Stine dice a proposito dell’intensità del capire:

    Quando accade, e accade di rado, si intuisce cosa ci costerebbe capire davvero. Un prezzo che nessun ricercatore può pagare, se vuole continuare a fare il suo lavoro. Ci costa la comprensione stessa. Non si può arrivare fino a qualcosa e allo stesso tempo volerla comprendere. Capisci cosa intendo?

    Io sì. Giuro. Per un attimo. Solo un attimo. Ma ho riconosciuto/compreso. Poi naturalmente ho perso la presa. Mica sono carismatica, io. Macché. Solo «normale», anche se di gusti un po’ strani: non solo mi è piaciuto il romanzo di Valgren e amo qualche libro di Høeg… di Høeg mi piace anche la faccia angolosa e tirata, da deportato. E questo, stando ai commenti di molta gente che conosco, ha veramente dell’incredibile.

     

    Carl-Johan Vallgren,  Notizie sul giocatore Rubašov

    Longanesi 2006, pp. 370, € 17,00, TEA 2008, pp. 368 € 8,60, trad. C. Giorgetti Cima

    Peter Høeg, La bambina silenziosa

    Arnoldo Mondadori Oscar bestseller 2008, pp. 406, € 10,00, trad. B. Berni

    1) www.infinite storie.it

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