L’ultimo testo di questo spazio è un pezzo di funambolica bravura firmato da Vladimir Sorokin, La coda, tradotto da Pietro A. Zveteremich1 edito da Guanda. Si tratta della ristampa di un romanzo già edito nel 1988 dallo stesso editore. L’edizione originale, infine, è del 1985, cioè prima della caduta del regime sovietico.
In un emporio di stato è arrivato un blocco un merci, «pezzi»: «E voi sapete quanti ne danno a testa? / Tre, dicono». Vadim, il primo interlocutore dell’ininterrotto dialogo a più voci che forma il romanzo, giunge a coda già formata: «Compagno, chi è l’ultimo qui?» è la prima battuta.
Questa coda comincia di giorno, continua di notte e per un’altra giornata fino a notte […] la coda c’è sempre, oggi in un rione, domani in un altro.
scrive il curatore. Fa parte della geografia sociale e urbana delle città sovietiche. È una luogo di interrelazione e di scambio, di polemica ma anche di solidarietà, ma soprattutto è un teatro dell’assurdo in veste dimessa e quotidiana. Una coda non è eterna ma può essere comunque indefinita, non misurabile. In coda può capitare di dimenticarsi il motivo per il quale ci si trova lì, l’attesa può diventare fine a se stessa e la propria posizione relativa un elemento fondamentale della propria dignità.
In coda si può litigare violentemente, rimpiangere i tempi di Stalin, «quando c’era più ordine e tutti sapevano stare al proprio posto», innamorarsi, ubriacarsi, stringere amicizie occasionali: divisi ma anche paradossalmente uniti dalla comune attesa.
Sorokin la racconta limitandosi apparentemente a riportare fedelmente le frasi pronunciate, le esclamazioni, le recriminazioni, gli alterchi, svolgendo la funzione di un registratore ambientale.
– E dove studiate?
– Al Tessile.
– Questa è una bellissima cosa. Ci farete dei bei vestiti.
– Che possiamo fare noi…
– Com’è che non credete nelle vostre forze?
– Che c’entrano le mie forze…
– Beh, fate male a dir così. Alla vostra età noi eravamo pronti a smuovere le montagne.
– E le avete smosse?
– Giovanotto! Oltre tutto non è con voi che sto parlando.
– Però io sì con voi.
In realtà non vi è nulla di casuale nell’attentissima architettura di Sorokin fatta per intero di dialoghi, senza nessun intervento o descrizione. Niente di naturale ma una regìa ossessiva. Le voci che si incrociano, che si rispondono, interloquiscono o intervengono proponendo, polemizzando, rampognando o esprimendo solidarietà il più delle volte non appartengono a personaggi ben definiti ma sono voci anonime, incontri di un momento.
Da notare come Sorokin faccia molto raramente uso di forme esageratamente colloquiali, gergali o di derivazione dialettale, a conferma che l’autore non cerca un impossibile (e superflua) mimesi e non intende schiacciare l’occhio al lettore ma unicamente fornire un’efficace rappresentazione letteraria di una situazione all’epoca comune, assurda anche quando appariva normale. Il finale, amaramente divertente, ha il doppio risultato di confermare la natura tutta letteraria del testo e fornire un efficace ritratto delle dinamiche della sopravvivenza quotidiana nella Russia Sovietica.
Romanzo vietato La coda circolò a lungo in forma di samizdat, prova assoluta della sua qualità, dal momento che, come ricorda Zveteremich nella postfazione, il suo semplice possesso poteva dare luogo all’arresto e al carcere, esattamente come nel caso di detenzione di droga.
Ultima nota sulla fascetta aggiunta al volume, che riporta una frase presa da «Panorama» dove Sorokin viene definito «Il Quentin Tarantino della letteratura postsovietica». Definizione talmente fuori luogo (Sorokin non è, come abbiamo visto, postsovietico e assomiglia a Tarantino quanto può assomigliargli Edoardo De Filippo) da suscitare il dubbio che il libro non sia stato neppure aperto dall’ignoto recensore.
Ma c’è ancora qualcuno che considera attendibile «Panorama»?
Vladimir Sorokin, La Coda
Guanda, 2001, pp.192, € 10,33
1 Zveteremich è in realtà riportato come curatore ed estensore della postfazione al testo. Ragionevolmente si suppone debba essere anche il traduttore, anche se Guanda non l’ha scritto da nessuna parte (N.d.R.).
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