Un’interlinea un po’ troppo generosa e ampi margini sono stati gli strumenti di lavoro editoriale necessari a trasformare il racconto lungo di Yamada Taichi in un romanzo di medie dimensioni. In più, ad aggravare il quadro, la consueta traduzione della traduzione con i conseguenti tre passaggi linguistici – dal giapponese all’inglese e da questo all’italiano. Insomma, quanto sarebbe sufficiente a considerare con sospetto, se non proprio con ostilità, il volume. E, almeno per questa volta, si tratterebbe di un errore. Una voce lontana è una storia di fantasmi. Un «sottogenere» letterario che qui in Italia sembra definitivamente tramontato, sopravvivendo malinconicamente sotto mentite spoglie saggistiche in qualche ebdomadario o guida alle case infestate, mentre in Giappone e in generale nell’Estremo Oriente vive una seconda giovinezza sia letteraria che cinematografica. Il lettore non dovrà attendersi, sia chiaro, una storia di fantasmi sul modello del gotico ottocentesco europeo. Niente anime inquiete – sia pure con occhi a mandorla – che vagano per i castelli dell’interminabile medioevo nipponico. Una storia del tutto contemporanea, viceversa, con protagonista un giovane ufficiale del servizio di sorveglianza contro l’immigrazione illegale. Questi, ex-immigrato clandestino negli Stati Uniti, vive con qualche malessere il suo attuale lavoro, pur sforzandosi di compierlo con serietà e un briciolo di umanità. Cercare e arrestare immigrati clandestini non è un lavoro di tutto riposo e Tsuneo, questo il suo nome, non ha di fatto orari precisi né – e a questa comunque non tiene affatto – una vita privata degna di questo nome. Ormai avviato vero un’età matura che prevede grigia e insignificante medita di costruirsi una famiglia attraverso lo strumento tradizionale del matrimonio combinato. La sua futura sposa è una giovane dipendente di banca pragmaticamente decisa a sposarsi prima di avere oltrepassato l’età utile. Si conoscono soltanto nei giorni che precedono il matrimonio e Tsuneo non riesce a provare per lei che una debole simpatia. Ma non se ne stupisce. Il matrimonio è un contratto e le uniche prerogative richieste sono un buon carattere, nessuna stravaganza e un lavoro dignitoso. Ma Tsuneo nasconde alla sua futura sposa – e anche ai colleghi, i suoi unici conoscenti – una parte dolorosamente significativa della sua vita. Una relazione nata e drammaticamente terminata quando viveva in California, immigrato clandestino. A risvegliare quei ricordi e un senso di colpa mai cancellato l’improvviso materializzarsi di una voce. Una voce di donna che lo chiama, lo cerca, dialoga con lui senza mai farsi presenza materiale. La voce finirà presto per diventare il centro di gravità della vita di Tsuneo, la sua ossessione e, insieme, il suo unico riferimento emotivo e sentimentale. La voce lo spingerà a comportamenti gravemente indecorosi, tanto da suscitare nella fidanzata, nei colleghi e nei superiori il dubbio che egli sia vittima di una malattia mentale. Lo stesso Tsuneo ha qualche dubbio in proposito, ma si convince presto che la voce appartiene a qualcuno e non è una semplice proiezione schizoide di una parte della sua personalità. Ormai completamente posseduto dal dialogo con la voce finisce per raccontare proprio a lei le circostanze inconfessabili del suo peccato, ottenendone in cambio la promessa di un incontro.
Sono in realtà molti i fantasmi narrati da Yamada. Ricordi che non lasciano pace, fantasmi nati dal desiderio, ma anche esseri umani in carne e ossa obbligati a trasformarsi in esseri immateriali per sfuggire alla polizia giapponese e, simmetricamente, poliziotti costretti a vivere esistenze lunari e notturne pur di mettere le mani su poveri disgraziati che hanno il solo torto di venire a cercare lavoro nella Terra del Sol Levante. L’abilità dell’autore sta proprio nella capacità di unire i temi tipici del fantastico con il racconto puntuale della realtà, rimanendo abilmente sul confine tra naturale e soprannaturale e rendendo con consumata bravura l’ambiguità nascosta nelle pieghe della vita quotidiana. Il risultato, curiosamente, è quello di regalare al lettore non soltanto qualche brivido, sia pure venato di malinconia, ma anche una maggiore consapevolezza di alcuni dei problemi più attuali del nostro mondo. Il senso di alienazione e solitudine che caratterizza le vite di noi abitanti del «primo mondo» e, insieme, la rabbia, la paura e la disperazione di chi si presenta alla nostra porta per chiedere la dignità di un lavoro e di un futuro. Certo non poco per un racconto lungo, persino passato attraverso il setaccio di una doppia traduzione.
Yamada Taichi, Una voce lontana
Nord ed. 2007, pp. 190, € 13,00, trad. (dall’edizione inglese) di E. Cervini
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