Pubblicato nel 1967, La bottega dei giocattoli è un romanzo selvatico e impudente, sottilmente crudele, violento, sregolato e perfido come certe vecchie fiabe. Sessualmente insano e deliziosamente perverso – la perversità del tipo «peggiore», quella che non si perde nella malinconica ginnastica delle penetrazioni o nella stanca geometria delle porzioni di pelle scoperta – è un testo intensamente onirico, che risveglia nel lettore infiniti echi e ricordi semidimenticati. Ma è anche una fiaba nera dai risvolti grotteschi, l’avventura di un’Alice pubescente in un mondo condannato all’eterna ripetizione.
Protagonista l’adolescente Melanie che, con i fratelli ancora bambini, viene accolta nella famiglia dello zio Philip, mastro giocattolaio geniale e inquietante. Abituata all’ipocrita rispettabilità della sua famiglia, nella casa-bottega dello zio Philip Melanie dovrà ricostruire se stessa e sforzarsi di comprendere il mondo che la circonda, un curioso e inquietante universo gotico dove emozioni e passioni si manifestano in tutta la loro violenta immediatezza.
La bottega dei giocattoli vive dell’attesa di una fatale esplosione di violenza, ma la magia del romanzo sta proprio nell’avvolgersi della vicenda in cerchi successivi, nella lenta «corsa della vite» verso l’esito inevitabile. Nel respiro teso della trama trova posto il crescere di Melanie – il crescere del corpo accanto al maturare delle emozioni – mentre il mondo dei giocattoli trascolora gradualmente in inferno inatteso.
Angela Carter
La bottega dei giocattoli
Fanucci, 2002, 2003 (ed. or. 1967), pp. 219, € 12,90
trad. Maria Baiocchi
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