ALESSANDRO DAL LAGO, EMILIO QUADRELLI
La città e le ombre
(FELTRINELLI 2003, pp. 402, € 20)
I crimini commessi nell'epoca in cui viviamo contribuiscono a definirci e, in fondo, a dannarci. David Peace
Da vari anni ormai la letteratura utilizza il romanzo di genere poliziesco, nelle sue diverse sfumature dal noir al thriller, come uno strumento ideale per raccontare la realtà: confrontarsi con la vita e la morte, con inganni e menzogne permette agli autori di disegnare, tra luci e ombre, i contorni di un mondo che assume, anche sulla pagina scritta, una consistenza reale proprio perché generato da un delitto, o più semplicemente da un mistero, che domanda una spiegazione. L’enorme massa di informazioni a cui abbiamo quotidianamente accesso produce un inquietante senso di incomprensione, aumentano le incognite: più luci, più ombre. In questa direzione si muove un particolare genere letterario, il crime novel, che pone al centro del racconto il mondo criminale e tenta di condurre il lettore davanti a una spiegazione che proviene dal confronto con la parte meno visibile della società, una spiegazione mai conciliante, lontana da qualsivoglia lieto fine e sempre carica di idee feconde, pronte a generarne altre: una forza eversiva se vista all’interno di una società nutrita di stereotipi di consumo, dove anche la contestazione ha i suoi marchi e il suo logo. Con il crime novel lo scrittore può raggiungere un duplice risultato: da un lato la creazione di un mondo popolato da personaggi e gesti estremi che alimenta l’azione del romanzo, dall’altro l’immersione nella realtà di ogni giorno descritta per spostamento, grazie alla continuità tra crimine e vita ordinaria, tra ciò che è in ombra e ciò che appare. Esempi classici sono Ellroy (American Tabloid e Sei pezzi da mille) o in Italia De Cataldo con il suo Romanzo criminale.
La città e le ombre di Dal Lago e Quadrelli può rappresentare il corrispettivo saggistico del crime novel. Con oltre quattrocento interviste, gli autori hanno ricostruito la storia del mondo criminale a Genova, con un’attenzione particolare ai mutamenti avvenuti negli ultimi anni, ottenendo così una fotografia parziale, ma estremamente sincera della città: una città illegale che attraverso voci, abitualmente destinate al silenzio, riesce a raccontare in modo sorprendente l’altra città, quella legittima e legale. Il confronto tra criminali e cittadini è il nucleo fondamentale del libro, che proprio grazie a esso riesce a spingersi molto più in là di una semplice analisi del crimine. Le statistiche trovano spazio solo nelle note al testo e spesso sono riportate con intenzione critica, il saggio di Dal Lago e Quadrelli parla infatti con un altro linguaggio e un’altra sensibilità, e dall’interno del mondo criminale arrivano immagini memorabili inserite in una mappa che ridisegna la topografia cittadina. Strade, piazze, appartamenti o vicoli: su quelle pietre camminiamo tutti i giorni e tutti i giorni si intrecciano relazioni tra mondi legali e illegali. «La voce della città illegittima consente una descrizione molto più ricca e probabilmente inattesa dei processi e dei mutamenti» che avvengono all’interno di una città.
Il testo tratta in ogni capitolo di un aspetto del mondo criminale: malavita organizzata, rapinatori, gioco d’azzardo, usura, sfruttamento del lavoro nero, prostituzione e commercio di droga. Il racconto della città dai margini tocca temi di ogni giorno e il capitolo sull’usura, ad esempio, offre anche un’analisi sintetica ed efficace dell’attuale mondo del lavoro. Ancora una volta, come nel crime novel, il crimine è solo una finestra, più sincera di altre, sulla realtà: inutile mentire quando il concetto di proprietà si riduce al possesso del proprio corpo. Un crimine per sua natura profondamente sottostimato e più di altri avvolto nel silenzio come l’usura conduce a un drammatico bilancio:
Un numero enorme e crescente di individui è costretto oggi a puntare le proprie carte sul tavolo sfuggente del futuro, a partire quasi sempre da situazioni di incertezza, monetaria e sociale: il collaboratore occasionale, l’addetto parzialmente in regola, l’ambulante che compra le merci a credito, il lavoratore dismesso che investe la liquidazione (e quindi la sopravvivenza futura) in una piccola impresa, il laureato che si forma in azienda senza retribuzione e così via sono tutti casi di attori economici o individui «per difetto», come direbbe Castel, la cui condizione oscilla tra la sopravvivenza, anche discreta, e la marginalità economica e sociale […]. Più che crimini in senso stretto le pratiche usuraie diffuse o normali che abbiamo conosciuto sono la continuazione, perversa quanto si vuole, del commercio con altri mezzi.
Nel libro a parlare sono criminali, vittime, poliziotti, magistrati o anche semplicemente i clienti: il crimine (escludendo la figura quasi scomparsa del rapinatore-bandito) vive e colonizza gli spazi offerti dalla società legittima, procura denaro, intrattenimenti di vario genere o braccia a poco prezzo. Il capitolo sullo sfruttamento del lavoro nero è un esempio perfetto dell’interazione strettissima tra cittadini e mondo illegale e qui più che altrove (prostituzione o commercio di droghe) le due realtà si avvicinano fino a sovrapporsi. Il lavoro domestico, che può arrivare a diciotto ore al giorno, svolto dalle donne immigrate intervistate nel libro, assume i caratteri di una nuova schiavitù.
È evidente che la percezione del crimine da parte dei cittadini è modulata da leggi completamente diverse da quelle del codice penale, come dice un funzionario di polizia: «Il problema è colpire quello che non è pubblicamente tollerato e mantenere sotto controllo tutto quello che, pur essendo illecito, non crea allarme o insicurezza sociale». Tradotto in un esempio attuale: se una parte del Museo del Mare di Genova crolla su sette operai uccidendone uno, ci saranno molti controlli in vari cantieri (i cui responsabili per un po’ terranno a casa, e senza paga, i loro lavoratori irregolari), ma poi tutto verrà riassorbito fino a sparire nel nulla. Ecco anche che si potrà parlare dell’invisibilità della prostituzione o meglio «di non visibilità, nel senso che questi mondi sono oggetto di interesse solo quando diventano fattori di disturbo pubblico».
«La verità profonda di una società è nei crimini da cui pretende di difendersi» e in quelli che in qualche modo tollera o finge di non vedere, svelando bisogni e desideri nascosti che attraverso meccanismi economici sotterranei si collegano al mondo del crimine. Al termine del libro la città appare diversa, diversi i cittadini, diverse le sue ombre. L’opera colpisce il lettore e rimane nella memoria grazie a una forza profonda, resa più efficace da quello che si può sentire dietro le parole e i fatti. Ai margini del testo, altro terreno che si estende oltre i confini, si trovano alcune citazioni, nelle epigrafi dei capitoli o nelle note, e in queste citazioni nomi come Philip K. Dick, Ellroy, Bunker, De André, Lou Reed e molti altri: siamo di fronte alle coordinate di un paesaggio culturale, un sottotesto al libro, dove possono e riescono a incontrarsi mondi diversi. Letteratura, saggi, canzoni, come cittadini e criminali, sono qui ora, pronti a operare un’evasione nella realtà.
(Enzo Baranelli)