Yrsa Sigurdardóttir fa l’ingegnere civile a tempo pieno; ha iniziato a a scrivere di sera, spinta dall’irritazione per la sciatteria dei libri letti dal figlio piccolo. La sua serie di storie comiche per bambini ha avuto fin troppo successo, imprigionandola nel ruolo faticoso dell’autore «divertente». Per prendersi una pausa ha cominciato a scrivere crime story. Il risultato sono thriller contaminati, che descrivono situazioni ingarbugliate e misteriose senza rinunciare né all’umorismo né alla quotidianità. La miscela è piaciuta, tanto che Sigurdardóttir è ora uno dei due soli autori islandesi tradotti in inglese (l’altro è Arnaldur Indridason).
Due vicende complesse che, fin dalle prime pagine, evocano atmosfere gotiche e profonde radici nel passato, viaggiano parallele confluendo nel finale. Entrambe hanno come sottofondo la crisi economica, che ha colpito anche anche l’Islanda, cambiando in peggio la vita della gente; entrambe si avvitano attorno alla sorte infausta di un bambino e sono vissute da adulti scontenti, incapaci di perdonarsi gli sbagli compiuti in passato e delusi da esistenze che non hanno mantenuto le promesse iniziali. Entrambe sono ambientate nell’estremo lembo nord occidentale dell’Islanda, a poche decine di chilometri di distanza, ma in luoghi molto diversi. Il narratore le segue in maniera defilata, adottando quasi sempre lo sguardo di Freyr nella moderna Isafjorður e quello di Katrín a Hesteyri, un borgo antico e affacciato sul mare, abbandonato d’inverno e nella bella stagione popolato da pochi residenti che tornano alle loro case spartane e da un pugno di turisti.
Katrín sbarca a Hesteyri con il marito Garðar e con l’amica Líf, recentissima vedova; i tre si illudono di riuscire a ristrutturare da soli una grande casa acquistata a un prezzo fin troppo conveniente per farne una pensione turistica. privi di esperienza, si si sfiancano senza costrutto, sfogando sui compagni l’insofferenza e la crescente preoccupazione per il freddo, la solitudine e la strana sensazione di non essere completamente soli. Voci, scricchiolii, tracce inspiegabili di presenze, visioni rapide e colte con la coda dell’occhio, piccoli avvenimenti che potrebbero essere spiegabili in maniera razionale, eppure…
Freyr, invece, ha alle spalle la scomparsa mai spiegata del figlio undicenne, un tormento che lo ha spinto a lasciare città e lavoro per stabilirsi a Isafjorður dove svolge lavori di consulenza psichiatrica per la polizia locale. Il caso a cui sta lavorando, un atto di vandalismo in un asilo, lo indurrà finalmente a ristabilire i contatti con il proprio passato, affrontando la perdita e i sensi di colpa.
Le due storie sono sufficientemente dense per costituire, da sole, la buona ossatura di un romanzo. I due protagonisti, ben scelti, e i personaggi di contorno, più o meno coinvolti in vicende lontane nel tempo ma mai completamente «passate», sono accattivanti; Sigurdardóttir è abile nel suscitare quel tipo di inquietudine legata a piccole slabbrature del quotidiano che costringe a continuare la lettura. L’unico difetto del romanzo è l’eccesso. Non quello più ovvio ed effettistico, tipico di molti film, di versare a piene mani apparizioni e sparizioni, che fanno sobbalzare senza mai veramente sorprendere. Piuttosto quello – generoso e più difficile da incontrare – di offrire «di più» al lettore: maggiore pathos, ulteriore tristezza, un intreccio più complesso, un quadro di riferimento dove tutto, ma proprio tutto, venga legato e concluso. Personalmente sono convinta che l’inquietudine si regga soprattutto sull’assenza e sulla impossibilità di spiegare. Sigurdardóttir no, evidentemente, e costruisce un finale che mette a dura prova la sospensione di giudizio che ogni buon lettore di fantastico è pronto a concedere. A suo merito vanno molti dettagli, piccoli capolavori del genere (non ve li svelo perché meritano di essere gustati in solitudine) e una generosità encomiabile. Autori più interessati alla vendibilità ne avrebbero scritti due, di romanzi, separando le vicende e addobbandole di particolari ben più (e inutilmente) raccapriccianti.
Un grazie all’autrice per avermi regalato Hesteyri: un posto incantevole e una casa che, sarei pronta a contendere a qualunque fantasma (ma potremmo metterci d’accordo, no?). Partendo da Isafjorður non è troppo difficile da raggiungere: il viaggio in traghetto è poco costoso e il battello parte più volte la settimana…
Yrsa Sigurdardóttir
Mi ricordo di te
Il Saggiatore Narrativa, 2013, pp. 348, € 16,00
Trad. Silvia Cosimini
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.