Valerio Massimo Manfredi
L’Impero dei draghi
A. Mondadori
€ 18,60
La produzione letteraria dello storico e archeologo Manfredi è decisamente a corrente alternata, oscillando tra romanzi storici di dignitosa fattura e romanzetti dozzinali ammiccanti al fantasy. Il problema è che ormai la paccottiglia rischia di superare i romanzi recuperabili. Mi spiace dirlo, perché il personaggio mi è simpatico ed è un buon divulgatore, quando non aspira a meriti letterari. Anche qui, come ne L’ultima legione, i protagonisti sono dei legionari romani, che per una serie di traversie entrano in contatto con l’impero cinese: che un’interazione del genere sia avvenuta veramente non è provato, ma alcuni indizi rendono l’evento plausibile. Come ne L’ultima legione, lo spunto narrativo è buono, ma il modo in cui viene sviluppato lascia perplessi: a partire dal nome del protagonista (Marco Metello Aquila, sic!) alle situazioni assurde in cui si trova. Tra le chicche (negative) del racconto, cito la presenza di guerrieri cinesi vestiti di nero, che ricordano i giapponesi ninja, in grado di volare sopra le mura di una fortezza grazie all’uso di una sorta di deltaplani. Terribile. Per non parlare degli episodi in cui la meditazione trascendente conferisce poteri particolari a chi ne fa uso. Il nostro Aquila è bello, fiero, colto, intelligente, e naturalmente fa innamorare di sé una principessa cinese (che non esiterà a seguirlo a Roma): in pochi mesi impara senza sforzo la lingua locale e le tecniche di combattimento orientale, con tanto di volteggi in aria che ricordano certi film di serie C di origine cinese. È poi insopportabile la retorica esaltazione da parte dell’autore della disciplina e dell’ardore combattivo del legionario romano (già esternata in L’ultima legione), che travalica la soglia del buon gusto (sotto questo aspetto il romanzo sembra quasi un prodotto del ventennio fascista). Secondo me l’autore si sta inflazionando: ogni sei mesi salta fuori un suo nuovo libro, e a questi ritmi non è possibile garantire la qualità del prodotto. Ormai pallido riflesso dell’autore de Lo scudo di Talos o di Alexandros, oggi Manfredi quando esce con un nuovo libro pensa già alla sceneggiatura di film storici per il mercato statunitense, notoriamente costituito da ignoranti della storia romana (come dimostrato dal film Il gladiatore), ai quali puoi ammannire qualunque sciocchezza. Trama debole e assurda, stile di scrittura talvolta un po’ stucchevole. Nei ringraziamenti l’autore ringrazia un sacco di persone che hanno revisionato il manoscritto: possibile che nessuno di loro sia stato in grado di dirgli quanto scarso fosse il suo ultimo parto? Da non leggere, neanche se ve lo regalano.