Consolata Lanza
La lametta nel miele
Filema
€ 12,00
Sapiente miscela di quotidianità e fantastico, «cattiveria» stimolante, evocazione di lontananze favolose. Queste sono le peculiarità di Consolata Lanza che mi sono più congeniali. O almeno così credevo aprendo, con un po’ di diffidenza, La lametta nel miele. I tre racconti di questa nuova raccolta – già lo sapevo – sono di ispirazione «realistica», quindi niente atmosfere fantastiche che scivolano sornione tra una cena consumata in cucina e un giro al mercato sotto casa, niente Altrove fiabeschi che illuminano per contrasto la quotidianità. Mi attendevo poche sorprese, insomma, ma sbagliavo.
Già conoscevo Bona e il partigiano (ripubblicato dopo la prima edizione in D’amore e no – Tracce, 1996), ma l’ho riscoperto molto più sfaccettato di quanto ricordassi; ho letto gli altri due racconti d’un fiato, sospinta dalla forte risonanza fra i protagonisti che, al di là delle differenze di sesso e di età potrebbero essere la medesima persona fotografata in tre momenti della vita: Filippo, che nella maturità si ricorda ventenne alle prese con la prima storia d’amore adulta, la Bona quasi quarantenne che si è isolata dal mondo per non soffrire e la Giovanna ultracinquantenne che scopre di non aver mai vissuto.
Tre persone – o forse la stessa – costrette a guardare finalmente in faccia la loro incapacità di lasciarsi andare alla vita. Tre afasici emotivi, tre affetti da sordità empatica. Pur somigliandosi, i tre vivono tre storie differenti sullo sfondo della Storia: gli anni della guerra partigiana, il primo boom economico italiano negli anni Sessanta, con tutte le sue promesse di rapido cambiamento e un adesso che affonda le radici negli anni Settanta, gli anni di piombo. Affrontano quindi la scoperta della propria povertà emotiva ognuno a modo loro.
Bona reagisce con armi in un certo senso antiche, accettando con riluttanza la solidarietà della piccola comunità di anziani nella quale ha scelto di vivere e, forse, la possibilità di esplorare una fisicità troppo trascurata.
Filippo, il protagonista del racconto che dà il titolo alla raccolta è, forse, il personaggio più drammatico: insieme artefice e vittima della propria esistenza, avrebbe potuto, compiendo scelte soltanto lievemente differenti, trovarsi al posto dell’altro – il coetaneo che, restando, si guadagna la serenità che Filippo ha rifiutato.
Giovanna, la protagonista di Freja, è una grande scommessa letteraria.
Occhi opachi, Pelle opaca. Capelli opachi. Neanche l’ombra di un sorriso, fronte liscia e niente rughe d’espressione. Labbra quasi inesistenti. Una faccia senza storia, chiusa come una saracinesca. La faccia di una che aveva scelto di non vivere.
Dice, guardandosi allo specchio. Cauta, avara di sé, Giovanna non è simpatica ed è pericolosa: proprio come una formica spaventata ha imparato a vivere con poco, a fare a meno di quasi tutto, ma saprà difendere furiosamente le briciole offerte da Freja, la ragazza avventata che le è piombata fra capo e collo e che lei non sa, anzi non vuole, mandare via.
Donna difficile, quasi predestinata a scelte estreme, senza il tocco lieve dell’autrice Giovanna sarebbe stato un personaggio poco credibile. Invece Consolata Lanza è riuscita a far scivolare quel destino e quelle scelte in una vita qualsiasi, smorzata, ridotta al lumicino, rendendoli autentici, necessari, inevitabili.
La lametta nel miele rivela un altro tema forte della scrittura di Consolata Lanza, che esisteva fin dai tempi di Bona (e che emerge anche in La casa di vetro – «Fantasmi… 24 racconti per Fata Morgana 8», CS Libri, 2004) è giunto a piena maturazione: lo straniamento, la difficoltà di vivere, di mettersi in consonanza con il fluire del tempo, delle emozioni, di imparare a tollerare gli altri e i loro sentimenti, di accettarsi e sapersi perdonare.
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