Amélie Nothomb
Acido solforico
Voland
€ 13,00
trad. M. Capuani
Venne il momento in cui la sofferenza altrui non li sfamò più: ne pretesero lo spettacolo.
Con questa frase si apre Acido solforico, di Amélie Nothomb.
Senza alcuna ragione o requisito particolare, comuni cittadini vengono prelevati a forza mentre camminano tranquilli per la strada. Questi rastrellamenti sono attuati da una troupe televisiva che, con questo metodo, intende reclutare e selezionare i protagonisti di un nuovo reality show: Concentramento.
I reclutati vengono trasferiti sul set in vagoni piombati.
Altri reclutati vengono sottoposti a test attitudinali per verificare la loro capacità di picchiare sconosciuti, gridare insulti gratuiti, imporre la propria autorità; i prescelti interpreteranno il ruolo di kapò.
Il tema del reality è fin troppo dichiarato già nel titolo scelto dagli organizzatori, ciò che invece non è evidente, o almeno non subito, è il livello di «realismo»: il momento culminante della trasmissione sarà l’introduzione del televoto perché gli spettatori possano, improvvisandosi a loro volta kapò, scegliere quale prigioniero debba essere eliminato.
Naturalmente, per restare in tema con i propositi realistico-disumanizzanti del reality, l’eliminazione sarà un’esecuzione vera e in diretta televisiva.
Il momento culminante dello spettacolo coincide, nel mondo esterno, con un analogo culminare delle polemiche e delle proteste dei vari media… e con il raggiungimento del record assoluto di ascolti.
La Nothomb dipinge un quadro agghiacciante delle possibili conseguenze, estreme e paradossali, di una situazione televisiva purtroppo diventata parte integrante della nostra realtà. E la sensazione di gelo e di sgomento che trasmettono le sue pagine è tanto più sconcertante quanto più i lettori si rendono conto che è del tutto plausibile. L’autrice mette in luce senza mezzi termini e senza indulgenza la tendenza voyeristica della massa che, come un parassita, trae tanto più nutrimento dalle vite altrui quanto più queste vite sono miserabili e possono dunque far da contrasto a una quotidianità, magari squallida e ordinaria ma, in confronto, «sana», comunque «migliore».
Nel romanzo vengono esplorati senza pietà i meccanismi che governano il rapporto tra i mezzi di comunicazione e gli spettatori acquiescenti: più i media sbraitano contro Concentramento, più le masse s’indignano, più gli ascolti crescono. Ed emerge l’enorme capacità umana di costruirsi alibi, di giustificare sempre e comunque il proprio comportamento, di evitare in toto qualunque riflessione etica e morale.
Anche la conclusione, apparentemente positiva, cela in realtà una profonda amarezza. Il fatto che
l’orribile episodio sia concluso non lascia dietro di sé speranze o possibilità di redenzione; resta la nausea di una colpa di cui tutti sono consapevoli ma della quale nessuno vuole parlare; s’insinua, strisciante, un senso di rassegnazione, la consapevolezza che non si è risaliti dal fondo, ci si è solo spostati un po’, ma sarà inevitabile ricadervi.
Bellissima, a mio avviso, la caratterizzazione fisica delle due protagoniste, Pannonique e Zdena, che fa sì che i ruoli loro assegnati dal copione, rispettivamente di vittima e carnefice, vengano messi in dubbio, si mescolino, si capovolgano.
Cupo fin dalla frase d’apertura, che subito trasmette ai lettori la sensazione che non ci saranno limiti alla narrazione e alla sorte riservata ai personaggi, Acido solforico nulla risparmia al lettore, anche perché la pungente ironia che contraddistingue lo stile e la visione della Nothomb, assume qui una nota più feroce, più amara, come a voler significare che, superato un certo limite, non c’è posto per altro che non sia una condanna.